I giochi del passato sono tutti capolavori, giusto? Sbagliato, e in questa rubrica andiamo proprio a ripescare i bidoni d'annata, le peggiori vaccate, le operazioni commerciali che speravamo di aver rimosso dalla memoria. Invece eccole qua, analizzate una ad una con rinnovato sadismo e una punta di ironia. Episodio 9 – L'oscido Bar (e la sala giochi tossica)
Un classico degli anni '80 e dei primi '90 era il barettino sotto casa con un paio di cabinati e frequentazioni che definire pessime è un complimento. Se oggi i videogame sono confinati quasi esclusivamente all'ambito casalingo, ai tempi l'unico modo per provare l'ultima novità arcade era recarsi in luoghi spesso malfamati e stucchevoli a livello di personale. Certo, esistevano anche le sale giochi gestite più o meno professionalmente, e qualche bowling adatto alle famiglie, ma in provincia il bar malfamato era ed è una costante, con tutto quello che porta e portava con sé.
E qui apro una piccola parentesi sul fenomeno Street Fighter II: quando il picchiaduro di Capcom arrivò sulle scene, l'impatto fu così tremendo da bonificare per qualche anno perfino questi luoghi. Al posto dei soliti ubriaconi, tossici e personcine a modo dello stesso genere, per qualche tempo anche i peggiori bar si riempirono di semplici appassionati di videogame, pronti a sfidarsi per ore. In quel breve periodo, si parla di un paio d'anni tra il 1991 e il 1993, l'atmosfera di certi locali era simile allo stadio, con gruppi di ragazzi a tifare per l'uno o l'altro campione locale e i bigliettini con il record, o intere lavagne, dagli aggiornamenti quotidiani.
Ma si è trattato di avvenimenti rari, se non unici nel loro genere: più spesso, per giocare senza essere infastiditi, bisognava recarsi al bar in gruppi di almeno tre o quattro persone, e il rischio di una rissa con qualche altro “visitatore” era sempre dietro l'angolo. Chi arriva dallo stesso periodo sa di cosa parlo e sicuramente avrà una storia da raccontare, spesso poco piacevole. Basta dire che gli scambi di opinioni, se vogliamo chiamarli così, erano molto peggio degli insulti che si sentono oggi in cuffia giocando ad Halo. Ovviamente, come da prassi per l'Italia, alcuni se non tutti questi locali erano una specie di zona franca: rarissima la presenza di forze dell'ordine o anche di qualsiasi controllo, nonostante le personalità che visitavano certi luoghi.
In positivo, talvolta l'oscido bar era l'unica occasione per conoscere altri appassionati di videogiochi, fare amicizie e passare qualche pomeriggio divertente. Essendo l'argomento videogame tabù nel periodo '80 e '90 in ogni conversazione pubblica, poteva essere sfiorato solo all'interno di circoli molto ristretti o luoghi di nicchia, spesso più simili a discariche. Un ambiente dove fumo, non solo di sigaretta, coltelli e altri simpatici gadget la facevano da padrone, e non solo nelle ore notturne. Tanto che spesso arrivavano tremendi cazziatoni dai genitori, solo per il fatto di essere stati visti nel suddetto bar... a giocare a un videogame! Altri tempi, sicuramente, ma per fortuna cercando bene si trovavano anche locali più o meno dignitosi, dove poter giocare tranquillamente.
Se è vero che la totale sparizione dei coin-op, sopratutto a favore dei videopoker, sia stata negativo per tutti gli amanti dei giochi arcade, è altrettanto vero che abitavano in una zona grigia poco salutare per i loro estimatori. Spesso, invece di entrare in sale giochi e locali degni di questo nome, l'appassionato di turno doveva essere pronto a fare brutti incontri solo per provare l'ultima novità, e magari restare fregato due volte (dallo stesso cabinato e da qualche luminare del posto).
La prossima volta che provate malinconia per una partita a Final Fight nel bar sotto casa, pensateci due volte: interpretare il picchiaduro Capcom, dal vivo, sarebbe molto peggio.