Outcazzari

Rimembro ancor... Remember Me

Rimembro ancor... Remember Me

Dishonored, The Last of Us, Remember Me, Metal Gear Rising, Beyond Two Souls e Watch Dogs. Sono questi i titoli che mi hanno fatto capire, una volta annunciati, che avrei giocato molte più nuove uscite rispetto a prima (leggi: era dall’uscita di God Hand che non compravo più un gioco al day one - sì, sono entrato nella corrente generazione di console giusto un paio d’anni fa). Ecco allora che li aspetto al varco, uno dopo l’altro, sempre ascoltando pareri di podcast e Outcast, o seguendo gli amici su Facebook, prima di metterci le mani sopra... OK, quasi sempre.

Non è accaduto con Remember Me. Volevo sbolognare Tomb Raider come usato per The Last of Us, ma qualcosa o qualcuno (sì sì, anche il nostro Talarico) mi ha indotto a pensare che il piatto di Naughty Dog potrebbe essere migliore se degustato freddo, lontano dall’hype. Così mi sono affidato alla dea bendata, e al GiocoFermata c’era una copia di Remember Me che mi attendeva.

Qualcuno potrebbe aver modificato i miei dati mnemonici in modo da farmi scrivere che Remember Me sia un gioco d’azione/avventura in cui sia l’azione, sia l’avventura, si attestano ai vertici della produzione videoludica mondiale. E invece, guarda un po’, così non è. L’opera prima dello studio parigino Dontnod Entertainment è però figlia di un’idea, creata da menti che non annuiscono facilmente (Dontnod = don’t nod?) alle richieste del primo publisher che passa. Dopo che il progetto fu chiuso da Sony per cause non pervenute (tradotto: questioni di soldi), Jean-Maxìme Moris non cedette alle pressioni dei potenziali publisher che richiedevano al team di modificare il sesso della protagonista, perché “se fosse maschio venderebbe di più”. Finché arrivò Capcom, e perfino Yoshinori Ono in persona. Ma questo lo sapevate già.

I palindromi Dontnod narrano così le gesta della palindroma Nilin, in un guazzabuglio cyber-romantico tra Ghost in the Shell e Minority Report, cyborg, mutanti, impianti neurali, il tutto shakerato in un futuro distopico al gusto di... picchiaduro. Già, è proprio questo il piatto forte servito nel menu di Remember Me, sebbene non manchino dei contorni d’alta scuola, come andremo presto a vedere.

Il giocatore naïf va messo in guardia: inizialmente picchiare sarà orribile, poi via via diventerà interessante e infine addirittura si trasformerà in una sfida logico-matematica, molto più vicina a un rhythm game che a un action à la Devil May Cry. Sì, perché le varie tipologie di nemici offrono una sfida mentale più che fisica. Le combo possono essere organizzate in modo che alcuni colpi di Nilin (chiamati Pressen) restituiscano preziosa energia vitale, oppure velocizzino il countdown che dà l’accesso all’utilizzo di abilità speciali, indispensabili per avere la meglio in determinate situazioni. L’estrema prevedibilità dell’intelligenza artificiale dei nemici trova così il suo senso: per fare un esempio, vi ritroverete a combattere dei cyborg che sparano missili ogni sei secondi netti, ma nel frattempo potrete gestire con sicurezza questo lasso di tempo, con un ventaglio di opzioni che crescerà rapidamente nel prosieguo del gioco.

Chiusa parentesi, apriamone un’altra, sicuramente più importante. Remember Me avrebbe ben poco senso di esistere in quanto picchiaduro, anche se sotto questo aspetto riesce ad essere abbastanza originale e ad offrire una sfida che richiede attenzione e reattività (a livello difficile). La vera carne al fuoco di questo mondo parzialmente interattivo è lo scenario.

Credo che, se fossi al posto dei concept artist (i principali di loro hanno curato il concept art di Gray Matter), gonfierei il petto d’orgoglio, visitando gli ambienti tridimensionali di Neo Paris, perché ogni segmento di gioco è la fedelissima rappresentazione in tempo reale di un artwork, cosa che si respira costantemente e di cui troveremo conferma visionando le numerose tavole di arte concettuale tra gli extra di gioco. Gli ambienti di gioco sono gli artwork, e viceversa: il rimaneggiamento non esiste. E qui l’Unreal Engine 3 stramaledice tutti quelli che lo considerano uno strumento scarso ed obsoleto. Al solito, l’importante è come lo si usa.

Eppure proprio nello scenario si riscontra un grosso problema, che risiede nella navigazione. Ora, un giocatore borderline, come viene definito in questi lidi, non avrà dubbi su come dovrà muoversi nelle fasi di esplorazione. Inclinerà lo stick di movimento appena un po’, si guarderà intorno con lo stick destro, sicuramente scatterà degli screenshot se gioca su PC, e insomma ammirerà tutti quei particolari che fanno parte di un mondo tanto meraviglioso, quanto inutile a fini ludici. Qualcuno penserà “ma anche Uncharted... ”: stop. Uncharted non propone un mondo così diverso dal nostro, non deve fare troppi sforzi per essere credibile e piacere; però riesce anche a costringere il giocatore ad apprezzare i suoi bei scenari.

