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Anodyne: per alleviare il dolore della realtà

Con alle spalle un simpatico ma trascurabile platform appena uscito sui vari siti di giochi in Flash, Inspiration Dave, il giovane Sean Hogan decide di mettersi subito al lavoro su un nuovo progetto. Grazie a una buona dose di autocritica, si rende presto conto di non essere particolarmente portato per la grafica e viene così in contatto, nel giro di qualche mese, con Jonathan Kittaka. Nasce quindi la Analgesic Productions LLC: Sean si occupa della programmazione e del sonoro, Jon della grafica e di buona parte del testo. Visuale dall'alto, tanta esplorazione, qualche enigma. Anodyne è un action adventure bidimensionale dichiaratamente devoto alla serie di The Legend of Zelda, soprattutto ai capitoli apparsi sulle console portatili. Occorre però dire che, come esplicitamente ammesso dallo stesso Sean, buona parte dell'ispirazione deriva da Yume Nikki, bizzarro videogioco giapponese realizzato con RPG Maker e uscito nel 2004. Le somiglianze stilistiche fra i due giochi risultano abbastanza palesi: dall'atmosfera alle musiche, passando per gli improvvisi cambi d'ambientazione. Non c'è da gridare al plagio, tuttavia, non siamo affatto davanti a uno sterile clone, ma un'opera con un'anima propria e pregna di stile.

In Anodyne ci si serve di una scopa come unica arma, utile sia per attaccare, sia per raccogliere e piazzare della polvere, adoperabile come piattaforma per muoversi sull'acqua o per attivare dei pulsanti e risolvere piccoli enigmi di vario genere, immancabili per uno Zelda-like. Il gioco alterna ampie aree all'aperto, via via sempre più esplorabili al completamento di determinati eventi, a dungeon ricchi di nemici e di chiavi da trovare per proseguire. Per ovviare al classico problema dell'eccessivo backtracking, ogni zona sarà dotata di un punto di teletrasporto per tornare al Nexus, dove verranno man mano sbloccati dei portali per viaggiare rapidamente tra un luogo e l'altro.

Una mappa più dettagliata non avrebbe guastato, ma nonostante qualche possibile problema d'orientamento, il gioco può comunque risultare un po' troppo facile: la presenza di molti check point che consentono, inoltre, di ricaricare totalmente l'energia, abbinata alla brevità di certi percorsi e a rompicapi mai eccessivamente ingegnosi, rendono l'esperienza un po' troppo semplicistica. Tali pecche, considerato anche il rivedibile design di certi dungeon, specialmente i primi, rischiano di non far innamorare immediatamente il giocatore.

Ma vale davvero la pena di accantonarlo subito? Bisogna perseverare per capire a cosa si sta realmente andando incontro, è possibile che gli ottimi pregi del gioco vengano compresi solo dopo qualche ora, ma ci sono eccome. È raro, infatti, al giorno d'oggi, trovare un videogioco di questo tipo con delle atmosfere così oniriche, che riescano a coinvolgere e intrappolare in un sogno tanto straniante quanto palpabile. Young, il giovane protagonista, si risveglia in questo mondo invocato da Sage, l'anziano del villaggio, per sconfiggere l'oscurità e salvare il leggendario Briar. Incipit scontato, trama stereotipata, ma entrambi funzionali all'espressività del gioco: persino i nomi dei vari personaggi sembrano essere il frutto della mente di un ragazzo.

Ci si addentra in questa ambientazione sognante, realizzata con un'eccellente tecnica grafica in gran parte dallo stile a 16-bit, passando dalle splendide sfumature dei colori pastello dei prati e delle montagne, all'astrattismo delle zone più immaginarie. È l'esplorazione di questi spazi a rendere Anodyne appassionante: lo scoprire nuove aree, il girovagare in cerca di oggetti ben nascosti, che siano le carte utili ad aprire nuovi passaggi o futili collezionabili per il solo piacere di sviscerare l'intero gioco. Ma anche l'approfondimento di ogni singola zona, il cercare di capire come raggiungere luoghi all'apparenza inaccessibili e il vedere quale altra insensatezza ben congegnata troveremo nella schermata successiva di questo mondo eccentrico.

La colonna sonora, fatta di musica d'ambiente che alterna momenti inquietanti a brani più melodici e gioiosi, risulta un complemento perfetto per le estrose scenografie del gioco. Calzanti anche gli effetti sonori, notevoli nei delicati turbamenti dei suoni inarmonici nell'apertura delle porte e nella raccolta dell'energia. A rendere più memorabile l'avventura, qualche personaggio da incontrare che avrà spesso tanto da dire ma sovente con testi privi di senso o del tutto inconcludenti, facilmente equivocabili in un cumulo di fesserie. Cosa che, volendo, non è poi così distante dalla realtà, ma che si sposa perfettamente con la straniante atmosfera del gioco.

È importante evidenziare, tuttavia, che il gioco va finito per essere goduto a pieno. Una volta battuto il boss finale, infatti, sarà possibile continuare ad esplorare per altrettante ore, grazie ad una delle caratteristiche più gustose che un gioco del genere possa offrire.

Anodyne prenderà anche in prestito tante idee da passate icone del videogioco, ma lo fa con molta dignità, vantando una personalità propria e lasciando, a gioco finito, un piacevolissimo ricordo. Per apprezzarlo al meglio, sarà tuttavia necessario lasciarsi cullare dalle sue oniriche stranezze senza soffermarsi a psicoanalizzarle più del dovuto.

Ho giocato Anodyne sul mio mediocre portatile del 2010 tramite Steam. Ci ho messo un po' a farmelo veramente piacere, facendo per la prima metà di gioco sessioni un po' svogliate. Filato poi tutto liscio fino alla conclusione della trama principale, in circa cinque ore, e in seguito divorato in preda alla dipendenza più totale per altre cinque-sei alla ricerca di tutte le carte ed oggetti post-completamento.

Voto: 7,5
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