(Non) mi sono innamorato di te!
Di solito non mi faccio troppi problemi a dire la mia. Un po’ perché è sempre giusta, un po’ perché non mi spaventa poi così tanto lo scontro. Eppure, stavolta, ho persino pensato di non partorirle, queste righe, rischiando così di privare il mondo dell’unica opinione di cui sento davvero il bisogno. Però la premessa ce la metto (aò, son burlone ma mica… ) e chiarisco che questa mia personalissima opinione, scaturita da appena quaranta ore di gioco, non vuole rappresentare l’opinione dell’intero universo.
Tante parole e ancora devo cominciare, quanto sarebbe tutto più facile se voi fan di From Software non sembraste dei rincoglioniti che hanno vissuto senza videogiochi negli ultimi trent’anni anni? Eh?
Cosa non mi è piaciuto dunque di Elden Ring? (Del gioco, tra l’altro, abbiamo chiacchierato abbondantemente in questo podcast).
A me graficamente non dice niente, a tratti lo trovo persino brutto. E non parlo dell’aspetto tecnico indecente, direi ingiustificabile, perché tutto sommato con la 3090 sono andato quasi sereno, ma proprio dello stile, del gusto. Indubbiamente a volte la direzione artistica è ottima, quell’alberello fa la sua porca figura, ma non è vero che riesce sempre, ripeto sempre, a camuffare le magagne di una messa in scena vecchia di una/due generazioni. Sepolcride, che pure ho visto osannare, sembra lo scenario di un JRPG mediocre di quindici anni fa. Ci aggiungo pure l’IA farfallina dei nemici comuni, quelle frecce che ti restano addosso, le animazioni del cavallo e tante piccole imprecisioni figlie più di pigrizia che di scelte vere e proprie. Poi può non fregarvene niente, e lo rispetto, ma quel riciccio di asset e pianticelle in una prateria deserta non vengono perdonati a nessun altro. Non nel 2022.
L’open world ha offerto un mondo con più contenuti. È un fatto che sia un gioco più grosso, tanto più grosso, ma mi permetto di dissentire quando si sostiene che alla quantità corrisponda altrettanta qualità. In quaranta ore ho visto davvero un’enormità di boss più o meno grossi e nel mezzo ce n’erano un sacco riciclati e alcuni proprio banali. La natura stessa dell’open world ha reso il bilanciamento una casualità, rendendo alcuni scontri meno interessanti perché arrivati nel momento sbagliato, e quello è sempre un problema per me. Se prima potevo concedermi il lusso del farming per adattare la difficoltà alle mie necessità, ora rischio di perdermi parte del divertimento perché ho girato a sinistra invece che a destra. Poi può non fregarvene niente, e lo rispetto, ma i videogiochi migliori devono essere bilanciati da chi li fa, non da come gira il vento.
Il lore vabbè, io non ci capisco mai una sega. Ma era così anche con gli altri che ho giocato, non posso dire che sia peggiorato.
Una cosa che invece mi piaceva molto dei titoli From, e che non ho ritrovato in questo Elden Ring, è lo splendido design del mondo che li contraddistingueva. È vero che ci sono i dungeon più classici, dove tutto torna a funzionare a meraviglia, ma per gran parte del gioco non c’è nessuna soddisfazione nel guadagnarsi il falò successivo. Sono lì, ci sbatti contro, c’è l’icona sulla mappa. Può non fregarvene niente, e non sono sicuro di credervi, ma per anni non è stato uno dei loro grandi punti di forza?
Un po’ mi dispiace non far parte della festa, lo ammetto, sono anche molto felice per voi, ma proprio non riesco a guardarlo con gli occhi innamorati di chi ci vede l’innovazione e il potere dirompente di The Legend of Zelda: Breath of the Wild. Però mi scappava di dirlo e forse, forse, fa bene anche ai fan di From Software ascoltare un po’ del punto di vista che quasi non esiste.