Skyscraper è un po' Die Hard e un po' The Walk. Ma soprattutto, The Rock
Ci sono diversi modi per distinguere un film che ha carattere da uno che se la mena. Alcuni di questi indizi possono essere tecnici, altri formali. Ognuno ha i suoi riferimenti. Se lo chiedete a me, la differenza sta tutta nel gusto per i botta e risposta.
Nella prima trilogia di Star Wars, per dire, ci sono un sacco di cose fighe, epiche. Ci sono le spade laser, le rivelazioni, il cattivo ganzo eccetera eccetera. Ma se dovessi identificare un unico elemento per definirne il carattere, sicuramente sceglierei il celeberrimo botta e risposta tra Han e Leia (e viceversa): “Ti amo”, “Lo so!”.
In Mission: Impossible II, l’Ethan Hunt di Tom Cruise è sempre padrone della situazione. Tra acrobazie e pose plastiche sprizza potenza da tutti i pori, ma trovo che la ciliegina sulla torta sia quel comando perentorio rivolto a Thandie Newton: “Tu resta viva, non voglio perderti e non ti perderò!”. Oh, che roba!
Poi, vabbè, se prendiamo Con Air c’è l’imbarazzo della scelta, ma la mia sparata preferita resta: “Ci sono solo due persone di cui mi fido: una sono io, l'altra non sei tu”. Un sonetto.
Insomma, credo di aver reso l’idea. Ma la rende ancora meglio The Rock quando, più o meno a metà di Skyscraper, mentre se ne sta immerso nei guai fino al collo in cima a un grattacielo in fiamme, alla domanda “Abbiamo un piano?” se ne esce rassicurante con un’altra domanda: “Tu hai per caso del nastro adesivo?”. Ecco, il Will Sawyer di Dwayne Johnson è proprio quella cosa lì. È l’eroe figo, umano e rassicurante (nonostante sia un pezzo d’uomo) che quando serve sa anche prendersi un momento per sdrammatizzare. E non solo lui, ma anche la moglie Sarah (Neve Campbell), i cattivi, e persino i personaggi di contorno. Poi, per carità, qui non siamo nemmeno vicini alle pose da ganassa di Con Air, ma più sulla rotta di Trappola di cristallo, film al quale il regista e sceneggiatore Rawson Marshall Thurber (Dodgeball, Una spia e mezzo, sempre con Johnson) si è evidentemente ispirato. In effetti, senza troppi sofismi, Skyscraper è un film catastrofico classico alla Die Hard ambientato nella Hong Kong dei giorni nostri.
Will Sawyer è un ex agente dell'FBI che ha appeso la pistola al chiodo dopo aver perso una gamba in azione. A qualche anno dall’incidente, lo troviamo sposato e con due figli mentre si guadagna da vivere come ispettore alla sicurezza freelance nel settore edile. Le cose sembrerebbero girargli piuttosto bene, al netto dell’handicap, soprattutto a fronte di un grosso incarico a Hong Kong procuratogli da un ex commilitone (Pablo Schreiber).
Si tratta di testare la sicurezza di un nuovo, gigantesco grattacielo, The Pearl, costruito dall’ambizioso miliardario Zhao Long Ji (Chin Han). L’edificio è futuristico, sofisticato e energicamente autonomo grazie a un sistema di turbine a vento. In cima, fiore all’occhiello, monta una cupola che permette ai visitatori di trovarsi faccia a faccia con il vuoto.
Ovviamente, con presupposti del genere e The Rock di mezzo, le cose finiscono presto per incasinarsi. A ridosso dell’inaugurazione, un commando di mercenari capitanati dal malavitoso di origini europee Kores Botha (il film è China-frendly), che ha la faccia cattiva di Roland Møller, si introduce nell’edificio, mettendolo a ferro e fuoco nel tentativo di stanare un misterioso oggetto.
Ora, premesso che già il fatto di entrare in sala per vedere The Rock proiettato nella dimensione che merita mi prende sempre bene, Skyscraper mette subito in luce i suoi punti di forza. In primo luogo, una sceneggiatura semplice, classica ma a prova di bomba, che sta dietro all’azione senza essere sciatta.
Il film, come da convenzione, dopo essersi preso qualche minuto per gettare le basi dei personaggi, attacca il classico giro turistico dell’edificio che si disastrerà. E mentre i tizi in scena restano di stucco di fronte a tutti i prodigi tecnologici, lo spettatore più sfessato inizia a battere la lista mentale di tutto quello che potrebbe guastarsi da lì in avanti (spoiler su un intero genere: si guasta sempre tutto).
