L'incredibile storia di Xenogears | Racconti dall'ospizio
Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.
È passato più di un ventennio, dalla pubblicazione di Xenogears. Ed è il caso di rispolverare l'incipit della celebre opera cinematografica firmata da George Lucas, anche perché, nel 2019, la galassia della prima PlayStation sembra davvero “lontana lontana”. Proprio tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana, il sottoscritto muoveva i primi passi nell'universo videoludico. E nel giro di qualche balzo nell'iperspazio, il sottoscritto – sempre lui – sarebbe finito a lavorare con il titolarissimo di Outcast. Proprio in quel fortunato e florido settore del sistema videoludico apparve dal pianeta Namco Xenosaga, un videogioco misterioso e sconosciuto per la maggior parte dell'equipaggio dell'astronave di UPM (“Ufficiale PlayStation Magazine”). O per quasi tutti. L'intrepido vice comandante Spino (l'immarcescibile Luca Spinelli) aveva già visto quella “cosa aliena”. Quella cosa non era altro che Xenogears, la prima opera videoludica della serie Xeno firmata da Tetsuya Takahashi, uno dei mammasantissima di casa Squaresoft. Inebriato dai racconti emozionanti del vice comandante, un po' com'era successo con lo splendido Vagrant Story della stessa Squaresoft (i meriti sono da ascrivere allo stesso Spino e sempre al titolarissimo di questo blog), mi sono avvicinato a quella cosa strana. Per qualche settimana, ho accantonato lo sfavillante monolito nero (leggasi Winning Eleven) per rispolverare – è proprio il caso di dirlo – la cara, vecchia PlayStation.
Che cosa c'entra Xenogears con la Cover Story di questo mese? Risposta: i robottoni alla Gundam/Daltanious/Voltron che caratterizzano le battaglie a turni in perfetto stile Squaresoft. Per fortuna, Xenogears non è solo robottoni. È un'opera di proporzioni bibliche, con un'ambientazione fantascientifica da brividi, una giocabilità perfettamente riuscita (o quasi) incastonata in un sistema di combattimenti a turni innovativo per i tempi (pur con qualche palese limite), con la gradita novità dei robot giganti. Un'opera summa, capace di sfondare il muro delle cento ore di gioco e di triturare “in senso letterale” le parti intime del giocatore con una narrazione costruita su una fitta e infinita rete di dialoghi testuali (in giapponese o inglese), difficile da metabolizzare, personaggi caratterizzati superbamente, dissertazioni pseudo filosofiche/spirituali, una colonna sonora per cultori firmata da Yasunori Mitsuda (Secret of Mana e Chrono Trigger, tanto per gradire) e riferimenti continui al mondo degli anime/manga.
La trama, melodrammatica e di non facile comprensione, dava quel tocco di unicità a un'opera dai contenuti epici. Xenogears era qualcosa di più di un mastodontico GdR con un'ambientazione fantascientifica e un classico combattimento a turni in salsa Squaresoft. Era un'opera intimista (fu pubblicato nel 1998, solo in Giappone e negli Stati Uniti) per pochi fedelissimi capaci di sorbirsi le quasi cento ore di gioco necessarie per comprendere la visione – molto criptica – dello stesso Tetsuya Takahashi. Per conoscere il destino di Fei Fong Wong e compagnia bella, era necessario sopravvivere a ore e ore di filmati (strategicamente piazzati nel secondo disco), per poi scoprire nei titoli di coda l'esistenza di un fantomatico “Episodio V”, che faceva tanto “in una galassia lontana lontana”.
Riassunto: Xenogears è proprio Episodio Cinque. Riassunto del riassunto: non sappiamo dove siano finiti gli altri quattro episodi di quella che si annunciava come una saga.
Il buon Takahashi, infatti, aveva ideato Xenogears ai tempi di Squaresoft come il primo capitolo di una saga fantascientifica di ampio respiro, in perfetto stile Guerre Stellari/Lucas. Tra infinite lotte per il budget e tagli continui al progetto, la genesi travagliata di Xenogears portò lo stesso Takahashi e alcuni fedelissimi (tra cui il famoso Hirohide Sugiura) a salutare la stessa Squaresoft per fondare Monolith Soft, che sotto l'ala protettiva di Namco e con la benedizione di Nintendo ci ha regalato altri innumerevoli titoli con il prefisso “Xeno” nel titolo. Non solo la sopracitata serie Xenosaga ma anche quella più recente Xenoblade, che ci ha deliziato negli ultimi anni sulle console della grande “N”. Mistero risolto, o quasi.
Per chi volesse approfondire il tutto, è possibile recuperare su Amazon uno splendido art book uscito nel lontano 2000 e intitolato Perfect Works: The Real Thing. Purtroppo, è in giapponese. Per la traduzione nella nostra lingua, fate un salto a questo indirizzo qui.
Per chi volesse giocarci, in questo momento esistono due possibilità: sullo store americano di PlayStation (è necessario avere o creare un account a stelle e strisce) lo si può acquistare nella categoria PSOne Classic al prezzo di 9,99 dollari. Se nello scantinato di casa o in un fondo all'armadio riuscite a recuperare la cara e vecchia PlayStation, potete recuperare su Ebay una copia originale del gioco: i prezzi partono dai 99 euro.
Grazie ancora, vice comandante Spino!
Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata all’arrivo di Neon Genesis Evangelion su Netflix e ai robottoni in generale, che potete trovare riassunta a questo indirizzo. Se fate acquisti su Amazon utilizzando i nostri link, una piccola percentuale di quello che spendete va a noi, senza sovrapprezzi per voi.