Outcazzari

Akai Katana: nel cuore, nell’anima, nel sorriso, nel pianto

A leggere alcune recensioni angloamericane di Akai Katana, sembrerebbe che la valutazione del suddetto titolo ruoti intorno a pochi ma fondamentali concetti: il gioco costa tanto in relazione a ciò che offre, soprattutto se paragonato a Sine Mora, in vendita su Xbox Live Arcade a ben altra cifra, ha poche modalità, tutte simili tra loro, e non presenta nulla di nuovo rispetto ad altri titoli Cave. È, inoltre, il solito "Danmaku prendere o lasciare". Come dire, non se ne sentiva granché il bisogno, a meno di essere uno di quei rari cultori del genere che vive di classifiche e punteggi e che ha, come minimo, tre occhi al posto di due e dita ad articolazione cibernetica. Che dire di tutto ciò? Che, in effetti, Akai Katana costa tanto rispetto a Sine Mora, non offre nulla di nuovo rispetto a chicchessia, ha tre sole modalità, due a voler essere pignoli (ma tutt’altro che simili), e sì, appartiene a un genere di nicchia. Mi sembrava giusto ribadirlo: queste questioni devono per forza essere importanti. Perché specificarle, altrimenti?

Raccontare un Danmaku è un'operazione fine a se stessa. Raccontare Akai Katana lo è ancora di più: si farebbe prima a registrare un filmato della partita perfetta, quella che dopo una quarantina di ore intense si riesce forse a sfiorare, e lasciare che il lettore lo guardi e lo riguardi, certi che finirà per chiedere a se stesso se quello che vede è reale, possibile e, soprattutto, ripetibile. Che poi è un po’ quello che succede quando accedi per la prima volta al gioco. Dopo essere morto quelle tre o quattro volte senza averci capito nulla del sistema di moltiplicazione dei punti, vai a vedere le classifiche, scarichi la partita registrata del primo della classe e la rimiri estasiato, cercando di assimilare le tecniche usate e ripetendo a te stesso che sì, io farò meglio di così! E fare meglio di così vuol dire una e una sola cosa: provare, provare e provare, e provare ancora. Fino a quando si raggiunge un livello tale di sintesi tattile con il pad e visiva con lo schermo, che quello che prima non era possibile magicamente lo diventa: schivare miliardi di proiettili, inscatolare lo sguardo sul punto che delinea la Hit Box, tenere in piedi una combo da diecimila colpi, ricaricare energia, raccogliere denaro, trasformarsi da aereo a fantasma e da fantasma in aereo e altre cose ancora, tutte importanti, tutte da svolgere nello stesso tempo senza commettere il minimo errore: no, non è solo una questione di sopravvivere al fuoco nemico.

In Akai Katana Origin, modalità che ricalca la versione Arcade, con schermo in 4:3, si gioca di fino, come se si stesse interpretando uno strategico in tempo reale. Mentre si cerca di sopravvivere, che alla fine è il meno, bisogna ricaricare quanto più velocemente possibile la barra di energia che permette all’aereo prescelto di trasformarsi nel suo alter ego fantasma (non sto a spiegare i dettagli della trama, né il perché né tantomeno il per come gli aerei assumano fogge umanoidi). In questa forma si diventa invincibili e si può raccogliere denaro, vale a dire punti, quando si colpisce il nemico. Per ottenere energia, in forma di aereo, c’è una doppia strategia minima da seguire: con il fuoco debole (leggera pressione del tasto di attacco) si favorisce una fuoriuscita cospicua di blocchi di energia dai nemici, blocchi che o vengono subito assimilati o vengono fatti ruotare intorno all’aereo attivando, con l’attacco potente (pressione prolungato dello stesso tasto), il braccio spirituale di cui ogni aereo è dotato. L’energia che ruota intorno all’aereo cresce di volume e di intensità quanti più proiettili contrasta: per incrementare le dosi di energia bisogna, in sostanza, lanciarsi contro il nemico come kamikaze. Qual è il problema? Che in modalità Origin è proibitivo restare in vita quando si pilota l'aereo. Scordatevi le schivate tipiche dei Maniac Shooter! La velocità non viene rallentata, non ci sono freni inibitori alle eiaculazioni nemiche, si viene colpiti subito, senza tante storie. E infatti il trucco consiste nell’accumulare energia alla velocità della luce e trasformarsi quanto prima in fantasma. Questi, di per sé, quando spara leggero o non spara affatto è invincibile: rimbalza letteralmente ogni tipo di proiettile. Quando spara pesante e viene colpito, invece, rincula nella forma primaria. Chiaro, no? E il moltiplicatore, come funziona? Qui viene il bello.

