Racconti dall’ospizio #25 - Quell'ultimo pezzo che proprio mi mancava: il Fujitsu Marty
Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.
Esiste questa regola non scritta, una sorta di profezia incisa in antiche tavole di argilla ritrovate sul monte Athos. Recita che, qualora io riuscissi a ottenere un Fujitsu Marty, cesserei di espandere la mia collezione di retrogiochi, perché la casa sta per scoppiare e sostanzialmete ho tutto quello che volevo. Ora, non so se quanto scritto appartenga al fumoso regno delle leggende o possa aspirare a chissà quale verità, ma va detto che non credevo di ritrovarmi prima o poi a casa l'elusiva console Fujitsu, quantomeno non al prezzo che ho scucito. Presente il salasso che chiedono su eBay per un modello simile al mio tesssoro? Meno della metà, l'ho pagata davvero un'inezia. Dal Giappone, completa di confezione e in condizioni splendide; va detto che la cercavo con una certa frequenza, un po' come quando DOVEVO avere un X68000, ma per una volta la pazienza ha vinto sull'acquisto compulsivo, disciplina in cui modestamente vanto una cintura nera centesimo dan, e mi sono fatto un gradito regalo di Natale.
Perché, come tutte le cose che non hanno avuto sucesso, il Marty richiede massicce dosi di fortuna con la C maiuscola per essere acquisito, non è (solo) questione di tirare fuori la carta di credito. Gli scivoloni del resto capitano, quando ti accollano la responsabilità di entrare nel mercato console presentandoti come il fratello minore senza monitor, mouse e tastiera dell'FM Towns, linea di computer leggendaria per qualsiasi appassionato di videogiochi degno di questo nome, tuttavia associata in patria al mondo dei più giovani, vista la sua diffusione scolastica e l'indole multimediale che quel bellissimo lettore CD-ROM di serie portava in dote.
Ma chi vogliamo ingannare, poi? Esce nel 1989, fa capolino sulle pagine in bianco e nero di TGM, conquistando nel frattempo qualche box su K che, avanti come tutto quello che ruotava attorno allo Studio Vit, sbandierava il compact disc come lo standard del futuro. Aveva la migliore versione di After Burner, "indistinguibile dall'originale", come il genuino e sconsiderato entusiasmo delle riviste di allora sapeva assicurare a te, possessore di computer occidentali bellissimi ma piagati da conversioni realizzate alla membro di segugio. Ogni mese quelle pagine erano un po' la versione fatta di cellulosa dell'amichevole Italia-Inghilterra tanto cara al ragionier Fantozzi, con 'sto benedetto FM-Towns che tirava fuori presunti adattamenti arcade perfect come se fosse la cosa più facile del mondo. Per chi aveva gli occhi luccicanti davanti a quelle imprese stile Davide contro Golia, che vedevano i poveri home computer costretti a fare salti mortali per replicare l'irraggiungibile potenza dei bestioni da sala giochi, un super computer giapponese come Mazinga in grado di compiere il miracolo era una cosa bellissima, esotica, proibita e degna di venerazione.
Il Marty? Ci arriviamo subito: esce nel 1991 come versione console dell'FM Towns, e Fujitsu pensa bene di non chiudere del tutto le porte con l'illustre fratello maggiore, rendendo la nuova macchina non solo compatibile con il software passato, ma anche dotandola di una porta per collegare una tastiera, assieme a un lettore per floppy da 3,5 pollici. Volendo, alla festa può aggiungersi anche un mouse per le avventure punta e clicca, quella versione super sexy di Ultima VI o semplicemente per giocare a Operation Wolf, che dal pad proprio non ha voglia di farsi comandare. Questo per garantire che ogni vecchio gioco potesse funzionare al meglio, e presentarsi all'appuntamento con SEGA e Nintendo forte di una ludoteca massiccia e un cuore a 32 bit senza rivali. Aveva anche un jack frontale per il microfono, ché guai a separare un giapponese di quegli anni dal suo karaoke, non sia mai. All'accensione, un sistema operativo come non se ne erano mai visti su una console prima di quel momento, introdotto da un globo composto da piccole sfere cangianti a spasso su un campo stellato, tanto per mostrare i muscoli fin dall'inizio. Era possibile ascoltare CD audio, usare il karaoke, impostare una data o addirittura svolgere operazioni con i dischetti, come la copia o la formattazione; in un certo senso, con le dovute proporzioni, il Marty potrebbe addirittura sembrare un precursore della prima XBox, con la sua inedita (almeno per l'epoca) natura ibrida tra PC e console.
