Outcast

View Original

Yoshi's Woolly World: Mago Merinos

Dott. Maderna, la ringrazio per avermi spinto a scrivere questa memoria. La sua terapia è estremamente raffinata, ne convengo. Di fronte alla mia ennesima recensione in ritardo, invece che sbraitare come un coguaro (ammesso che i coguari sbraitino, s’intende), si è limitato a tirare un lungo sospiro, a fissarmi negli occhi con benevolenza paterna e chiedermi quale lapsus, più o meno freudiano, mi avesse spinto in questo loop letale di coazione a ripetere. Una tripletta di recensioni in ritardo. Vabbe’ che Outcast è uno dei tre siti al mondo che contemplano, anzi, a tratti esaltano le “recensioni che se la prendono comoda”. E infatti. Ma lei dice il vero quando mi ricorda che sono io il primo a giurare, a spergiurare la mia idoneità a consegnare con puntualità la recensione allo scadere dell’embargo. Che parola strana, “embargo”. Nella stampa videoludica si è deciso di adottare questo termine che in me scatena pensieri associativi che mi portano in un arcipelago dei Carabi nella primavera del 1961.

E se così fosse, almeno avrei tutto il tempo di recensire questo Yoshi’s Woolly World. Hmm, no, forse sarebbe uguale, dubito che Nintendo mi darebbe un redeem code con così ampio anticipo. Nel 1961 stanno facendo carte da gioco, in marzo nasce Reggie, decisamente troppo presto. Mi ritroverei comunque a ridosso dell’embargo, proprio come sono adesso. Come dice? Ah, già, vero. L'ho già sforato, l’embargo. Sto scrivendo a oltre ventiquattro ore dalla scadenza del medesimo. Vede? C’è proprio una rimozione. Fin dall’inizio, quando mi è stata affidata la recensione, ho segnato una data sbagliata – venerdì prossimo – come data di consegna. Mi succede sempre con i giochi Nintendo, ci ha fatto caso? Sì che ci ha fatto caso. La sua terapia è proprio volta a scavare nel mio inconscio di giocatore di lunga, lunghissima data. Ero lì a sbavare su Yoshi's Island, quasi vent’anni fa. E non ero nemmeno un pargoletto. Avevo già ventuno anni. L’ho divorato. Mi sembrava un miracolo bilanciato tra stile e sostanza. Mi colpiva come, dopo Super Mario World, Nintendo avesse scelto di delineare una linea alternativa, una grammatica da platform game differente. Un ritmo, una densità, uno spettro di possibilità motorie che prendevano le distanze da quanto visto fino ad allora. Essendo Super Mario World, ora come allora, il mio platform game 2D preferito, un po’ ero spaventato: ma che, davvero hanno abbandonato il level design a blocchi, dove ogni due-tre secondi c’è una possibile ricompensa nascosta nello scenario? Ignoravo ovviamente che Yoshi’s Island avrebbe di lì a poco originato una serie spin-off, una delle tante. Che avrebbero deciso di capitalizzare sul suo ritmo differente abbassandone la difficoltà, nel seguito su Nintendo 64, per poi perdersi un po’ per strada. Yoshi’s Universal Gravitation e Yoshi Touch & Go? Più che altro dei tech demo, uno per il tilt sensor delle cartucce speciali del Game Boy Advance, l’altro per lo stilo del DS, che campano sulla simpatia del protagonista e sull’inimitabile stile degli asset grafici. Yoshi’s Island DS? Un compito ben eseguito ma anche una costante strizzata d’occhio al primo episodio, con la sensazione che le poche novità, in primis i diversi personaggi Nintendo che possono cavalcare gli Yoshi, fossero la cosa meno riuscita del gioco. E arriviamo all’altro ieri, a Yoshi’s New Island su 3DS, uscito a fine 2014, e il nostro Raffa ha egregiamente fatto il punto della situazione: stessi identici problemi del precedente Yoshi’s Island DS, con qualche ulteriore novità in meno e con il fastidio in più di quel farlocchissimo “new” nel titolo. E – ma questo è un fastidio personale – con la consapevolezza che a capo di Arzest, gli sviluppatori nati sulle ceneri di Artoon che se ne sono occupati, c’è in qualità di presidente Yoji Ishi, che nel Pleistocene fu il designer di Flicky, Teddy Boy Blues e tante altre figatissime figosità by SEGA. SEGA quando era buona. La migliore SEGA della nostra vita.

