Apri la porta 220, arriva la Sound Blaster | Racconti dall'ospizio
Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.
Un mio ritorno sulle pagine di Outcast, ad anni di distanza dall’ultimo post-foto-whatever qui sopra, non poteva che avvenire in una rubrica simile. Quella dei vecchi bavosi, che ricordano con nostalgia (no) i loro autoexec.bat, le startup-sequence, i datassette che non caricavano Buck Rogers dopo quattordici minuti di attesa. Insomma, la rubrica dei vecchi (grazie giopep).
Quando mi è stato chiesto di scrivere qualcosa per festeggiare il trentennale di Sound Blaster, la prima cosa che mi è venuta in mente, a dirla tutta, è che i miei primi ricordi su tale scheda sono… beh, terribili. Ma per arrivare a capire perché, come Nonno Simpson alla cassa del supermercato, devo per forza partire con il racconto da un antefatto.
Ho sempre dato grandissima importanza all’audio, nei miei computer e console. Un po’ per inclinazione personale (adoro qualsiasi tipo di armonia, anche le più dissonanti), un po’ per il trauma che deriva dal fatto che il mio primo videogioco “serio” casalingo fu in realtà un computer. Dopo il clone di Pong, immancabile regalo per la comunione, il salto fu con uno ZX Spectrum. Ora, chiunque ne abbia mai incrociato uno saprà bene che Sir Clive Sinclair non condivideva con me la convinzione sull’importanza della parte audio in un computer. E così, lo Spectrum aveva solo un cicalino da cui gli sviluppatori di Manic Miner, JetPac e capolavori simili cercavano disperatamente di ottenere qualche stridula melodia. Francamente, era insopportabile.
L’amico con il Commodore 64, computer capace di una polifonia pazzesca per le mie orecchie, era l’oggetto della mia invidia del tempo. Più l’audio della grafica, sì, anche perché lui, tra un Peek e un Poke, sapeva tradurre canzoni e spartiti in digitale, e come suonavano, sul C64! Quando finalmente potei mettere le mani su un Commodore tutto mio (un 128), passai lunghe giornate di cazzeggio con in sottofondo gli inni nazionali dei Summer Games di Epyx, la introduzione di Ghostbusters e cose simili, impressionato da quanto suonasse bene quel dannato computer attraverso l’altoparlante della mia TV in bianco e nero. Ne ero tanto innamorato, che riuscii a convincere la mia professoressa di musica del tempo (parliamo della seconda media) a permettermi di portare il computer a scuola, televisore e tutto, per una serie di dimostrazioni musicali da fare in classe. Sì, c’è stato un tempo in cui un Commodore 128, in una scuola, suonava i Brandeburghesi di Bach.
Poi ci fu Amiga, e che vogliamo dire. Paula, tra le mani di gente come Chris Hülsbeck, suonava davvero da Dio. In più, erano i tempi della “scena” demo, e di nuovo restavo a bocca aperta di fronte a quello che si poteva ottenere, soprattutto dal punto di vista audio, con un home computer del genere. Poi c’erano i primi tracker, in cui potevo tentare di fare cose - orrende - e i primi software di notazione musicale, con cui potevo giocherellare collegandomi via MIDI a una tastiera, per ottenere altre cose, anch’esse orrende.
Nel 1994, però, il tempo di Amiga era finito. I giochi a cui volevo giocare non uscivano più sulla macchina Commodore, Lucasfilm Games si era spostata con forza su PC, dove c’erano anche Doom, Syndicate, versioni finalmente giocabili di Wing Commander. E così feci il grande salto, complice il risarcimento per un incidente stradale che mi aveva lasciato qualche soldo in tasca: il primo PC, comprato usato da un amico conosciuto a militare, proprio nei giorni del mio congedo. Era un 486 DX2 66 MHz, con la canonica Cirrus Logic Vesa Local Bus come scheda video e una Sound Blaster Pro come scheda sonora.
La Sound Blaster 16 era già in commercio e il mio amico l’aveva comprata, ma era tornato sulla Pro (che rispetto alla versione liscia era stereo, perlomeno), per qualche imprecisato problema che non era riuscito a risolvere. Ebbene, arrivo a casa, monto il mio nuovo PC di seconda mano, faccio partire Doom e comincio a godere. Fino a un certo punto.
Gente, Doom, su quel 486, girava in modo pazzesco, e le immagini sul 14 pollici facevano spavento. Davvero, era un impatto allucinante. Ma appena niente niente uscivi dall’orgasmo visivo e ti concentravi un pelo sull’audio… beh, non c’eravamo proprio. Non tanto per gli effetti, quelli erano abbastanza OK, ma per le musiche. Per dirla tutta, la Soundblaster Pro, con i suoi sintetizzatori FM, faceva cagare. Punto.
