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La giungla degli 8 bit | Librodrome

La giungla degli 8 bit | Librodrome

Attenzione, in questa rubrica si parla di cultura. Niente di strepitoso, o che ci farà mai vincere il Pulitzer, ma è meglio avvertire, perché sappiamo che siete persone impressionabili. E tratteremo anche dei libri. Sì, quelle cose che all’Ikea utilizzano per rendere più accattivanti le Billy. E anche le Expedit. Ma solo libri che hanno in qualche modo a che fare coi videogiochi eh! Per tutti gli altri, c’è quell’altra rubrica.

Il periodo del videogioco a 8 bit è un colossale maelstrom multipiattaformico in cui non si capiva nulla all’epoca, figuriamoci guardandosi indietro a trent’anni di distanza. Troppo diversi erano gli hardware, alla faccia dei giochi multipiattaforma più o meno identici e delle esclusive che potrebbero girare dappertutto a cui ci stiamo abituando oggi, troppo diverse erano talvolta anche le filosofie. Quando un gioco usciva su cinque, sei, sette computer e console differenti, spesso, ci si trovava per le mani cinque, sei, sette giochi quasi completamente diversi, talvolta per questioni tecniche, in altri casi proprio per scelta progettuale o anche perché se ne occupavano team del tutto separati. Inoltre, la semplicità di sviluppo e produttiva, con ragazzini adolescenti che imparavano letteralmente a sviluppare da soli nello scantinato e poi proponevano i loro giochi a negozi, catene di distribuzione, piccoli publisher, quando non provavano a venderli direttamente loro, alimentava, assieme alla citata struttura multipiattaforma, un volume di giochi pazzesco, soprattutto se valutato in proporzione alle dimensioni di quel mercato. A questo, poi, va aggiunta la strutturazione ancora molto primordiale di un settore che non aveva proprio idea di come gestire le proprietà intellettuali, al punto che era pratica normale convertire su ZX Spectrum un gioco arcade di successo come Galaxians e metterlo in vendita senza nemmeno fare lo sforzo di nasconderlo dietro a un titolo diverso. E nessuno ti diceva niente!

E vogliamo parlare delle compilation pirata vendute in edicola come se niente fosse? Insomma, era un casino.

Destreggiarsi in quel macello, soprattutto dal punto di vista dell’analisi storica, è veramente complesso ma per fortuna il mondo è sempre più pieno di matti che si dedicano a questo genere di operazioni. È per esempio il caso di Jerry Ellis che, con The 8-Bit Book, traccia un percorso nella foresta nera dei giochi per computer a 8 bit, sfiorando certamente anche opere dal gran successo ma scavando soprattutto nel fango dei titoli di culto e, perché no, anche delle porcherie indifendibili. Il suo è un viaggio che traccia la strada fra piattaforme come il BBC Micro, l’Apple II, gli Atari a 8 bit, il TRS-80, i vari Spectrum e Commodore, l’MSX perfino il Sam Coupé e lo Psion Series 3, mettendo in fila una serie di titoli importanti, interessanti, curiosi, spesso più significativi di quanto possa sembrare a un primo sguardo, talvolta solo sfiziosi, senza dubbio degni di essere ricordati, anche solo per il fugace attimo richiesto dallo sfogliare il pratico libretto.

Nel volume, proposto in formato “widescreen” e agile brossura patinata, a una breve introduzione fa seguito una schedatura rozzamente divisa per anni, dal 1981 a spiccioli del decennio successivo, che presenta una lunga serie di giochi, uno per pagina, raccontandone genesi, contesto storico, curiosità, fattura, caratteristiche. È un’enciclopedia curiosa e bizzarra, che non ha alcuna pretesa di completezza ma è affascinantissima da percorrere per (ri)scoprire un’epoca perduta, lontana ormai anni luce ma fondamentale, fosse anche solo per il modo in cui ha tenuto in piedi la bandiera del videogioco casalingo quando, soprattutto negli USA, il crash firmato Atari fece sembrare tutto perduto. Una finestra deliziosa su mille mondi di cui ormai è facile non conoscere nemmeno l’esistenza.

Il libro è disponibile tramite il sito ufficiale dell'editore.

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