Poi, però, si rivelò un buco nell'acqua, nonostante un successivo modello più economico. Troppo costosa già allora, e supportata da un marketing inadeguato: Fujitsu aveva le mani impegnate, perché il prodigioso FM Towns cominciava a sentire sul collo il fiato dei compatibili IBM e della loro rimonta, grazie allo standard VGA e alle schede audio sempre più a buon mercato. Ovviamente essere l'anello di congiunzione tra un computer popolarissimo e le console da salotto portava anche altri problemi, come l'impossibilità di pompare RAM e processore per rimanere al passo con il fratello maggiore, precludendo in questo modo l'uso di giochi postumi come Mahou Daisakusen di Raizing (tre mega richiesti contro i due di serie del Marty) o Super Street Fighter II, con l'arrapantissima possibilità di modificare i colori degli sprite e salvarli su hard disk (e qui i mega necessari erano addirittura quattro). Il Marty è quindi un delizioso perdente, uno con le carte in regola per sfondare, tuttavia costretto a mordere la polvere senza aspirare a una vera possibilità di entrare sul ring contro Megadrive e Super Famicom, nonostante alcuni titoli notevoli. Molti ricordano le avventure Lucas, completamente in inglese alla faccia della distribuzione nipponica e sdoganate grazie alla diffusione dello ScummVM, che ha permesso anche ai non addetti di conoscere quell'incredibile versione di Zak McKracken in VGA, ma c'è dell'altro. Diamo uno sguardo a qualche gioco che ho avuto la possibilità di provare in questi giorni.
Turbo Out Run è un gioco emblematico: mediocre per fargli un complimento su Amiga, ST e Megadrive, rappresentava invece l'occasione di riscatto per il Commodore 64 che, dopo la conversione ignobile del predecessore a base di Testarossa cabrio, si vedeva servito su un piatto d'argento, giusto in tempo per il Natale 1989, un adattamento molto buono, a opera di una Probe Software in gran spolvero. Su Marty abbiamo sicuramente la migliore conversione, tuttavia non si tratta di un gioco imprescindibile, anche perché Turbo OutRun non è mai stato questo gran capolavoro, incapace di replicare il successo planetario del predecessore. La firma di Suzuki San è senza dubbio inconfondibile: negli otto mesi necessari per realizzare Out Run, fu costretto a scartare idee come i potenziamenti da guadagnare tra un livello e l'altro e la possibilità di scegliere quale veicolo pilotare, intuizioni in seguito rielaborate e presentate nel qui presente Turbo Out Run e in Outrunners (1992), il gioco la cui mancata conversione su Saturn o Dreamcast è oggi considerata peccato mortale senza speranza alcuna di redenzione.
Su FM-Town il gioco è realizzato da CRI Middleware, in precedenza CSK Research Institute, non certo gli sviluppatori più brillanti in circolazione; a conti fatti (e a memoria), la loro opera più famosa è la trasposizione di Virtual-On su Saturn. Porta la loro firma l'adattamento di After Burner di cui parlavamo prima, così come altre conversioni SEGA, tra cui Galaxy Force 2, tuttavia Turbo Out Run delude per i massicci tagli agli elementi scenografici. I grattacieli e le bandiere di New York, le precipitazioni di Washington D.C. o la sopraelevata di Chicago sono alcuni particolari tagliati con la mannaia, forse per mantenere una velocità dignitosa e un numero di veicoli su schermo a volte soverchiante. Sono riuscito a contare fino a sei veicoli contemporaneamente, tanto che ho potuto spesso superare in scioltezza l'odiato tamarro alla guida della Porsche, spesso incauta vittima di incidenti dettati da un traffico che manco sul Grande Raccordo Anulare. È complessivamente il miglior Turbo Out Run su un sistema casalingo, ma lascia un po' l'amaro in bocca per i sacrifici concessi; per lo meno l'audio spacca, con le tracce originali suonate dal CD e Shake the Street che rimane un pezzo fighissimo, dall'inconfondibile sapore a stelle e strisce. L'extra non voluto è la modalità sfida, che consente di superare un numero finito di stage, da uno a sedici, e competere per il punteggio. Utile quanto una colonscopia la notte di Natale.
