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Cape Fear ha una tensione quasi insopportabile

Cape Fear ha una tensione quasi insopportabile

Molti film hanno la parola “paura” nel titolo, ma quanti di questi film fanno veramente paura?

Cape Fear, che ha questa parola nel titolo, di paura ne fa. Eccome.

Max Cady, un rude montanaro semianalfabeta, viene condannato a quattordici anni di prigione per aver picchiato e stuprato una ragazza. Durante la lunga detenzione, Cady impara a leggere, partendo dai libri per bambini fino ad arrivare alle opere di Nietzche e ai libri di legge. Prova a difendersi da solo, scoprendo che il suo avvocato, Samuel Bowden, ha occultato un rapporto che lo avrebbe potuto scagionare da ogni accusa. Cady passa gli anni in prigione a pianificare la sua vendetta nei confronti dell’avvocato Bowden, e il film si apre proprio con la sequenza del suo rilascio. Una sequenza che, in pochi minuti, spiega subito e in maniera efficace chi sia Cady e cosa abbia intenzione di fare. La cella è piena di tutti i libri che ha letto negli anni, e lui attende di essere rilasciato allenando duramente il proprio fisico. Sulla schiena ha tatuata un’enorme croce che rappresenta allo stesso tempo anche una bilancia, sul piatto di sinistra è posata una Bibbia come simbolo di verità, e su quello di destra un pugnale come simbolo di giustizia. Mentre esce dalla propria cella, gli altri detenuti lo guardano in silenzio, come se avessero paura di lui. E mentre esce dal cancello della prigione, un’enorme nube nera sovrasta il paesaggio circostante. Cady è come una tempesta in arrivo, che si appresta a distruggere la vita del suo ex avvocato.

Se la sequenza iniziale riesce perfettamente a farci comprendere il personaggio di Cady in pochi minuti – fisicamente forte, sguardo minaccioso e capace di trasformare la sua più grande debolezza in un punto di forza, passando da analfabeta a uomo completamente istruito - è solo durante la visione del film che ci rendiamo lentamente conto che Cady, al di là di un aspetto che incute timore e una forza bruta a cui pochi saprebbero tener testa, ha una personalità talmente subdola e diabolica che nessuna violenza fisica potrà mai essere potente quanto quella psicologica a cui sottoporrà Samuel Bowden.

Già dal primo incontro dopo il suo rilascio, Cady inizia a vessare psicologicamente il suo ex avvocato con un sottile gioco di nervi, prima prendendogli le chiavi della macchina e poi anticipandogli ciò che gli farà, pronunciando la frase “Imparerai che vuol dire perdere”. Cady si insinua lentamente ma pericolosamente nella vita quotidiana della famiglia Bowden, senza però mai infrangere alcun tipo di legge, avendo così messo a frutto gli anni passati a leggere libri di giurisprudenza. Si siede sul muretto che recinta casa Bowden senza mai mettere piede nella proprietà, avvelena il cane di famiglia senza essere sorpreso ma riconsegnando il collare alla moglie (come a voler dire “sono stato io ma non potete provarlo”) e avvicina la giovane figlia sedicenne di Bowden, Danielle, circuendola approfittando della sua ingenuità, ma senza alcun tipo di violenza. Violenza che Cady userà invece con l’amante di Sam, anche lei avvocato, che verrà prima sedotta e poi selvaggiamente picchiata, sapendo che non denuncerà il fatto per vergogna e timore del giudizio dei suoi colleghi. Cady smaschera senza troppa fatica il detective privato Kersek, ingaggiato da Bowden per tenerlo sotto controllo, e quando egli lo minaccia intimandogli di levarsi per sempre dai piedi, Cady risponde sprezzantemente con “è mio diritto stare qua, e tu lo sai benissimo. E se io resto qua, tu che cosa fai?”

Insomma, Cady, dopo aver subito una dura condanna anche a causa della scelta del suo avvocato di occultare delle prove, usa la legge a suo vantaggio ribaltando di fatto le regole del gioco, affermando la sua autorità e supremazia fisica e mentale sulle sue vittime e su chi tenta di mettersi contro di lui. Sono un uomo cattivo e mi voglio vendicare, agisco entro i limiti della legge per far innervosire il mio avversario fino a farlo crollare e fargli commettere qualcosa di stupido. E infatti, quando Cady viene picchiato da un branco di buzzurri ingaggiati da Bowden (che verranno poi a loro volta picchiati dallo stesso Cady, il quale, al termine del pestaggio, sapendo che l’avvocato lo sta guardando nascosto dietro un cassonetto dei rifiuti, in un delirio di onnipotenza si metterà sullo stesso piano di Dio, urlandolo a squarciagola), l’ex galeotto ribalta ancora una volta la situazione a suo favore denunciando Bowden per il pestaggio, dimostrando tramite una registrazione, di essere stato minacciato dall’avvocato.

