Wolfenstein II: The New Colossus schiaffeggia il toupée di Trump
Ho amato pochi giochi come Wolfenstein: The New Order. Il ritorno nella modernità di William J. Blazkowicz era un concentrato di pathos, azione a tutto spiano e buona varietà di situazioni che mi fecero pensare, nonostante il paragone ardito, a una sorta di No One Lives Forever in salsa muscolare e testosteronica.
Per questo l’attesa per questo Wolfenstein II: The New Colossus, seguito diretto del gioco che più ho fatto comprare ai miei amici, è stata molto alta. Nonostante il finale di The New Order, per quel che mi riguarda, fosse perfetto di per sé, con l’eroico sacrificio di Blazko. Ma gli sporchi nazisti sono ancora padroni del mondo e la morte, l’unico riposo possibile per un uomo come William J. Blazkowicz, può attendere.
Se possibile, The New Colossus ha ancora più azione di The New Order, senza rinunciare agli elementi stealth - talvolta necessari, specie nelle sezioni più avanzate - che hanno reso così godurioso il primo episodio. Ci mette un po’ a decollare, complice anche una narrazione forse meno riuscita di quella del suo diretto predecessore, ma poi ti abbraccia e ti porta con sé fino ai titoli di coda, riuscito culmine del rinnovato mood della serie: pieno di momenti drammatici, certamente, con i ricordi sofferti del piccolo Blazko, ma anche con molta più caciara, irriverenza e uno spirito da ragazzino ribelle che durante l’occupazione al Liceo urla slogan antisistema mentre tutti gli altri pensano solo a fumare canne o tracannano vino di pessima qualità.
Di ottima qualità, invece, la veste grafica, di quelle che quando tutto comincia a esplodere e prendere fuoco resti a bocca aperta come un imbecille, mentre le pupille si dilatano e picchietti il mouse come se non ci fosse un domani. Sì, perché io ci ho giocato - con enorme piacere - su PC, non incappando in bug a differenza di, pare, mezza utenza di Steam. Fortunato io, evidentemente, che mi sono goduto ogni singola testa nazista saltata e/o esplosa.
Ma soprattutto, il vero merito di Wolfenstein II: The New Colossus è, paradossalmente, nell’ingenuità del suo messaggio. Nel dire chiaramente, con la schiettezza che potrebbe avere un bambino di otto anni, che i nazisti di qualsiasi epoca, nazione e realtà, alternativa o meno, sono feccia. Che il razzismo e la xenofobia non dovrebbero aver posto in nessun mondo. Un messaggio banale, certamente, ma che nell’epoca in cui viviamo e, soprattutto, nel paese di appartenenza del publisher di questo Wolfenstein, è giusto che venga ribadito, alla luce di movimenti di chiara ispirazione fascista e revisionismi basati su maldestri tentativi di rebranding. Sì, “alt-right”, ce l’ho con te.
Insomma, Wolfenstein II: The New Colossus non sarà il miglior gioco del 2017 e certamente non ha lo stesso impatto del suo predecessore. Ma resta un buon gioco e, soprattutto, il videogame che l’America forse non voleva (non sembra stia vendendo benissimo), ma di cui credo abbia bisogno.
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Questo articolo fa parte della Cover Story "I (nostri) migliori anni del videogioco", che trovate riepilogata a questo indirizzo.