Cose impossibili: 17 anni (e come uscirne vivi)
Iniziamo con una banalità, per quanto scontata possa risultare: l’adolescenza è una di quelle cose che ti porterai dietro tutta la vita. I piccoli grandi problemi, il perenne senso di disagio, l’insostenibilità della vita e tutte quelle componenti che spesso gravano sui pensieri di chi, invece, in quanto adolescente, dovrebbe essere semplicemente spensierato. È capitato più o meno a tutti, no? Insomma, in quanto periodo di forte transizione, l’adolescenza rimane dentro di noi, nel bene e nel male. E il cinema ha fatto spesso leva su ciò, dando vita a una serie di produzioni ribattezzate “coming of age”. Eppure, da qualche tempo a questa parte, qualcosa sembrava essersi inceppata, con i suddetti coming of age che entravano sempre più in rotta di collisione con quell’approccio indie da Sundance, facendo dunque nascere una serie di pellicole parecchio stereotipate nella forma e nei contenuti. Eppure non va sempre a finire così. Tipo The Edge of Seventeen, uscito nelle sale italiane col titolo di 17 anni (e come uscirne vivi), che è una gran bella bomba.
Diretto dalla debuttante Kelly Fremon Craig, che ne ha anche curato la sceneggiatura, The Edge of Seventeen ruota attorno a Nadine, una diciassettenne, interpretata splendidamente da Hailee Steinfeld (la ragazzina de Il Grinta dei fratelli Coen, ricordate?), alle prese con le classiche problematiche da adolescente incompresa: il mondo che non ti capisce, minchiate dette spesso a proposito, ragazzi strafighi che non ti si filano eccetera. La tipica infarinatura da coming of age, appunto; se non fosse che dopo non molto arriva il twist che rivolta il film come un calzino, cioè quando il fratello di Nadine, il tipico strafigo palestrato oltre che primo della classe (e dunque suo esatto opposto), si fidanza con la migliore, ed unica, amica della sorella. Una di quelle robe che ti fanno implodere, ecco. Ed è infatti a questo punto che il mondo di Nadine, pieno di incertezze e con la propria amica come unico punto di riferimento, crolla, ampliando le problematiche a più non posso e creandone di nuove dove nemmeno se ne sente la necessità.
Nel raccontarti questa semplice ma contorta vicenda, Kelly Fremon Craig riesce a rendere lo spettatore quasi protagonista, evidenziando sì i disagi tipici di quell’età, ma facendolo con freschezza, un tono ilare che farà strappare una risata amara agli under 21 e, parallelamente, facendo sghignazzare con un pizzico di malinconia chi la fase adolescenziale l’ha già superata da un bel pezzo. Questo grazie a un’ottima gestione dei ritmi, sempre perfetti, riuscendo a far ridere quando serve e a riflettere quando ce n’è bisogno. Un aspetto che funziona soprattutto per l’ottima scrittura su cui The Edge of Seventeen poggia le proprie basi e che è esaltata dalla fantastica prova della sua protagonista, Hailee Steinfeld, accompagnata poi da un cast di tutto rispetto (c’è un Woody Harrelson che riesce quasi a mangiarsi l’intero film nonostante compaia in appena una manciata di scene). Il tutto accompagnato da uno stile che sì, come si intuisce facilmente già dal trailer, si rifà al già citato andazzo indie dai tratti tipici del Sundance, ma non dà mai la sensazione di eccedere, tipo con quei colori perennemente sparati a mille o in quelle odiose sequele di brani selezionati dal lettore medio Pitchfork. Fa il suo, ecco; si limita ad accompagnare una storia semplice, vera e narrata incredibilmente bene.
Ho visto The Edge of Seventeen al cinema, beccandolo, grazie ad un’anteprima, in lingua originale e con i sottotitoli in italiano. Tra l’altro, l’ho visto dopo aver recuperato, con colpevole ritardo, un altro film di impronta adolescenziale, The Spectacular Now. Inutile dirvi che, nei giorni seguenti, non ho fatto che rivangare la mia merdavigliosa adolescenza.