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Pillars of Eternity II: Deadfire - Due eternità non bastano

Pillars of Eternity II: Deadfire - Due eternità non bastano

Pillars of Eternity è un gioco che, nel bene o nel male, ha fatto la storia, anche se con il passare degli anni c’è stato chi non lo ha considerato così “meraviglioso” come era sembrato ad alcuni al momento della sua uscita. Proprio in questi giorni, inoltre, Chris Avellone ha rilasciato su RPGCodex delle dichiarazioni che gettano fosche luci sul processo produttivo Obsidian.

Ma in fondo, quello che devo fare è giudicare il gioco che ho provato per più di sessanta ore, i retroscena umani e i contorni più o meno scandalistici vanno sì analizzati, ma in separata sede. Rimanendo a guardare solo il “gioco” Pillars of Eternity, la sua importanza principale è quella di aver riaperto la strada a una rinascita del gioco di ruolo classico su computer, una dimostrazione senza mezzi termini del fatto che il genere è ancora vivo, è ancora amato e può ancora avere successo.

Questo secondo capitolo riprende l’avventura esattamente dove era finita nel primo Pillars of Eternity. La grande statua di Adra (un materiale che ospita le anime dei defunti e agisce come conduttore per esse) nel sotterraneo della fortezza che si conquista nel primo gioco si anima, contenendo l’essenza di Eothas, dio della luce e della rinascita, e semina distruzione e morte procedendo in direzione dell’arcipelago Deadfire. Il Watcher, il personaggio interpretato dal giocatore, riceve l’incarico da Berath, divinità della Morte, di inseguire il gigante di Adra, capire quali siano le sue intenzioni e, se necessario, fermarlo.

Inutile dire che le cose non vanno come previsto e per lo sfortunato protagonista inizierà una lunga serie di peripezie e avventure all’interno dell’arcipelago Deadfire. Il personaggio da usare può essere lo stesso usato nel primo capitolo ma se ne può creare uno nuovo, seguendo delle regole che sono rimaste in massima parte invariate, salvo alcuni dettagli. La modifica più grande che ho visto al sistema di gioco, oltre alla possibilità di avere due classi per i personaggi invece di una, è l’abolizione dei punti ferita totali. Nel primo Pillars of Eternity, i personaggi avevano due diverse fonti di punti vita: una ricaricabile rapidamente e che se terminava causava la perdita dei sensi in combattimento; una più grande, terminata la quale, il personaggio incontrava la morte definitiva. In questo seguito, i personaggi hanno solo i punti vita da combattimento e tornano a pieno regime al termine di ogni scontro, a meno che non siano stati abbattuti. In quel caso ottengono una ferita permanente, che infligge dei malus fino a quando non può venir guarita. Si tratta di un sistema di regole collaudato, che offre ampia libertà di scelta e interpretazione al giocatore.

L’esplorazione del mondo si mantiene con una telecamera isometrica che non si discosta poi troppo da quella che si è vista e amata sin dai tempi di Baldur’s Gate, ma guadagna, naturalmente, dei dettagli grafici molto più avanzati e una direzione artistica decisamente ispirata. L’interazione con lo scenario è quella tipica di questo genere di giochi… ovvero relativamente ridotta. Si possono controllare contenitori di vario genere, si può interagire con determinate parti di scenario se è previsto e naturalmente si può parlare coi personaggi che abitano il mondo di gioco. Tra questi ultimi ci sono naturalmente anche i vari membri del party, tra cui alcune facce note del primo gioco. Ognuno di loro è ben caratterizzato e ha delle priorità precise (che è possibile visualizzare nella loro scheda). Se non si fa attenzione nella creazione del party, è più che possibile assistere a scontri e litigi interni e il rischio, se non si hanno abilità diplomatiche elevate è di perdere del tutto uno dei componenti della squadra.

Sono proprio i dialoghi, fra l'altro, ad essere una tra le parti meglio riuscite in questo seguito. Le opzioni sono sempre molteplici e prendono in considerazione i valori delle statistiche, le abilità, la razza, il background del personaggio, le sue azioni nel primo gioco. Raramente, in un GdR, ho visto tener conto di così tante variabili nei dialoghi e la sensazione che si ha giocando è che le proprie scelte, a partire da quelle fatte durante la creazione del personaggio, siano importanti e vengano prese in considerazione dal gioco.

Nel caso in cui la parola non dovesse essere sufficiente e fosse necessario usare l’antica arte della diplomazia nota come “massacro indiscriminato”, i combattimenti sono gestiti in maniera classica per il genere: in tempo reale, con la possibilità di mettere in pausa il gioco con la barra spaziatrice, per dare ai personaggi ordini che verranno eseguiti appena sbloccata l’azione di gioco. C’è la possibilità di impostare nelle opzioni delle condizioni in cui il gioco si metta in pausa automaticamente, ed è qualcosa che ho trovato utile per sapere quando un personaggio stava subendo troppe ferite o negli scontri più grandi, anche per capire quando i nemici venivano abbattuti ed era necessario concentrarsi su altri bersagli.

