Racconti dall'ospizio #160: Red Dead Revolver, il figlio della serva
Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.
Red Dead Revolver. Anzi, Red Dead Redemption 0. Sì, perché, in teoria, il gioco fa parte dell’universo di John Marston e soci ma il grande pubblico non lo sa assolutamente. Perché il gioco non è open world e quando sei un prodotto Rockstar ma non hai un mondo aperto in cui muoverti, la gente non ti vuole, funziona così.
Il gioco infatti funziona ad aree, c’è un hub centrale dove il protagonista torna dopo le missioni, la classica cittadina dove lo sceriffo sta sotto un portico seduto su una sedia a dondolo e una prostituta appoggiata a un palo ti invita ad entrare nel saloon. Protagonista il cui nome è Red, e probabilmente è mortale col suo revolver, se vogliamo analizzare il titolo del gioco.
Gioco che doveva essere Capcom, carramba la surprise. Ma nel 2002 lo sviluppo era troppo indietro e le idee confuse. Rockstar ne acquisì i diritti fiutando la buona idea di fondo e lo affidò a Rockstar San Diego, che in due anni tirò fuori quel gioiellino amarcord. Si, perché questo simil-GTA in salsa western è pieno di citazioni ai vecchi film del genere, in particolare l’immaginario di Sergio Leone. Ci sono persino le musiche su licenza, da Ennio Morricone alla fischiata di Lo Chiamavano Trinità, che Tarantino col tuo Django Unchained vola basso, non sei il primo a omaggiare gli spaghetti western.
Poi la divisione di San Diego proseguirà con le avventure nel west, sganciando la bomba col sequel, ma puntando su un’atmosfera di frontiera in dissoluzione, di west ormai decaduto. E così è anche per Red Dead Redemption 2. Tutti ambientati sul finire dell’epoca d’oro dei pistoleri. Red Dead Revolver, invece, nel suo piccolo, ci mostra un selvaggio west in piena salute, con la storia di vendetta di Red. Inizia nel 1876, con la sua famiglia ammazzata nonostante il patteggiamento del padre, che regala metà dell’oro che ha rubato dalla miniera del luogo al generale Javier Diego. Red, una volta cresciuto, inizia a cercare gli assassini dei suoi genitori, intervallando la ricerca di vendetta col lavoro di cacciatore di taglie, nel 1885. Un gioco diviso in due parti, con una situazione non molto dissimile da quel che poi accadrà in Red Dead Redemption, fra l’altro, solo che qui ne è il motore scatenante.
Mi spiace un po’ che Red Dead Revolver resti dimenticato lì nell’angolino, con un così bel setting. Va detto che è stato anche portato su PlayStation 4 come Classico PlayStation 2, quindi è super a portata di mano. Quindi, se volete a tutti i costi assaggiare polvere da sparo mista a quella del deserto, è un ottimo terzo capitolo da affiancare ai due grossi open world successivi. E chissà se, con un lontano, quarto Red Dead, Rockstar tornerà a raccontare il west che fu, senza già la nostalgia delle leggende ma con queste che prendono vita.
Questo articolo fa parte della Cover Story più veloce del West, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.