Un’altra cosa che fa ingranare bene Skyscraper sono le facce. Pur senza strilli, ho trovato il lavoro sul casting davvero azzeccato. Dwayne Johnson è ormai una garanzia, perfettamente a suo agio nella parte del gigante buono senza ombre; il “working class hero” dal passato militare e figlio dell’America più sana. Neve Campbell, di contro, gli tiene perfettamente testa, aggiungendoci un pizzico di bonaria malizia. Persino i due figli della coppia, un ragazzino e un ragazzina, non mi sono stati antipatici, che è già tantissimo. Poi, Chin Han è perfetto nella parte del riccone, con quei suoi modi charmant, così come Byron Mann e Elfina Luk in quelli dei due ufficiali della polizia di Hong Kong, che da un certo punto in avanti erediteranno il ruolo del sergente. Al Powell di Trappola di cristallo.
Ma a fare la differenza sono i cattivi, interpretati da un gruppo di caratteristi che si imprimono subito nella testa dello spettatore, proprio come nei film di John McTiernan. Oltre al già citato Roland Møller, visto di recente anche in Atomica Bionda, vale la pensa di segnalare Noah Taylor, che non incrociavo da un sacco e qui interpreta l’ambiguo Mr. Pierce, e la femme fatale d’azione à la Ada Wong, Xia, interpretata da Hannah Quinlivan.
Nel corso dei centodue-perfetti-minuti di film, a seguito dell’attacco dei mercenari, The Rock e famiglia, assieme alla polizia locale e ai pompieri, dovranno cercare di risolvere la situazione. Dico famiglia perché il film, in effetti, ha una dimensione corale dove ciascuno fa la sua parte, più o meno come ne Gli Incredibili. Il personaggio di Neve Campbell è lontano anni luce dalla moglie inerme da portare in salvo e si rivela cruciale in diverse situazioni. Nemmeno la piccola Georgia (McKenna Roberts) e il fratellino Henry (Noah Cottrell) sono degli sprovveduti, ché alla fine, oh, a tirarli su è stato pur sempre The Rock.
Poi, per carità, da un lato si sente un po’ la mancanza della “famiglia Johnson” di San Andreas, con quella combo devastante formata da Carla Gugino e Alexandra Daddario; ma in generale, al netto delle premesse più o meno simili, Skycraper ha molta più personalità del film di Brad Peyton. Sì, OK, Strutturalmente resta un déjà vu che non disdegna citazioni e riferimenti alle sue fonti di ispirazione. Eppure funziona. Funziona perché quando arriva il momento sa prendersi le sue licenze, giocandosi molto bene la carta delle nuove tecnologie e dei nuovi mezzi di comunicazione. Laddove per i personaggi dell’epoca di John McClane l’unica linea di dialogo verso l’esterno erano ricetrasmittenti o simili, qui abbiamo a che fare con smartphone, tablet e telecamere che creano un flusso audiovisivo costante tra chi sta dentro e chi sta fuori dall’edificio; tra eroi e supporter.
A volte, il punto di vista dello spettatore coincide con quello dei cittadini di Hong Kong che riprendono The Rock mentre cerca di scalare l’edificio in fiamme. Il tutto fa un po’ 11 settembre; credo sia voluto, anche se il riferimento non pesa più di tanto, e nel complesso la regia riesce a gestire bene il giochetto dei vari monitor, fino a farlo esplodere in un omaggio finale (pur telefonatissimo) a La signora di Shanghai.
Thurber sa pure quando è il momento di lasciare da parte le rimediazioni dei vari device per concentrarsi sull’azione. Nonostante degli effetti speciali non memorabili, le sequenze più agitate di Skycraper sono sempre chiare, leggibili, e sfruttano con un certo gusto tutte le opportunità offerte dalla verticalità del contesto. Non si suda freddo come in The Walk, ma quello credo dipenda dal fatto che The Rock dà molta più sicurezza di Joseph Gordon-Levitt.
Insomma, se lo chiedete a me, Skycraper funziona. Ha ritmo, una storia chiara e solida e delle buone idee per raccontarla. Ecco, forse si perde un po’ per strada la faccenda dell’handicap del protagonista, che salta fuori giusto in un paio di sboronate. Ma per il resto, direi che ci siamo.
Ho guardato Skycraper in anteprima grazie a una proiezione stampa alla quale siamo stati gentilmente invitati. La proiezione era in lingua italiana (non ho sofferto particolarmente il doppiaggio) e in 3D. Un 3D che, cosa più unica che rara, non solo non mi ha dato noia, ma si è rivelato addirittura ficcante per esaltare la verticalità del film. Tipo The Walk, ma con fiamme ed esplosioni ovunque.