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Vivere le emozioni di KotOR senza aver mai giocato a KotOR | Racconti dall'ospizio

Vivere le emozioni di KotOR senza aver mai giocato a KotOR | Racconti dall'ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

È il 2004, l’università va a rilento, non è ancora arrivata l’era della post-verità, delle fake news, Cambridge Analytica non avrebbe ancora alcun social su cui buttare le sue grinfie, l’euro ha vent’anni di inflazione in meno, sei bloccato in Puglia, quella Puglia che continua a starti stretta e a darti delusioni una dopo l’altra, culturali, sentimentali e familiari, e decidi di fuggire una volta per tutte.

“Oh, Pasquà. Vedi che vengo a trovarti a Bologna. Ho bisogno di staccare da tutto per un po’. Sono depresso”.

“Vieni, vieni, qua sto, c’è il futon su cui puoi dormire!”.

Parto. È una calda mattina di Luglio, tutto intorno a me è soffuso e indaffarato, filtrato dal mio stato d’animo distruttivo.

Piazza Medaglie d’oro m’accoglie per la prima volta dopo cinque anni - c’ero già stato in gita al liceo, iniziando a capire che il mio cuore corazzato aveva lasciato entrare tutto lo spirito felsineo, mandando ogni difesa a farsi un picnic sui colli, con annessa scalata affannosa di San Luca.

Pasquale arriva in stazione, sul 38. Saluti di rito, baci, schiaffi, abbracci, lacrime di felicità ricacciate dentro.

Riprendiamo il 38 fino a Porta Santo Stefano e via sul 13, dritti verso via Murri, che poi diventa Via Toscana e quindi deraglia fuori dalla città ma dentro il piccolo paradiso in cui passerò qualche giorno di riavvio dei sistemi, con annessa reinstallazione del sistema operativo nuovo. O settimana, chissà.

“Tiè, sistemati”, mi dice il relativamente giovane coetaneo, lanciandomi addosso un piumone, un cuscino, un futon e tutto ciò che di più soffice e pesante ha in casa, mentre, con un contorsionismo degno di una Heather Parisi in particolare stato di grazia, si china per accendere il PC.

“Ho preso un nuovo gioco su Star Wars, si chiama naitsofdioldrepablic, lo installiamo e lo proviamo?”

Non desidero altro, è perfettamente in linea col piano di evasione. Via dalla Puglia, via dai cattivi pensieri, niente giro in una città a cui avevo dato una fugace occhiata cinque anni prima e che avrei potuto esplorare per anni - spoiler: l’ho comunque fatto qualche anno dopo, lasciando definitivamente il cuore nella città più bella del mondo.

Windows 2000 si avvia, CD di installazione, e la lenta barra cerulea del wizard comincia a riportare, come un efficientissimo amanuense, bit su bit, da un supporto ottico a uno magnetico. Niente SSD, niente SATA6. La versione hipster del Datassette del C64, diluita in un clima umido impregnato di disperazione esistenziale.

In tutto questo ricordo offuscato dall’umidità estiva, ho sistemato perfettamente i bagagli: il trolley buttato in un angolo aperto, il beauty tolto e il mio angolo toeletta e guardaroba pronto per i prossimi giorni.

E ora dovrei raccontarvi del gioco in sé, il titolo mi ricorda che questo è un articolo su Star Wars: Knights of the Old Republic.

Ma io di KotOR non mi ricordo un bel niente, se non che è un RPG strategico a turni (ma su questo potrei anche sbagliarmi) e che nelle missioni avanzate vai a dare fastidio a un sacco di pianeti e federazioni, e puoi decidere se stare dalla parte dei buoni o cedere al lato oscuro, e che ci sono delle missioni belle difficili per ottenere i cristalli che ti permetteranno poi di personalizzare il colore della spada laser.

Magari gialla, il mio colore preferito e antidepressivo.

Son passati giorni, in cui, cullato dai suoni del gioco e delle parole e racconti con Pasquale, piano piano il mio malessere andava via, ricoperto, diluito, disperso dall’entusiasmo dell’avanzamento - di Pasquale, io ero sul letto a cazzeggiare, leggere, parlare, ascoltare o vicino a lui mentre giocava - sui vari pianeti dell’universo di Guerre Stellari, in un’epoca in cui non si era ancora uniformato il trademark a livello globale.

Ogni tanto ci fermiamo per mangiare, per prendere una pizza sotto casa e, perché no, anche per fare un giro in centro, andare in piazza Maggiore, in via Indipendenza, in via Zamboni. Studiare? No, ma che, stiamo scherzando? È luglio, ci stiamo godendo un momento di puro amore nerd dopo mesi e mesi di lontananza, noi che al liceo eravamo seduti accanto, passavamo i pomeriggi insieme a studiare, cazzeggiare e ascoltare i Bluvertigo o Jesus Christ Superstar o i Carmina Burana o a rispondere ai concorsi alla radio per vincere biglietti di artisti sconosciuti che, pur di farsi conoscere, si davano al giveaway selvaggio su Rete Selene.

Dopo un indefinibile periodo che potrebbe essere durato cinque giorni o quindici, con sessioni furiose anche di sette/otto ore su Knights of the Old Republic, fuggendo dall’impero, girovagando tra pianeti con atmosfere completamente differenti, finalmente troviamo il cristallo giallo e il mio percorso di recupero, inframmezzato da gridi di dolore del tipo “Andiamo a fare un giro in centro? Sono giorni che non fai altro che giocare!!!”, può dirsi completato. Non sono più un mosaico di schegge sparse.

Con un velo di tristezza, Pasquale mi accompagna in stazione e, mentre salgo sul treno che scenderà giù per i meandri più bui dello stivale, un progetto mi illumina dentro, un progetto che porterò a termine due anni dopo: mi trasferirò a Bologna, sì, perché quelle due settimane sono state troppo belle, piene di puro amore nerd, consolazione e autopsicanalisi.

Dicevamo, quindi, di KotOR?

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata a Star Wars, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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