Dottor Maderna, perché le racconto la rava e la fava di tutta la serie di Yoshi’s Island? Be’, intanto per ritardare ancora un po’ la consegna della recensione. Ma anche per dire: per leggendario che possa suonare il concetto “Yoshi’s Island” nell’economia della storia videoludica nintendara, tutto sommato si tratta di una saga fatta di più passi medi e falsi che non di colpi da maestro. E i colpi da maestro sembrano tutti emanare dal primissimo episodio, nato, d’altro canto, in un’epoca mitica per la casa di Kyoto, temporalmente collocato tra due guanciali di eccellenza siderale quali Super Mario World e Super Mario 64. Bam! La migliore Nintendo della nostra vita. Non è divertente quanto dire “la migliore SEGA della nostra vita”, ma è se possibile ancora più pesante. Oh, the legacy, doctor Maderna!

Le sarà a questo punto chiaro il mio iter mentale. Ho preso tempo, nell’approntare questa recensione di Yoshi’s Woolly World, perché volevo essere sicuro. Ma sicuro sicuro. E più volevo essere sicuro, più lottavo con le mie insicurezze. Come uomo, come recensore, come erede di un me ventunenne visibilmente eccitato mentre finisce al 100% Yoshi’s Island alle quattro di mattina sul Super Nintendo manco suo, a casa di compagne dell’università che dormivano in letti a castello alle mie spalle, gli occhi insanguinati per beccare quelle dannate monetine rosse nascoste tra le monetine gialle senza usare la lente d’ingrandimento. C’è qualcosa di perturbante in questa scena, e forse ne dovremmo parlare nella prossima seduta, Dottor Maderna, ma per ora soffermiamoci sul bisogno di essere sicuro nel recensire Yoshi’s Woolly World. Sicuro che il gioco sia la figata che sembra. No, che non sembra. Che è. Yoshi’s Woolly World è il miglior Yoshi dal tempo del primo episodio. Nella forma e nella sostanza. Finendolo, e solo finendolo, ho fugato i miei dubbi, crescendo come uomo, come uovo, come recensore, come ventunenne, come quarantunenne e come Yoshi. Sono stato turbato da alcune sbavature qua e là, nella forma come nella sostanza, che comunque hanno influito su quella miserabile pila di decimali che è il voto numerico. Ma nella mia mente alberga ora un concetto unico, un “SÌ, CAZZO, SÌ”, una soddisfazione, una pienezza esperienziale.

E niente, io la chiuderei qua, dottor Maderna. Che dice? Mi sembra abbastanza chiaro.

Compratelo.

È una roba magica. “Mago merinos”, l’ha letto nel titolo, vero? È l’unico gioco di parole con la lana che mi sono sentito di fare uscendo in ritardo con una recensione in cui sicuramente tutti gli altri recensori si sono sbizzarriti in sagaci calembour lanuginosi.

Dice che non me la cavo così? Va bene. Ha ragione. La magia non esiste. La magia, nello sviluppo di un videogame, è tutt’al più un effetto che si spalma addosso al giocatore, ma che nasconde un lavoro razionale e metodico dietro le quinte. Ci si ritrova talmente rapiti da un gioco – e questo è esattamente il caso – da percepirne le parti come un tutt’uno di apparentemente inestricabile potenza espressiva. La razionalità depone le sue armi e lo stupore che ne consegue sembra avere le caratteristiche che normalmente attribuiamo alla magia. E questo meccanismo funziona tanto meglio se, iniziando a giocare, ci si arma al meglio proprio per combattere specchi per le allodole, facili entusiasmi e sporchi trucchi da game developer stagionati. Ti metti là, con la tua armatura da recensore, la mannaia pronta a cadere. Ti aspetto al varco, Yoshino mio. Se stavolta hai cannato sei finito, torna a fare il comprimario in Mario, e sarà un piacere usarti per spiccare un balzo sulla terra ferma mentre tu sprofondi nell’abisso.