In Remember Me, un giocatore poco interessato a tutto ciò che appare sullo schermo potrà correre da un evento di gioco all’altro, facendo cose come le classiche ed inutili azioni di intermezzo: arrampicate, aperture o sollevamenti di porte... che raramente presenteranno al loro interno degli enigmi, qui decisamente apprezzabili, proprio anche perché costringono il giocatore a non farsi scivolare addosso tutto lo scenario. Remember Me osa poco o quasi nulla in tutto ciò a cui il giocatore medio è abituato: QTE, set pieces, libertà di eplorazione, privandosi di ulteriori possibilità per spettacolarizzare il suo eccellente materiale visivo. Ma la carenza dei suddetti espedienti non è necessariamente un male.

Remember Me avrebbe dovuto essere un adventure di quelli veri, perché viene voglia di interagire con lo scenario (che di fatto è un corridoio, ma con qualcosa di più di una bella tappezzeria), soprattutto durante il primo terzo di gioco ambientato tra le strade di Neo Paris. Nilin segue gli ordini di Edge, il misterioso individuo a capo del movimento errorista, fondato per distruggere la corporation che controlla gli impianti neurali di tutto il mondo: Memorize. OK, Nilin ha subito una cancellazione parziale della memoria, espediente vecchio come il mondo ma che qui, almeno, permette dei colpi di scena belli forti e degni di essere... ricordati, già.

Esistono dei personaggi secondari, che compaiono e scompaiono come delle meteore, e ci si rende conto alla fine dell’avventura che il progetto originale avrebbe dovuto essere più complesso a livello narrativo. I conti non tornano, ma l’abile direzione di Moris, i dialoghi efficaci, mai banali e ben scritti, l’atmosfera e la curiosità di vedere dove si andrà a finire ci faranno... dimenticare presto le fugaci apparizioni di comprimari amici e nemici.

Del resto, la storia che viene narrata è la storia di Nilin, che però descrive in modo splendido un’inesorabile convergenza tra intimismo e rivoluzione, tra motivazioni personali e collettive. L’emozione non manca né all’inizio né alla fine del gioco, e per tutto il resto dell’avventura è punzecchiata, stuzzicata di quando in quando, oltre ad essere ripresa dai bei monologhi che ci preparano al prossimo capitolo di gioco.

Dulcis in fundo, la colonna sonora è curata da Olivier Derivière (classe ‘78, ha già avuto a che fare con un certo John Williams durante la sua formazione), certamente qui nel suo punto più alto dopo gli Obscure e l’ultimo Alone in the Dark. Il sound design durante il combattimento è davvero eccezionale: può ricordare la stessa idea utilizzata in Wind Waker, in cui ogni colpo contribuiva a comporre il tema di Zelda, solo che qui tutto è ancora più imprevedibile e influenzato da diverse variabili. Durante l’esplorazione degli ambienti di gioco e le fasi narrate, invece, i nostri orecchi saranno costantemente incuriositi da un’originale ed emozionante miscela di suoni elettronici e sinfonici, spezzati e mixati addirittura manipolando in tempo reale i microfoni degli strumenti della Philharmonia Orchestra di Londra (senza neanche avvisare i musicisti, tra l’altro). Per un ‘real gamer’ dichiarato, dev’essere stato come toccare il cielo con un dito.

Ah, già, il doppiaggio... inglese, francese (ricordiamoci che il team è francofono), tedesco, spagnolo o italiano? Nell’ultimo caso, sapete cosa aspettarvi: la lista dei doppiatori è quella di Bim Bum Bam, ma i personaggi principali reggono bene per tutto il gioco. I problemi di lip-synching sono casi isolati, meno rari quelli di regolazione dei volumi, tuttavia non irritanti. Procedete pure con la lingua di Dante se non volete rischiare di trascurare frasi volanti e informazioni sorvolabili, che però contribuiscono a dare sostanza al coinvolgimento.

C’è solo un aspetto del gioco di cui non vi ho parlato. Molto apprezzato dalla critica per la sua originalità, quanto biasimato per la sua marginalità. Sono così d’accordo con questa osservazione che non vi dirò neanche una parola sui Memory Remix, né quanti siano, tranne il fatto che Dontnod Entertainment è formato da ex-dipendenti di Ubisoft, Criterion e Quantic Dream. Ai Memory Remix ci hanno pensato quelli di Quantic Dream, evidentemente.

Ho giocato Remember Me su PS3, ma se dovessi remixarmi la memoria lo giocherei su un super PC collegato a un televisore di dimensioni maggiori rispetto al mio 32 pollici, con un bell’impianto surround. Tra restituzione usato e magheggi vari, ho pagato la copia 20 euro, che è il prezzo consigliato per questo gioco, così come per tutti gli altri (tranne il vostro gioco-della-vita, non quello che ha preso 10). Costretto mio malgrado a dare uno scarsamente indicativo voto numerico a un videogioco, sappiate che non è affatto un voto qualità/prezzo o longevità/prezzo, ma qualità-dell’esperienza/vostro-tempo-che-è-denaro. Se amate la fantascienza (e chi non la ama?) e/o i videogiochi lontani da uno smaccato gusto (?) americano, dovrete metterci le mani sopra.

Voto: 8

Old! #23 – Luglio 1993

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Paperback #24 - La guerra mondiale degli zombi

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