Vesper va sorseggiato assieme a un cognac
Con i metroidvania ho un rapporto molto strano. Alcuni mi piacciono, altri no. Probabilmente sembrerò un eretico nel dire che i primi capitoli di entrambe le serie in realtà non mi facevano impazzire, ma che mi sono letteralmente innamorato del genere con Symphony of the Night e tutti i suoi eredi che univano una narrazione elaborata ed elementi GdR al mix.
Quando mi sono avvicinato a Vesper, mi sono chiesto a cosa somigliasse, se più ai primi capitoli, o se di più a quelli che apprezzavo. La verità è che non somiglia a nessuno dei due, e la voce che gira che lo definisce un metroidvania è, in realtà, piuttosto sbagliata e lontana dal descrivere davvero il gioco.
Vesper è, fondamentalmente, un puzzle game camuffato da platform. Ci sono zone da superare, e ognuna di queste zone richiede una certa combinazione di salti, movimenti od operazioni. Il premio per risolvere questi puzzle è andare avanti nei vari livelli e scoprire, gradualmente, la storia dell’ambientazione di gioco, che parla di una guerra tra robot, codici, morali varie e assortite, e in generale un mumbo jumbo che può interessare o meno.
Non voglio parlare tanto del fatto se il gioco meriti o meno perché è uscito ormai da tempo, mi voglio focalizzare sullo stile artistico, per fare una riflessione. Una cosa facile da dire sarebbe affermare che il taglio minimalista sia stato scelto per risparmiare sul lato artistico. Sarebbe facile. Ma trovo che sarebbe ingiusto e in realtà voglio lodare il team (italiano) che ha creato il gioco perché è riuscito a dare un look unico ai personaggi e all’ambientazione. A volte c’è un minimo di narrazione indiretta, guardando elementi dello scenario o cosa si può vedere sullo sfondo, ma il più delle volte l’impressione che ho avuto, giocando, è di guardare dipinti astratti e fantasiosi che mostravano mondi lontani.
È in realtà proprio la direzione artistica che per me è il punto forte del gioco. I puzzle non sono nulla che non si sia già visto dai tempi di Another World o Heart of Darkness, non è quello il fulcro. O, meglio, il fulcro è quello, ma è anche il modo in cui interagisce con il mondo, lo scenario, l’atmosfera.
Per il resto, come gioco in se, è gradevole. Ci tengo comunque a dire che mi sono divertito nel provarlo, e che potrebbe appassionare chi è in cerca di un’esperienza più rilassata, quasi zen. I momenti davvero “tesi” nel gioco sono pochi e i puzzle sono quasi sempre risolvibili in scioltezza, non particolarmente innovativi, non particolarmente complessi. Può sembrare magari un difetto, detta così, ma io l’ho apprezzato, ed è magari uno di quei giochi da affrontare con un bicchiere di cognac vicino, e il pianoforte suonato magistralmente da Ludovico Einaudi (per tenere le cose in Italia) ad unirsi alla colonna sonora di Vesper.
Perché a volte si può giocare per l’arte e per l’atmosfera, più che per il gioco in sé.