Yoshino non ha cannato. Good-Feel, gli sviluppatori, hanno agito mossi da un’ispirazione tutto sommato costante. Niente Miyamoto, nemmeno la musica di Koji Kondo, ma in cabina di regia c’è Takashi Tezuka, quello che si fa il culo mentre Shigerone va in giro per il mondo a rilasciare interviste, da sempre. Il primo Yoshi era farina sostanzialmente del suo sacco creativo. Ed eccolo qui, a controllare, sicuramente lui in primis con la mannaia pronta. Ma Good-Feel sa il fatto suo. Tralasciamo pure per brevità (disse lui all’ottomillesimo carattere) chicche preziose ed eccentriche quali La Scatola delle Fiabe: Forme Nascoste in Prospettiva per DSiWare. Da WarioLand: the Shake Dimension a Kirby e la Stoffa dell’Eroe fino ad approdare a questo Yoshi’s Woolly World, sono sempre andati crescendo in quanto a consapevolezza. E si sono tolti uno sfizio importante tanto per loro quanto più per noi: far sì che in questo gioco ci sia un reale, tangibile senso di sfida. Pensate un po’: un senso di sfida in un gioco con vite infinite! Ebbene, non è ver che sia la morte il peggior di tutti i mali. Non più, non necessariamente. Che vi aspettavate, YoshiSoulsLike? Hey, è un’idea, ma lasciamo stare. Qui il senso di sfida è la vera costante percepibile lungo tutto il gioco. Soprattutto all’inizio, potreste anche tirare dritto, fare un paio di saltini e chiudere il livello. Ma sinceramente: voi entrereste al Louvre solo per correre come dei pazzi lungo i corridoi fino a raggiungere l’uscita? Non sareste nemmeno un po’ curiosi delle informazioni che intravedete attorno a voi? Anche questo è level design, signori. No, non quello del Louvre. Quello è design museale e a dirla tutta ci sono più affinità che divergenze, ma parliamo di Woolly World. Entrate in un livello, un qualsiasi livello, e cominciate a guardarvi intorno. Anche al netto dell’aspetto grafico, quello viene dopo. È una foresta di simboli, come direbbe Baudelaire. Gemme da raccogliere (sono i nuovi coin). Ogni tanto una gemma rivela l’icona di un timbrino. In mezzo a tutte le gemme ce ne sono venti per livello. Hmm, layer aggiuntivo da considerare. E quei gomitoli di lana? Prendetene cinque e per ciascun livello sbloccherete una skin lanuginosa sempre differente per Yoshi. Non li trovate? Eh, sono nascosti. E le cinque, classiche margherite da recuperare? Non trovate nemmeno quelle? Già, le hanno nascoste proprio bene, vero? Se non le trovate tutte per ogni mondo, scordatevi i livelli segreti. E poi ci sarebbe il fatto che per PERFETTARE il livello dovreste arrivare alla fine con tutti i cuori di energia, altrimenti c’è questo scoramento da giocatore di seconda categoria che entra in circolo.

Tanta roba, Dottor Maderna. E io ero pronto con la mia mannaia da recensore a scrivere “CHE PALLE RAGA”. Giuro. Compreso il “raga”. Il raga della sera. Quello che intona Yosho per portare serenità nell’ashram di lana. OK, OK, lasci perdere. Ero pronto. E il level design mi ha smontato, disarmato che ancora non capisco come. La roba infinita da raccogliere io la odio, nei giochi. È almeno dal 1980 che RACCOLGO ROBA! OH! I puntini. I fiorellini. La frutta. Le chiavi. I power up. Ho tutti i diritti di essere stufo di raccogliere roba. Se penso alle banane colorate di Donkey Kong 64 vomito.

Eppure bastava un gusto innato nella disposizione tanto della roba visibile quanto di quella invisibile. Cioè quello che Good-Feel ha saputo mettere in atto in questo gioco. Non solo i raccoglibili visibili guidano, con la loro disposizione, alla agevole ricerca di molti invisibili. È la stessa struttura architettonica dei livelli a rivelare - ma a volte anche ri-velare – dove si nascondano quelle dannate nuvolette col punto di domanda che celano i bonus più elusivi. L’ineffabile sensazione di rifare un livello e sentirsi dei poveri mona per non aver saputo decodificare l’indizio al primo giro. O, viceversa, il ringalluzzimento derivante da aver NAILATO tutto al primo colpo, evento più o meno raro a seconda di quanto siate dei maniaci raccoglitori.

Il senso di sfida ha naturalmente una curva di progressione. Mentre avanzate, livello dopo livello, mondo dopo mondo, percepite che il cimento di raccolta si fa sempre più arduo. E che più osate nel cercare, più mettete a rischio la vostra vita, perché sì, ci sono dei passaggi cattivelli. “Cattivelli come in Yoshi’s Island?”, chiede lei. Sì, Dottore. Ma ci sono alcune differenze importanti di cui non le ho ancora parlato. La prima è che qui non c’è nessun dannato poppante da portarsi sul groppone. E ciò significa una immane rottura di palle in meno. Era la parte più irritante di Yoshi’s Island, così come dei suoi seguiti – mollare l’eleganza dell’incedere per correre dietro a un pargolo frignante in una bolla dai movimenti elusivi, raccoglierlo e scoprire che col piffero che finisci il livello col perfect, ciccio. Bella novelty sul momento, nel 1995, ma si poteva chiudere là per sempre, a mio avviso. Qui ci sono i cuori di energia come su Nintendo 64, solo che stavolta c’è pure il gioco intorno. Simple as that.

