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eXistenZ #22 – Hitman: sotto il cappello, niente

eXistenZ #22 – Hitman: sotto il cappello, niente

eXistenZ è la nostra rubrica in cui si chiacchiera del rapporto fra videogiochi e cinema, infilandoci in mezzo anche po' qualsiasi altra cosa ci passi per la testa e sia anche solo vagamente attinente. Si chiama eXistenZ perché quell'altro film di Cronenberg ce lo siamo bruciato e perché a dirla tutta è questo quello che parla proprio di videogiochi.

Di recente è stato messo in lavorazione un nuovo film dedicato a Hitman, che si intitolerà Agent 47, avrà come protagonista Rupert Friend (a sostituire il cartonato di Paul Walker), prevede nel cast anche Zachary Quinto (il cattivo?) e sarà diretto dall'esordiente Aleksander Bach. In tutta onestà, anche se devo ammettere che l'immagine diffusa di Rupert Friend “in costume” mi sembra molto azzeccata, ho fiducia molto bassa nel progetto, più che altro perché mi dà l'impressione dell'ennesima produzione un po' pezzente e perché fra gli autori della solita sceneggiatura a sei mani c'è anche Skip Woods, uno il cui word processor sembra avere i poteri di un Re Mida scatologico.

Rupert Friend sul set di Agent 47,

Comunque, questa cosa sta accadendo e, per celebrare degnamente l'occasione, ho pensato di recuperare Hitman – L'assassino, film dal sottotitolo italiano esplicativo uscito nel 2007, diretto da uno Xavier Gens fresco fresco di Frontiers, scritto, ahinoi, proprio dal caro Skip Woods e con Timothy Olyphant nel ruolo del protagonista codicebarrato. E, lo dico subito, ho trovato sì un filmetto, ma un filmetto tutto sommato gradevole, certo molto più riuscito di quell'insostenibile trapanata nella sacca scrotale che era Max Payne e, insomma, con i suoi meriti. Fermo restando che ho poca familiarità coi videogiochi a cui è ispirato, quindi, se si vuole chiacchierare della (presunta, effettiva o scarsa) fedeltà alla fonte, non ho molti argomenti.

Ad ogni modo, partiamo dal protagonista: Olyphant arrivava fresco fresco da Deadwood, ma Justified era ancora di là da venire, quindi all'epoca guardarlo pelato e con la cravatta rossa poteva fare un effetto diverso. Oggi mi risulta davvero difficile vederlo che spara alla gente senza avere in testa un cappello da cowboy e senza esclamare “sheeit” ogni due colpi, ma insomma, ci si può fare poco. Di suo, non ha magari il fisicaccio pompato, ma è comunque un uomo alto e con una sua presenza fisica tutta surreale, che, unita a quello sguardo sempre un po' imbronciato, lo rende un Agente 47 particolare, magari non del tutto aderente all'iconografia del personaggio, ma in fondo adatto a interpretare questo ruolo di uomo svuotato, focalizzato solo sull'uccidere, ma che, come ogni protagonista di film americano che si rispetti, affronta un viaggio personale che lo porta a scoprire una rinnovata umanità.

Fra l'altro Olyphant è l'attore più bravo del pianeta nell'interpretare il ruolo di quello che sta per sbroccare, ha la vena chiusa sul collo e non riesce più a trattenere la rosicata, cosa che in alcuni momenti del film gli torna utile. Non bastasse lui, il genio che ha curato il casting recupera pure Dougray Scott, secondo classificato nel ranking mondiale degli attori più bravi a piantare il broncio di chi sta rosicando, e infatti la coppia ha una discreta sintonia e i momenti in cui i due si confrontano sono forse le uniche parti del film che funzionano bene anche se non sono in corso sparatorie e non c'è Olga Kurylenko nuda nell'inquadratura. Anche perché, intendiamoci, il tocco di Woods si vede tutto: quando in questo film aprono bocca, quando chiunque apre bocca, c'è da mettersi le mani nei capelli (pun not intended).

Timothy Olyphant mentre ripensa alla sconfitta a fantabasket.

Scott, poi, si dedica al suo ruolo con la levetta del broncio attivata a massima potenza e passa tutto il tempo circondato da cani maledetti (o da un Robert Knepper che fa l'attore posato e misurato, e allora uno si chiede che cacchio l'abbiano chiamato a fare). In questa situazione è pure comprensibile che Scott si metta a recitare per i fatti suoi: qualsiasi cosa gli accada intorno, lui fa lo sguardo intenso, punta l'occhio verso l'infinito e declama scemenze dando talmente sfogo al suo accento scozzese che sembra stia interpretando il ruolo di un drogato a caso da un libro di Irvine Welsh. E già che stiamo facendo la conta delle cose che non funzionano, diciamo pure che le comparse carne da macello vestite da cosplayer di Killzone sono ridicole e la trama, per quanto sia apprezzabilmente semplice e poco interessata a menarcela con l'ennesima storia di origini, risulta parecchio forzata in diverse sue svolte alla “perché sì” (ciao Skip, ciao).

Eppure all'inizio ho parlato di film gradevole. Come mai? Beh, innanzitutto, Gans è comunque uno che sa cosa fare con la macchina da presa e riesce a tirar fuori qualche bella immagine, ma soprattutto delle scene d'azione solide e gradevoli. Nulla per cui strapparsi i capelli (ehm), ma una discreta costruzione, un buon lavoro sulle controfigure e, in generale, una messa in scena che ti fa capire cosa stia succedendo. In questo, probabilmente, aiuta anche l'aver optato per un rating R, quindi senza il bisogno di nascondere troppo, e oltretutto ho visto la versione Unrated, con ossa spezzate, bucherelli, sanguinamenti e inquadrature sulla patata di Olga Kurylenko in abbondanza. Insomma, su questo fronte non ci si può troppo lamentare. Anche se comunque sembra esserci un certo eccesso di sangue al computer, dalle conseguenze un po' ridicole, tipo quando un tizio viene smitragliato da un elicottero, la stanza si ritrova immersa nel suo sangue e poi lo inquadrano e si fa fatica a vedere un buco nei suoi vestiti, figuriamoci nelle carni.

Qui è quando l'Agente 47 riscopre la sua umanità.

Però, insomma, ci sono diverse scene d'azione, anche con una certa varietà nella loro natura, c'è comunque un certo omaggiare le meccaniche dei giochi originali, con l'Agente 47 che si traveste più volte, esegue qualche uccisione fantasiosa, prepara il campo imparando a memoria tutte le possibili vie di fuga e lasciando in giro equipaggiamento utile, e Olga Kurylenko – al contrario che in quella mattonata sfrangipalle di Max Payne – ha un minutaggio decoroso, peraltro quasi sempre mezza nuda. Le caratteristiche giuste per un film che, se lo becchi un pomeriggio a caso e sei un nerdacchione che vuole guardarsi le robe ispirate ai videogiochi, non si butta completamente via. Mica come quella colata d'acido sui testicoli di Max Payne.

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