Sulla difficoltà degli scontri, ho avuto la sensazione fossero forse un po’ troppo facili. Il gioco consiglia, esattamente come nel primo Pillars of Eternity, di giocare a difficoltà “rilassata”, ma io ho affrontato l’intera partita in modalità classica e, da circa metà della mia avventura in poi, ho smesso di dare ordini precisi ai membri del party, limitandomi a far gestire tutto all’intelligenza artificiale. Solo nei combattimenti più difficili ho sentito la necessità di intervenire per dare ordini precisi, e mi sono trovato in difficoltà reale solo durante il combattimento finale, che ho comunque terminato al primo tentativo. La soluzione, naturalmente, è semplice: basta aumentare il livello di difficoltà, ma trovo giusto segnalare la cosa, in modo tale che chi sta per iniziare ora l’avventura abbia un metro di paragone per poter scegliere adeguatamente la difficoltà.

Appurato che i dialoghi sono ottimi, che il sistema di gioco funziona bene, rimane da analizzare ciò che in un GdR ha comunque un’importanza fondamentale: il mondo di gioco e i personaggi. La scelta dei programmatori di ambientare un intero GdR in un arcipelago dal sapore piratesco è al tempo stesso coraggiosa e discutibile. La gestione della nave funziona moderatamente bene ma i combattimenti a turni in stile librogame potevano essere gestiti molto meglio: li ho trovati oltremodo statici e ho avuto la forte sensazione che si trattasse di un ripiego, dopo essersi resi conto che non riuscivano a creare un sistema di combattimento navale in stile Pirates!. Per il resto, il clima che si respira nel gioco, al di la delle componenti fantasy, ricorda molto il caos che vi era nella zona dei Caraibi ai tempi dei bucanieri, con le lettere di marca o patenti di corsa (corsari viene da questo, peraltro) che autorizzavano i vascelli di una fazione ad attaccare quelli delle altre.

Il combattimento navale assume una forma "astratta".

Il sistema è magari ben integrato ma, nel corso della partita, non sono riuscito a liberarmi dalla sensazione che si trattasse di una forzatura, creata per mettere in un GdR classico qualcosa di “nuovo a tutti i costi”. Coraggiosa anche la scelta dei dialetti e delle sfumature, specialmente per noi italiani, dato che una buona metà dei personaggi del gioco declama le proprie linee di dialogo con uno spiccato accento italiano. Non si tratta di niente di nuovo, ma le differenti sfumature linguistiche aiutano a creare l’illusione di un ambiente abitato da culture differenti e naturalmente, nel corso della partita, si ha la possibilità di scegliere quali tra le varie fazioni aiutare e quali ignorare completamente. La scelta su chi aiutare non è secondaria e in realtà sarebbe bene valutare attentamente ogni decisione: il comportamento del giocatore è infatti monitorato da un complesso sistema interconnesso di reputazioni, che permette di avere numerose sfumature positive o negative anche all’interno della stessa fazione. Inoltre, anche il tono con cui il proprio personaggio parla, il suo atteggiamento nei confronti dei personaggi non giocanti e le sue azioni contribuiscono a creare quello che è un sistema di reputazione tra i più complessi che abbia mai visto.

Tutto oro quel che luccica? Si e no. Pillars of Eternity II: Deadfire è certamente un ottimo gioco di ruolo, con una trama che ho trovato appassionante e… no. In realtà, più che appassionante, l'ho trovato “interessante”. Si tratta di una sfumatura, ma è una sfumatura che a mio avviso ha un’importanza tutt’altro che secondaria. Giocando a Shadowrun: Dragonfall (o anche Hong Kong o Returns), o anche a Tyranny, sempre di Obsidian, ho provato un senso di coinvolgimento e interesse superiore. Qui ero comunque coinvolto ma vi era come un filtro tra me e la trama, tra la mia sospensione dell’incredulità e il poter godere appieno del gioco. Ho faticato a capire il motivo, e naturalmente, con tutta l’umiltà del mondo, la prima cosa che ho pensato è che dipendesse più che altro da me… ma alla fine, volente o nolente, la verità è semplicemente che la vicenda narrata non è riuscita a catturarmi davvero. Senza parlare, poi, del fatto che verso la fine del gioco mi sono accorto di un possibile buco della trama, potenzialmente enorme. E non parlo di un cliffhanger o altro, ma proprio di una svista logica degli scrittori, potenzialmente letale per chi vuole prendere sul serio l’intera vicenda. Ne parlerei volentieri, ma sarebbe uno spoiler imperdonabile sul finale.

Tirando le somme, comunque, trovo che Pillars of Eternity II: Deadfire sia comunque un prodotto più che valido. Magari non sono un grande amante delle atmosfere piratesche, ma i lati positivi dell’ultima opera Obsidian superano comunque di gran lunga i negativi. Quando ho tra le mani un GdR classico, mi piacerebbe sempre che fosse perfetto, spero sempre con tutto me stesso che sia un prodotto privo di difetti, un capolavoro totale e assoluto, ma semplicemente non è così. Pillars of Eternity II è “soltanto” un ottimo gioco.

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Ho sbloccato il gioco grazie a un codice Steam ottenuto dallo sviluppatore. Ho creato il personaggio due o tre volte, per trovare una combinazione che mi soddisfacesse, e ho dato il mio assalto all’arcipelago Deadfire. Arrivare ai titoli di coda mi ha preso, secondo il timer di Steam, 63 ore, durante le quali ho terminato naturalmente la campagna principale e anche buona parte di quelle secondarie, anche se non tutte. Il gioco non permette di continuare la partita una volta arrivati alla fine, ma avverte una volta giunti al punto di non ritorno, per permettere al giocatore di terminare eventuali quest ancora in sospeso. Pillars of Eternity II: Deadfire è previsto anche su PlayStation 4, Switch e Xbox One, con l'uscita fissata a 2018 inoltrato.

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