Racconti dall'ospizio #197 - Tekken 3 e le sane mazzate tra amici
Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.
Vista la mia veneranda età, ho giocato a praticamente qualsiasi picchiaduro uscito quasi su ogni piattaforma, da Karate Champ in sala giochi con le sue due leve a Ye Are Kung-Fu su Commodore 64, passando per tutti i Virtua Fighter e non dimenticando i classici SNK. I due che hanno catalizzato di più la mia attenzione (e quella dei miei amici) sono sicuramente stati Street FIghter II nella sua versione Turbo per SNES e Tekken 3 su PlayStation.
Era abbastanza consueto trovarsi a casa mia (sì, ero io il tenutario della console: l’altro super appassionato di videogiochi aveva seguito il percorso complementare Megadrive/Saturn) e passare il pomeriggio fracassandosi di mazzate, prima con Ryu e Blanka e poi con Heihachi e King.
Personalmente, avevo brutalmente snobbato il primo Tekken e al secondo avevo giocato trovandolo sempre parecchio triste, soprattutto se confrontato con il nettamente più tecnico Virtua Fighter, che anche se non poteva offrire gli stessi effetti grafici, era sicuramente più appagante.
Poi, però, è arrivato Tekken 3 ed effettivamente è cambiato un po’ il paradigma dei picchiaduro in 3D. Il gioco di Namco, sfruttando anche alcune novità introdotte da Soul Edge (o Soul Blade per i non giapponesi), rendeva i combattimenti molto più fluidi e spettacolari, riuscendo anche ad alzare il livello di tecnica necessaria da parte del giocatore per avere una vera padronanza dei vari personaggi.
Per quanto mi riguarda, non ho mai apprezzato alcuni protagonisti assurdi della serie, Yoshimitsu e Jack su tutti, e probabilmente anche per questo, i primi due episodi mi sono scivolati via senza lasciare traccia, dato che il resto del roster non era così particolarmente emozionate. In Tekken 3, invece Namco, decise di inserire un nuovo personaggio e di migliorarne drasticamente un altro, cosa che catapultò quell’episodio a un livello superiore. Sto parlando del nuovo arrivo Xiaou, una velocissima ragazzina cinese, e dell’evoluzione non indifferente di Lei, un Jackie Chan senza i diritti di sfruttamento del nome.
Fu importante anche il fatto che un paio di membri del nostro gruppo erano in fissa per il kung-fu (si facevano bastonare in dei corsi con maestri a loro giudizio leggendari): questi personaggi davano al giocatore la possibilità di utilizzare tecniche di combattimento abbastanza inedite per l’epoca, con alcune mosse tipiche delle arti marziali cinesi per quanto riguarda Xiaou. Lei (il cui nome completo è Lei Wulong), inoltre, poteva fregiarsi della tecnica dell’ubriaco, una disciplina sicuramente più complessa da padroneggiare, proprio per la sua imprevedibilità efficacissima.
Per fortuna mia e dei miei amici, possedevo Tekken 3 nella sua versione nipponica, che permetteva (come tutti i giochi dell’epoca) di godersi il gioco a 60hz, cosa che rendeva l’esperienza nettamente superiore alla controparte PAL, bloccata sui 50hz e, se non ricordo male, con le drammatiche bande nere.
La prima, grigia, PlayStation era una console “comoda”, nel senso che era semplice trasportarla in giro. Bastava trovare una presa di corrente, una TV con presa SCART e via, il gioco era fatto. Certo, per potersi godere i giochi NTSC senza intoppi, era necessario che la TV fosse multistandard, termine che oggi fa quasi sorridere.
Racconto qui un piccolo aneddoto, che c’entra poco con PlayStation ma fa capire il dramma di quell’epoca. Tanti, tanti anni fa, ho lavorato come commesso in un negozio di videogiochi di Torino, situato nell’isolato a fianco dell’albergo dove la Juventus andava in ritiro prima delle partite casalinghe. Ovviamente, diversi giocatori della Juve erano clienti del negozio e uno dei più assidui era Edgar Davids, che entrava parlando in olandese al telefono, comprando una caterva di giochi per volta e uscendo dal negozio senza aver ancora finito la conversazione telefonica.
Pochi giorni dopo l’uscita del Dreamcast in Giappone, erano disponibili le prime console di importazione e ovviamente il centrocampista bianconero ne acquistò una. Gli facemmo gentilmente notare che se non aveva una TV multistandard, nel migliore dei casi, avrebbe visto il tutto in bianco e nero con dei disturbi vari e gli consigliammo di provare un adattatore. Se funzionava tutto, ce l’avrebbe pagato la volta dopo. Facendo di no con la testa, alzò le spalle come per dire “non mi interessa”, pagò solo la console e lasciò l'adattatore sul bancone.
Dieci minuti dopo, tornò: “Vedo tutto in bianco e nero”. Tralasciando eventuali battute sul fatto che giocasse nella Juve, gli demmo l’adattatore. Il giorno dopo era di nuovo da noi con l’adattatore, per restituirlo.
“Non funziona?”, chiesi io.
“No, no, funziona, ma ho cambiato TV, non mi serve più”.
Ecco, tornando più in tema, il vero problema delle console del tempo è che se ce le avevi modificate (o di altre regioni) e te le portavi in giro, dovevi trovare una TV che accettasse sia il segnale PAL che NTSC e in quegli anni non era banale.
Per fortuna, un nostro amico, nella casa in montagna, aveva in salotto una televisione con le giuste caratteristiche e ricordo benissimo nottate intere a giocare a Tekken 3, senza soluzione di continuità.
Sono affezionato a tantissimi giochi sulla prima (e, lasciatemi dire, leggendaria) console di Sony: Metal Gear Solid, praticamente tutta la produzione Psygnosis, Resident Evil e seguiti, molti titoli Square, dagli RPG agli sparatutto, Parasite Eve e via, ma forse, i due a cui sono più legato sono Silent Hill e proprio Tekken 3, perché se il primo è stato la vera prima esperienza inquietante nei videogiochi (Resident Evil mi aveva fatto fare un paio di salti sulla sedia ma non mi aveva inquietato come Silent HIll), Tekken 3 è proprio la summa del divertimento casalingo con gli amici, quel multiplayer che negli anni si è trasformato in un (per me) meno appagante gioco a distanza.
Ricordiamo anche che in un momento in cui iniziavano a crescere come funghi modalità di gioco parallele anche in altri generi, Namco decise di inserire nel gioco due divertenti alternative. La prima era il Tekken Force, una sorta di picchiaduro a scorrimento à la Double Dragon, con la piccola differenza che qui si utilizzavano i personaggi di Tekken in un ambiente tridimensionale abbastanza scialbo. La seconda era il Tekken Ball, una bizzarra partita a beach volley che se avrò provato quattro volte in totale è un miracolo. No, se si giocava a Tekken 3, ci si bastonava di mazzate nelle modalità arcade o versus, le uniche degne di nota.
Certo, chi si cimentava contro di me mi ha sempre accusato di usare i personaggi più forti (OK, usavo Heihachi o Jin Kazama, che menava come un fabbro) ma la vera verità è che ero più forte. E possedevo il gioco. Ed ero il padrone di casa. E sì, forse, usavo quelli più forti.
Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata a PlayStation Classic e alla prima PlayStation, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.