Io sono simile a Dio e Dio è simile a me! Io sono grande quanto Dio, Egli è piccolo quanto me! Egli non può essere al di sopra di me, né io al di sotto di Lui!
— Max Cady

Lungo tutta la durata del film, la tensione, soprattutto prima dell’atto finale, è assolutamente insopportabile. Ogni sguardo, ogni parola, ogni gesto di Sam Bowden trasuda paura, anzi puro terrore. L’avvocato è un uomo debole, sia nel fisico che nel carattere. Agendo legalmente, nel territorio a lui congeniale, viene sconfitto su tutti i fronti da un uomo che non è nemmeno un avvocato suo pari. “La legge mi considera un elemento di pericolo maggiore di Max Cady” esclamerà Bowden una volta che avrà realizzato di star perdendo una guerra che, comunque la si possa pensare, ha iniziato proprio lui.

Cape Fear si può considerare una sorta di precursore dei moderni home invasion. Se in pellicole quali La Notte del Giudizio, You’re Next e The Strangers l’invasione è assolutamente inaspettata e messa in opera da totali sconosciuti, spesso senza motivo, qui le cose funzionano al contrario: Bowden sa che Cady prima o poi entrerà in casa sua, ma non sa quando. Sa che succederà e sa chi sarà a farlo e perché, ma non la tempistica.

Max Cady, costituisce forse il miglior esempio, dopo il John Doe di Seven, del male incarnato in una persona. Se il serial killer del film di David Fincher è un uomo senza passato e senza umanità ma con una discutibile morale di fondo e che uccide per un motivo ben preciso, riconoscendo a un certo punto i crimini da lui stesso commessi, Cady è un criminale brutale, violento e astutissimo, senza rimorso per ciò che ha fatto ma che anzi si ritiene una sorta di vittima del sistema. Pur non mettendo mai in dubbio nemmeno per un minuto la natura di Cady, mostrandolo costantemente per l’individuo spregevole che è, Cape Fear non esita a sottolineare quanto, in certe situazioni, tanto per i criminali che per le persone oneste, la giustizia non funzioni. Proprio nell’atto finale, dove la violenza e il sangue esplodono senza alcun freno, Sam Bowden ammette la sua colpa, giustificando il suo gesto a causa delle condizioni in cui era stata ridotta la vittima di Cady, il quale già due volte aveva evitato una condanna per stupro.

Lo spettatore, che non può istintivamente non parteggiare per Sam Bowden e condannare Max Cady, viene comunque messo di fronte a un dilemma morale. Sam Bowden va apprezzato per aver fatto qualcosa di moralmente giusto ma eticamente sbagliato? E lo stesso Bowden va giustificato per essersi mosso oltre i limiti della stessa legge, di cui è un esponente, per difendere la propria famiglia?

Ho visto Cape Fear per la prima volta non so quanti anni fa, e fa parte di quei film che spesso e volentieri rivedo ad ogni passaggio televisivo, e, soprattutto di questi tempi, in cui viviamo in mezzo ad un’incertezza sempre più forte e i fatti di cronaca quotidiana non fanno altro che sottolineare una progressiva perdita di valori e umanità, lo trovo tremendamente attuale, nonostante siano passati quasi trentaquattro anni.

Un film spaventoso proprio perché racconta una vicenda che, seppur romanzata, sarebbe assolutamente verosimile anche nella vita reale, dove storie di stalking e persecuzioni sono quasi all’ordine del giorno. E De Niro si porta tutto il film sulle sue spalle, offrendo una prova attoriale notevole, portando in scena un antagonista cattivissimo e disumano.

Già remake di una pellicola del 1962, Il Promontorio della Paura, Cape Fear ricevette all’epoca numerosi riconoscimenti e candidature, ed è considerata da molti come una fra le migliori pellicole di Martin Scorsese, che aveva proseguito il sodalizio artistico con Robert De Niro dopo i successi di Taxi Driver, Toro Scatenato, Re per Una Notte e Quei Bravi Ragazzi, scegliendolo per il ruolo di Max Cady. Anche in questo caso non poteva mancare l’immancabile omaggio da parte de I Simpson nell’episodio Il Promontorio della Paura, in cui Telespalla Bob, dopo essere uscito di prigione, perseguitava il suo arci nemico Bart Simpson.

È notizia di quasi un anno fa che Scorsese e Spielberg (che fu produttore della pellicola del 1991) stanno lavorando ad una serie televisiva su Cape Fear.  Recita la nota ufficiale: "Una tempesta è in arrivo per una coppia di avvocati sposati quando un famigerato killer che appartiene al loro passato viene rilasciato dopo anni di prigione. Un thriller teso e contemporaneo che esamina l'ossessione dell'America per il true crime nel 21° secolo". A un anno di distanza, non si hanno ulteriori notizie ufficiali, né sul cast né sul periodo di uscita. Almeno abbiamo evitato che qualcuno realizzasse il remake del remake.

Questo articolo fa parte della Cover Story “I migliori spaventi della nostra vita”, che potete trovare riassunta a questo indirizzo qui.

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