Chase H.Q. è folle, con una sensazione di velocità talmente coinvolgente da costringerti a strizzare i braccioli della poltrona, specie quando viene attivato il turbo. Alcuni elementi delle piste salutano, come i lavori in corso, ma vedere qualcosa di simile su un sistema domestico nel 1991 avrà fatto cadere una mascella o due anche ai nostri amici samurai. Il lavoro è a opera di VING, una software house che ha operato quantomeno fino all'epoca PSX, specializzandosi in conversioni da coin-op; su FM-Towns (e di conseguenza Marty) la maggior parte degli adattamenti porta la loro firma con risultati solitamente molto buoni, a parte quando i tempi di caricamento del lettore a velocità singola trasformano una semplice attesa in un simulatore di Calvario, come nel caso di Final Blow.
Comunque Chase H.Q. polverizza al primo rettilineo il corrispettivo su x68000, programmato da Koh/Ray-Net nel nello stesso anno, mostrando discretamente la potenza della belva Fujitsu. Il cuore continua a preferire la miracolosa versione Spectrum, tra l'altro comprensiva di buona parte dei particolari qui assenti, ma mi accontento anche di questa.
Tetsujin Oh è, indovina, il seguito di Tatsujin/Truxton, sparatutto a scorrimento verticale frutto di una Toaplan al suo zenith creativo, due anni prima che la bancarotta del 1994 costringesse Kenichi Takano a creare Cave. Sei livelli enormi e una difficoltà piuttosto alta sono il biglietto da visita; su Marty manca uno strato di parallasse, ma per il resto si tratta di una vera e propria copia carbone di un titolo ricercatissimo. Anche questo è griffato VING, e si tratta di un risultato impressionante, così come per Splatterhouse, forse il gioco simbolo della console. È l'adattamento più fedele ed eclissa facilmente quello per PC Engine, bellissimo ma incapace di tenere in memoria tutti i dettagli, i nemici e il sonoro dell'originale. Ogni particolare sacrificato su Hu-Card è qui puntuale all'appello: l'urlo del necromante, le schermate introduttive prima di ogni stage e tante piccolezze, come l'ascia nella chiesa durante lo scontro con la croce rovesciata, sulla console NEC sostituita da una curiosa mannaia dorata.
Perché sprecare memoria per un'arma che usi in un solo livello, del resto? E invece qui c'è, così come tutte quelle finezze nei fondali, forse il punto debole più evidente della conversione Namcot, capacissima di restituire alla grande l'atmosfera di Splatterhouse al prezzo di scenari nettamente semplificati. Qui sembra davvero di essere in sala giochi; ho finito il gioco agilmente con un credito, sfruttando le tecniche apprese sul coin-op e trovandomi perfettamente a casa; ho riscontrato un rallentamento in una sola occasione, tirando una pietra a un impiccato e saltando sopra a degli spuntoni mentre le sue verdi viscere venivano vomitate a terra, nel terzo livello. Sono curioso, perché il gioco sopporta senza incertezze situazioni ben più caotiche, come nel penultimo livello con l'esercito di embrioni, quindi vorrei provare a ricreare la stessa situazione su una PCB...
