Planetarium, only for fans di Natalie
Francia, anni Trenta, non manca poi molto allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e determinate tensioni iniziano a manifestarsi in maniera sempre più forte in un po' tutti gli ambiti, compreso quello di un settore del cinema che è oltretutto già abbastanza in ansia per i fatti suoi, fra gli strascichi della crisi economica e il crescente complesso d'inferiorità nei confronti dei colleghi statunitensi. In questo contesto si muovono Laura (Natalie Portman) e Kate (Lily-Rose Depp), due sorelle americane che girano per l'Europa armate dei poteri da medium della minore e del piglio imprenditoriale della maggiore. La coppia di squilibrate intrattiene il vecchio continente a botte di "seance" in cui rievocano i cari estinti della clientela e s'imbatte in un produttore cinematografico che si invaghisce di loro due, o forse solo dei relativi poteri. Decide quindi di accoglierle in casa propria e mette in produzione un film/documentario con cui mostrare al mondo la verità sul sovrannaturale. E poi rotola tutto a valle.
La sceneggiatura, scritta dalla stessa Rebecca Zlotowski assieme a Robin Campillo, parte per la tangente, si incarta in mille discorsi diversi senza portarne avanti mezzo in maniera concreta, buttando nel mucchio riflessioni metacinematografiche, indagini sulla reale natura dei seance, lampi di erotismo appena accennato e pure una deriva conclusiva sulla tragedia dell'antisemitismo che esplode in quel periodo (in particolare con la figura del produttore, che pare ispirata a quella di Bernard Natan). Se riesci a far funzionare così tanti discorsi pressati assieme in cento minuti, probabilmente, tiri fuori un capolavoro. Zlotowski, purtroppo, non ce la fa e tira fuori un film interessante nelle tematiche ma pasticciato nella scrittura e per nulla efficace nel dare forza all'anima emotiva, che ogni tanto emerge e cerca malamente di cucire tutto assieme attraverso le vicende dolci, passionali e infine tragiche delle due sorelle. Se si arriva in fondo è più che altro per due aspetti che risvegliano continuamente lo sguardo e donano al film una salvezza forse immeritata.
Da un lato c'è un discreto lavoro sulle immagini, con Zlotowski che si diverte a pasticciare sul tema del cinema nel cinema, giocando in maniera se vogliamo banale e stucchevole ma tirando fuori piccoli racconti interessanti su come funzionavano le cose all'epoca e improvvisi lampi visivi giocati per lo più sullo sbattere continuamente Natalie Portman di qua e di là fra set, film nel film all'interno del film, realtà, finzione, sogno, magia, spettacolo, poesia, whatever. E poi, appunto, c'è Natalie Portman, che trasuda personalità da ogni poro, coglie l'occasione per ostentare la sua padronanza della lingua francese (cosa che immagino si perda nel doppiaggio italiano) e si mangia il film con un carisma e una presenza da stella come non è che se ne vedano poi tanto spesso. Poi, certo, sarebbe preferibile se performance del genere non venissero sprecate in film così incasinati, ma è comunque un bel vedere e tutto sommato ti trascina fino in fondo, anche se controvoglia. Only for fans di Natalie, insomma. O della faccia da schiaffi di Lily-Rose Depp, volendo, che ha meno da fare ma tutto sommato non disturba e non sporca in giro.