Magari questo non è il modo migliore per celebrare il trentennale di una famiglia gloriosa di schede audio, ma non si può nemmeno rivestire tutto con la melassa della nostalgia. La delusione per il salto all’indietro che percepivo dall’audio di Amiga a quella roba lì mi aveva veramente stordito, anche se poi bastò caricare Strike Commander per decidere che me ne potevo anche fregare. Ma il tarlo era rimasto, il fastidio era presente, non potevo negarlo. E così decisi di risolvere il problema.
Ci pensò un altro amico, Alessio, che era quello sempre informatissimo sul modo più folle di spendere i soldi in componenti per PC. Grazie a lui, scoprii che c’era una scheda che risolveva il problema delle musiche nei videogiochi: la Roland SCC-1. Una scheda General Midi, che acquistai in un grande magazzino musicale dando indietro quella tastiera che collegavo all’Amiga, tanto tutto quello che ci facevo sopra faceva schifo.
Grazie all’accoppiata Sound Blaster – effetti / Roland – musiche, tornai a godere come un maiale. E quel setup lo trovai talmente buono che restò immutato per moltissimo tempo, in modo anche sorprendente, se consideriamo che di processori, motherboard e schede video, invece, ne cambiavo continuamente. Saltai a piè pari la Sound Blaster AWE 32, anche se, come ogni scheda nuova, mi attirava tantissimo, e non mi filai di pezza tutte le successive. Ero contento della mia accoppiata Sound Blaster Pro + Roland, anche perché… beh, funzionava. Al tempo facevo l’assemblatore/tecnico in un negozio e, se dovessi dire quali fossero le schede che mi davano più grattacapi, beh, il dito lo punterei sulle Sound Blaster (o le loro compatibili da due soldi). La porta 220, l’interrupt 7, il DMA 1, gli autoexec.bat e i config.sys da mettere insieme con la cura di un restauratore di dipinti michelangioleschi… tutto crollava, ogni santa volta, per colpa della Sound Blaster, anche se poi, in verità, molto raramente mi trovavo a installarne di originali.
La passione per le cose di Creative Labs ritornò un po’ dopo, quando già avevo cominciato a scrivere per lavoro e a un certo punto le schede me le mandavano per recensione. In fondo, era venuto il momento per la Sound Blaster di conquistare il mio cuore, e seppe farlo in un modo fantastico: con il multicanale e la modellazione dell’audio. La Sound Blaster Live! è stata la prima scheda audio che ho amato davvero, capace di quattro canali separati (collegati al kit di sub+satelliti 4.1 di Creative) che iniziarono il delirio di “casse tutte attorno e cavi in mezzo ai piedi” che ancora oggi caratterizza la mia vita. E poi c’erano le EAX, le librerie che promettevano (e quasi mantenevano, in quella prima versione) di modellare gli effetti sonori e l’audio in base all’ambiente virtuale in cui venivano riprodotti. Fantastico.
Sì, era scattato l’amore. Comprai il mio primo lettore DVD Video (sempre Creative), e cominciai a guardare film in quel modo, su PC, anche se non c’era ancora il canale centrale dedicato ai dialoghi. Centinaia di ore di gioco, immerso in un audio finalmente appagante, rotondo, completo. Migliorato poi con l’avvento della successiva Soundblaster Audigy, un vero e proprio mostro, per l’epoca.
Con il tempo, l’attenzione per le schede audio è scemata, in me e nel mercato: con l’audio digitale, le colonne sonore da CD, il livello si è alzato abbastanza da rendere quasi inutile la presenza di una scheda dedicata. I chip audio hanno cominciato ad essere integrati nelle schede madri e l’utenza ha preso ad accontentarsi di quelli: in fondo, le avanzatissime potenzialità delle Sound Blaster più evolute interessavano solo agli impallinati. Come me, certo, ma anche io ne sentivo sempre meno il bisogno. Credo di aver avuto brevemente una X-Fi, prima che – nel 2006 – tutta la mia catena di produzione si spostasse su MacOS.
Certo, è curioso pensare a quanto mi colpì all’epoca la consapevolezza che il tempo delle Sound Blaster si stesse esaurendo. Wikipedia mi suggerisce che ne sono state fatte altre, dopo, quando io ormai lavoravo solo su Mac e giocavo solo su console, ma di certo l’impatto che aveva l’uscita di ogni nuova Sound Blaster è qualcosa di immerso nella melassa del passato. Non essendo un nostalgico, non mi spingo a dire che sia un peccato: la comodità e le prestazioni di base di oggi non le scambierei per nulla al mondo, però è vero che Sound Blaster ha cavalcato un periodo fantastico, di innovazione continua, nel ruolo di figlie povere – forse – dei più famosi acceleratori grafici. Segno tangibile che all’audio si dedica forse meno attenzione di quel che merita, nei videogiochi, ma testimonianza che di quel percorso, dalla terribile Pro alle più recenti e performanti nipoti, c’è stato davvero bisogno.