I punti arrivano sotto forma di globi dorati, che ruotano automaticamente attorno al fantasma e, similmente all’energia, crescono di misura e valore quando vengono colpiti. La partita, insomma, è tutto un trasformarsi, un raccogliere risorse attraverso tecniche specifiche (divina quella che permette di moltiplicare i proiettili a ricerca automatica), un ingrossare blocchi verdi e blocchi dorati, un cercare di capire qualcosa di sé, del mondo e della vita, mentre gli occhi vengono tempestati da impulsi di diversa natura. Non c’è ipnosi, né tensione, tantomeno adrenalina, soltanto una concentrazione assoluta che sfianca dopo poche partite. Origin è esigente, sia che si giochi in modalità Novice, Normal o Climax (versione aggiornata per Xbox 360, con schermo in 16:9 e con alcune varianti che la rendono esclusiva per i giocatori più esperti). Origin non è nemmeno divertente, quel divertimento puro, immediato, spartano che caratterizza gli sparatutto più classici, intendo dire, quanto stuzzicante, raffinato, una sospensione in assenza di tempo, come una partita a scacchi. Si gioca in uno stato di alterazione della realtà: ogni gesto è mirato, preciso, calcolato. Si diventa ragionieri dello spazio: esseri in grado di anticipare il futuro, vedere oltre e bilanciare l’universo. Un’esperienza diversa, catartica. Affascinante.

In Akai Katana Slash, invece, si torna di prepotenza dentro il Danmaku più classico. Aereo e fantasma coprono ruoli parzialmente diversi rispetto a quanto fanno in Origin, la scansione del ritmo cambia, la velocità viene rallentata a più riprese, il fuoco nemico diventa schivabile. Infatti, uno, non si è più invincibili in modalità fantasma e, due, in forma di aereo si possono finalmente percorrere lunghi tratti dei livelli, osando ciò che prima non era nemmeno pensabile. L’aereo è deputato ora a una doppia raccolta: energia da una parte, guidando il braccio spirituale contro i nemici, blocchi di acciaio dall’altra, con il fuoco leggero. L’energia serve sempre a trasformarsi, l’acciaio a raccogliere sfere positroniche. Queste, non appena l’aereo muta in fantasma, vengono lanciate contro i proiettili e i nemici, rendendoli moneta sonante di piccola taglia. Alle monete di grossa taglia, invece, ci pensa il fantasma, accumulando intorno a sé potentissime Katana da utilizzare quando l'energia sta per scadere. Come al solito il tutto è più facile da giocare che da spiegare: si schizza come folli da una parte all’altra dello schermo, cercando di raccogliere tanta energia quanto acciaio, e poi ci si trasforma, scagliando l’impossibile contro i nemici. Dopo aver raccolto tonnellate di piccole monete dorate, si concentra il fuoco sugli avversari più grossi per raccogliere Katana, e non appena miriadi di proiettili in sospensione forzata si accumulano intorno al fantasma, si affonda la lama per far esplodere all’unisono qualsiasi cosa si muova sullo schermo, sicuri di ottenere un punteggio colossale. Il tutto, e non è cosa da poco, provando a tenere in vita il contatore della combo per l’intera durata del livello. Senza dimenticarsi di sopravvivere. Mai giocato un Danmaku dove si fanno tante cose contemporaneamente. Tentacolare!

Akai Katana funziona alla grande. I tre aerei presenti sono caratterizzati quanto basta da regalare esperienze di gioco differenti. I livelli sono pochi e corti, ma non potrebbe essere altrimenti: questo è un gioco votato al punteggio e al perfezionamento continuo, anche un solo schema in più sarebbe stato fisicamente e mentalmente insostenibile, soprattutto in modalità Origin. Le battaglie contro i boss sono lunghe, dense e ben calibrate, l’adrenalina scorre con moderazione, il senso di onnipotenza, pur non raggiungendo i gradi di un Dodonpachi qualsiasi (quintessenza della danza tra i proiettili), si espande a dismisura non appena si cominciano a infilare le prime partite senza sconfitta. La curva di apprendimento è tutt’altro che ripida, le modalità Novice sono impegnative quanto basta e in grado di soddisfare chi non è disposto a investire nel gioco decine di ore, quelle base sono dannatamente impegnative, e non poteva essere altrimenti. Akai Katana non rivoluziona il genere e non ha una personalità forte come altri titoli Cave, ma rispetto alla concorrenza sa farsi strada nel cuore del giocatore con calma, impegnandolo su più fronti e appassionandolo poco per volta, sfumatura dopo sfumatura, tecnica dopo tecnica. Fino a mostrare quello che realmente è: un concentrato di passione in cui le capacità cognitive e l'abilità manuale si prendono per mano e non si lasciano più. Occhio, cuore, testa, corpo, non c’è parte di sé che non venga coinvolta, i sensi sono stimolati di continuo, olfatto e odorato compresi. Raramente ho incontrato Danmaku capaci di essere appaganti da subito come nel lungo termine: Akai Katana è uno di questi. Se ti prende, non ti molla più. Garantito. E lasciate stare i discorsi sul prezzo, i paragoni impossibili e le iperboli sull'evoluzione del genere. Questo gioco è meglio di qualsiasi altro Danmaku presente su Xbox 360. Più che personalità, ha un'anima grossa così!

Ho acquistato la mia copia di Akai Katana in negozio e l'ho giocata per decine di ore, concentrandomi sulle modalità Origin Novice, Slash Novice e Slash, ottenendo, nella prima la sesta posizione attuale nel ranking occidentale, nella seconda un gloriosissimo secondo posto, nella terza una serie di figure di "non si può scrivere" che non finisce più. Ci sto lavorando. Anzi, torno a giocare, che se non entro fra i primi trenta classificati non mi considero più un giocatore degno di questo nome.

Voto: 9
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