Muscle Bomber, invece, è un disastro. Poveraccio, si tratta di una saga che neppure Capcom ha amato più di tanto, con l'espansione Duo e il seguito legittimo, Ring of Destruction, mai convertiti. Da ferma è senza dubbio la copia migliore, con gli sprite indistinguibili da quanto ammirato su CPS1, ma dal vivo il pubblico paralizzato è un colpaccio che lascia di stucco. Davvero era impossibile animarlo? Sembra di combattere davanti a una carta da parati decorata con sagome umane (sì, i cameo di Chun-Li, Ryu e Honda sono al loro posto), illuminata dagli sporadici flash dei fotografi. Anche l'arbitro se la dà a gambe dopo il gong d'inizio, tornando a farsi vivo in occasione di uno schienamento.
I punti deboli sono però sostanzialmente due, a partire dal danno inferto, davvero risicatissimo e in grado di trasformare un violento scontro tra energumeni binari in uno scambio di carezze che rende i match troppo lunghi e noiosi. Poi, beh, si tratta di Muscle Bomber, e basta. Il gioco base, senza extra. Perfino su Super Famicom era possibile usare i due boss e giocare in squadra, addirittura sfruttando periferiche quali il Super Multitap di Hudson Soft per picchiarsi assieme ad altri tre amici. Addirittura, su Megadrive avevano fatto lo sforzo di inserire l'esclusiva modalità Death Match stile World Heroes, con le corde del ring in filo spinato o elettrificate. Se poi contiamo che mancano all'appello anche gli oggetti contundenti fuori dal ring, direi che la delusione è servita.
C'è da dire, poi, che il pad del Marty è un po' una chiavica, con i suoi due pulsanti, comodi quanto vuoi ma comunque solo due. Ce ne sono un paio extra, i soliti Select e Start, ma sono un po' difficili da raggiungere; la logica vorrebbe che si usasse il bel pulsante dorsale, grosso e facile da premere con l'indice destro, tuttavia quello non serve mica per giocare. No, serve a cambiare al volo la visualizzazione nei pochissimi giochi che partirebbero nativamente in alta risoluzione, risultando quindi scomodi o addirittura inusufruibili sulle TV di casa, dato che Marty veicola il segnale attraverso s-video o RCA.
Tornado dalle parti di VING, The New Zealand Story rincuora abbondantemente: niente wrestler ipertrofici, qui, ma un quantitativo di sprite su schermo massiccio, senza rallentamenti di sorta. A onor del vero, i platform Taito si comportano molto bene su questa piattaforma, con un Bubble Bobble notevole, arricchito da un ventaglio di opzioni per tutti i gusti. Tra queste spiccano le Opzioni VING, che consentono di cambiare la risoluzione, reimpostare i tasti e - figata - inserire delle password che attivano effetti vari. "ILOVEYOU", ad esempio, consente di controllare le controparti femminili di Bubblun e Bobblun, con fiocco in testa e sprite alternativi per tutti i nemici. Più che un cheat mode, una dichiarazione. Del resto, chi non ama Bubble Bobble?
Anche Rainbow Islands pare ottimo, ma non ho potuto provarlo, ché i giochi costano una fucilata, in perfetta linea con la console che li fa girare. A conti fatti, il problema principale del Marty è da inquadrare nel mancato supporto delle terze parti; SEGA aveva le sue console da foraggiare, mentre un colosso come Capcom ha ben pensato di fare una capatina per tastare il terreno, un po' come sarebbe avvenuto in seguito su 3DO. La seconda versione della console, identica in tutto se non nel colore della scocca e del pulsante per aprire il lettore, arrivò sul mercato solo nel 1994, ovvero nel peggior momento possibile. I giocatori oramai scrutavano l'orizzonte in attesa del futuro, un domani riflesso nei mondi poligonali promessi da PlayStation o nelle succosissime conversioni degli amati arcade SEGA per Saturn, alla faccia di una console basata su un computer risalente al 1989.
Che poi alla profezia di cui parlavo all'inizio io mica ci credo per davvero. Avrò pure accumulato tutti i computer e le console che volevo, ma sono i giochi che rendono grande un sistema, così come il Marty ci ha insegnato. Ordunque avanti, mia fedele carta di credito; il set del Super Cassette Vision non si completerà da solo!