E poi ci sono le spille. Qualcosa di simile si trovava già nel capostipite – aiutini attivabili durante qualsiasi livello. Fammi vedere dove sono gli oggetti nascosti! Voglio sputare semi d’anguria ora! Aiuto, sono senza energia, REFILLAMI! Stavolta, però, le spille – che sono cresciute per numero e varietà a dismisura – vanno attivate prima di iniziare il livello. È una differenza tattica interessante, che può portare a un’esperienza di gioco anche parecchio diversa. Giocando mi sono imposto di non usare mai spille al primo incontro/scontro con un livello, ma magari poi sì. L’ho fatto perché stavo recensendo il gioco, giammai mi sarei macchiato di aiutino, altrimenti. Così facendo, sono incappato in situazioni anche surreali – portarsi dietro Poochy il cane stupido in un livello ove egli non era previsto si è rivelato a volte prezioso, a volte demenziale. Allo stesso modo, sputare semi d’anguria infiniti con refill infinito rappresenta un vantaggio offensivo notevole, ma anche un problema laddove ci sia più che altro da prodigarsi in gioco di lingua (nemmeno Yoshi può slinguare con la bocca piena di semi, lo dice la scienza!)

Non che ci sia davvero bisogno delle spille per cercare varietà ludica nei livelli di Yoshi’s Woolly World. L’invenzione è costante e il connubio tra delizia visiva e trovata funzionale è encomiabile. Come mamma Nintendo insegna, ogni livello è incentrato su una trovata di design precisa, che viene riutilizzata e rimiscelata fintanto che è divertente, poi non la vedi più finché non comincerà a mancarti e solo allora, forse, ti verrà riproposta. Un Categnaccio di fil di ferro ci insegue minaccioso, ma se lo colpiamo con un gomitolo di lana si trasforma in una sfera inerte (e inerziale) da usare come punto d’appoggio, solo che in questo stato non può seguirci avanti nel livello, e allora liberalo, e daje che ci segue, e ri-pallalo, e usalo, e via. E che dire dei Sofficioccoli, batuffoli pennuti che, se raccolti al posto dei soliti gomitoli, lasciano delle scie solide che possono essere sfruttate come piattaforme? È la cosa più vicina a un seguito bello di Rainbow Islands che mai potremo pretendere dal mondo, accettiamolo. Questo giusto per buttare due esempi presi a caso tra la cinquantina di livelli che compongono il gioco, ma non sono nemmeno i più sorprendenti.

Beninteso, la grammatica ludica resta grosso modo quella del primo episodio, ma la sua attuazione in level design è ricca, bilanciata e variegata, e le aggiunte stavolta sono significative, cosa che non si può dire dei predecessori. In più, la rappresentazione grafica “render poligonale del mondo, giocabilità in due dimensioni” è sfruttata in maniera convincente, con mondi su più livelli e boss che si ritirano nel fondale per attaccarvi indisturbati. Definirei la qualità dei livelli e delle invenzioni in genere medio-alta, con un quinto dei livelli che sono invece da standing ovation; rari i momenti poco ispirati, tanto che si notano marcatamente proprio per la loro occasionalità. In un genere abusato negli anni (e in Nintendo) come il platform, mi sembra un risultato degno di nota. Oltretutto, seguendo una raffinata tattica anticommerciale, il primo mondo del gioco non è rappresentativo delle vette qualitative che si raggiungono invece più in là.

Un plauso particolare va alle trasformazioni: da sempre, in punti specifici, Yoshi si trasforma in un razzo missile coi circuiti di mill no, si trasforma in robe che si muovono in maniera diversa rispetto al solito. Per un minuto, in determinate aree di gioco, il ritmo cambia drasticamente. Yoshi Moto! Yoshi Talpa! Yoshi Gigante! Un esempio di “exotic gameplay” da manuale, soprattutto perché qui si palesa solo il giusto. In alcuni mondi (secondo e terzo) mi aspettavo addirittura di incontrare più trasformazioni, mentre c’è una strana flessione quantitativa.

