Yoshi, l’amichevole sauro di quartiere
Ho sempre amato Yoshi alla follia e il bello è che non so il perché. Sarà per quel suo nasone verde, che fa venire voglia di schiacciarlo come si fa con i clacson di gomma montati sui manubri delle biciclette, o forse per il paran gaudioso e unico con cui il nostro eroe verde caga uova (o gomitoli di lana, o quello che vi pare) come se non ci fosse un domani. Sarà per la sua capacità di fagocitare cibo come nemmeno i più golosi Paglianti d’annata, oppure – più semplicemente – perché i mesi passati su Yoshi’s Island coincisero con un momento davvero felice e spensierato della mia vita. Inutile comunque scavare nel campo della logica: l’affetto che provo per l’amichevole sauro di quartiere ne trascende i confini e sfocia invece nel sentimento più puro e incondizionato, come quello che si prova per un animale da compagnia col quale trascorrere parte del percorso nella difficile strada della vita.
Nel mio caso, l’amore sfiora quasi il patologico. In tutte le stanze della casa c’è qualcosa che riguarda Yoshi, da un magnete attaccato al frigorifero a un Amiibo che stanzia, in buona compagnia, su una delle mensole in camera di mia figlia; da un pupazzone di plastica che mi osserva faceto in bagno (spesso durante l’espletazione dei miei bisogni fisiologici) a uno di peluche che guarda di traverso gli automobilisti dal parabrezza posteriore e li invita – con una poderosa dose di dolcezza – a mantenere correttamente la distanza di sicurezza. Non parliamo, poi, di quando si tratta di accendere una console Nintendo e giocare in famiglia (ma anche con gli amici) a qualche titolo che preveda la scelta del personaggio: Yoshi è solo mio e chi fa il furbo deve essere pronto ad affrontarne le conseguenze. Mio figlio, per dire, è stato recentemente sorpreso a giocare online con Yoshi a Mario Kart 8 Deluxe: nonostante l’orgoglio paterno (stimolato dalle prestazioni clamorose del ragazzetto, che stava facendo pelo e contropelo ai soliti giapponesi) mi suggerisse nell’orecchio il contrario, la punizione è giunta sovrana nella forma di dieta da Oreo per una settimana, perché le regole sulle precedenze sono sacre e – per dinci! – vanno rispettate. Non avrei potuto permettere di lasciar passare un pericoloso precedente: ora l’accaduto resta a monito per chiunque, in famiglia, si faccia prendere da strane e improvvide idee, la prossima volta che si troverà di fronte a una schermata di selezione del personaggio.
La singolare forma empatica che mi lega al sauro più verde dell’universo è probabilmente affrancata dal suo essere protagonista nel mondo che amo di più, ovvero quello dei videogiochi; ci sono anzi elevate probabilità che il sentimento sarebbe esploso anche se Yoshi si fosse palesato al mondo come testimonial/mascotte di una marca di cereali o a supporto di un’attività locale dedita al cambio gomme. Peraltro, la cosa che amo di più del personaggio è il possesso di una capacità comunicativa talmente forte e immediata da non aver bisogno del dono della parola; è un assioma che certamente vale un po’ per tutti gli abitanti dei regni nati nell’alveo di Nintendo, ma che in Yoshi trova l’espressione più naturale. Sarà per questo motivo che l’unica volta che ho mal sopportato qualcosa a riguardo è stata quando gli hanno appiccicato addosso una voce, in quella mezza porcheria della serie animata di Super Mario World: al di là dei terrificanti valori produttivi e del mancato rispetto di alcuni fondamentali pilastri del lore nintendiano, Yoshi dotato di parola era qualcosa di profondamente sbagliato e che non avrebbe potuto funzionare per nessun motivo nell’universo. Glom e param sono tutto ciò che serve a Yoshi per donarci il suo incondizionato amore, proprio come un gatto che ci fa le fusa sul divano mentre guardiamo l’ultima puntata de La casa di carta. Tutto il resto è accessorio inutile.
Questo articolo fa parte della Cover Story “Jurassic Outcast”, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.