Altro punto in cui non riponevo particolare speranza: il multiplayer a due giocatori. E invece è un piacere, ed è vero in molti – non tutti – livelli. Fossero stati quattro giocatori, l’inferno. Ma in due si scatena una chimica cooperativo-competitiva che coinvolge, Dottor Maderna, perché assai bene si comporta la meccanica costituita dall’ingoio del proprio partner, con susseguenti trasformazione in uovo e lancio del medesimo, diciamolo, affanculo. Da provare. Su un piano completamente accessorio, invece, sono da provare gli Amiibo. Quale? Qualsiasi. Vedrete Yoshi ricamarsi magicamente col pattern grafico dell’Amiibo in questione. Più volte, nel suo ashram, Yosho invitava gli adepti a godere dell’effimero, qualora già si siano raggiunte adeguate vette di conoscenza del Bene e del Male. E se avete visto l’ultimo E3, sicuramente questa consapevolezza ce l’avete, quindi piazzate gli Amiibo sul paddone sans soucis. E sì, usate il paddone o il Controller classico, il Wiimote solo se proprio non avete niente di meglio da fare che addolorarvi gli indici.

Dottore, ci siamo quasi. L’uovo è quasi uscito, ancora un piccolo sforzo! Ma non mi chieda di parlare della grafica. No. Questo no. Mi faccia solo dire che ogni tanto il gioco scatta leggermente, e che c’è una disparità di dettaglio nelle texture che a tratti è davvero inspiegabile. E che l’hub di gioco non è ottimizzato per niente e va a 25 frame al secondo, al contrario del gioco che, rallentamenti a parte, sta serenamente a 60. Ecco, mi faccia sputare solo gli aspetti negativi, perché poi, per il resto, parlando tanto della grafica quanto della colonna sonora, ci son da dire solo fiori, stelle e cose belle. Mi tolgo il berretto davanti a una simile, altissima direzione creativa. La matericità lanuginosa si fa pura emozione e pertanto inevitabilmente non riuscirà a raggiungere tutti allo stesso modo. C’è un tessuto, nella memoria di tutti, che visivamente o tattilmente conduce a un altro luogo, a un altro tempo. Be’, in Woolly’s World c’è molto più che pura lana. Dal velluto a coste al taffettà, dal lamè alla canotta, dalle tende al velcro, non c’è materia tessile che non sia stata contemplata e riprodotta. Se qualcheduna tra queste non convince fino in fondo, nell’insieme il giocatore con il compatibile tasso di sensibilità non potrà che deliziarsene ugualmente. Ma chissà, sono cresciuto in un decennio, gli anni Ottanta, dominato da macchine per maglieria casalinghe, con nonne e zie che sfornavano maglioni in quantità evidentemente esagerata. Potrei quindi essere poco attendibile su questo punto, e non indugio oltre. Per quanto concerne il sonoro, immaginate il tipico frame giocoso di Yoshi’s Island, ma con temi nuovi ed efficaci, strumentazione sopraffina e una rosa di generi che spazia impunemente dal cool jazz all’heavy metal.

E tutto questo lavoro immane di game development noi poi lo si chiama con leggerezza “magia”. Un modo un po’ grezzo di dire che il tutto è superiore all’insieme delle parti e questo fenomeno si trasforma in gioia e stupore. Ora, Dottore, vorrei mettermi a sbraitare un po’ sullo stupore del fanciullino del Pascoli, sarà l’onda lunga del periodo degli esami di maturità. Ma non lo farò, accomiatandomi invece con una poesia di William Wordsworth, quella che contiene la celeberrima frase “The Child is Father of The Man”:

My heart leaps up when I behold A rainbow in the sky: So was it when my life began; So is it now I am a man; So be it when I shall grow old, Or let me die! The Child is father of the Man; And I could wish my days to be Bound each to each by natural piety.

Nintendo ha dato al Dottor Maderna il codice della gioia ed Egli me lo ha passato tramite l’illuminato sovrano Nabucodonosor I di Babilonia. Ho finito il gioco in una decina di ore a cui aggiungerei un tre ore a cercare di ottenere i perfect sui livelli già affrontati. Stimo che per finire il gioco al 100%, con qualche aiutino qua e là, potrei totalizzare un tempo di gioco attorno alle 18 ore. Ho testato una decina di Amiibo rubati dalle scrivanie dei miei colleghi in ufficio. E poi restituiti. Ho riso. Ho lottato. Ho addirittura lottato e vinto contro la tentazione di acquistare l’Amiibo di lana, ultima sacra reliquia di Yosho. Ah, se comprate Yoshi's Woolly World (o qualsiasi altra cosa) su Amazon Italia passando da questo link, una piccola parte di quello che spendete arriverà a noi. Preferite Amazon UK? Non c'è problema!

VOTO: 8,5