Killzone Shadow Fall, o del perché non si deve mai fare del carisma una dump stat
Se mi chiedessero di personificare Killzone, estendendo la cosa anche a Guerrilla, li identificherei probabilmente con me ai pranzi di famiglia, continuamente paragonato a dei cugini tutti inspiegabilmente più bravi, educati, a modo, e con un record scolastico che nemmeno al M.I.T.. Certo, essere lo studio incaricato di alzare ogni volta l'asticella degli FPS in casa Sony è un ruolo di prestigio ma, chissà perché, sospetto che metta anche una certa pressione, sopratutto se c'è sempre nei paraggi il fastidioso cugino capace di fare sistematicamente meglio. Nonostante questo, però, ho trovato tutti i Killzone a cui ho giocato (i due su PS3 e quello per PS Vita), seppur pieni di difetti, capaci di divertire e dotati soprattutto di una una forte personalità, che li distingueva nel mare magnum degli sparatutto su console. Oltre ad avere dei nemici di grande carisma, la serie è sempre riuscita a portar avanti una messa in scena della guerra di grande carattere, sporca, rozza, pesante e macchinosa. In Killzone 2 si combatteva palmo a palmo, si aspettavano minuti che i detriti delle esplosioni si posassero, e ogni checkpoint raggiunto dava l'impressione di una piccola vittoria, non perché fosse particolarmente difficile, ma perché restituiva bene l'idea della propria piccolezza in un conflitto di scala globale.
E poi era scuro, cupo, grigio. Una palette di colori perfetta per far risaltare il feroce rosso dei visori Helghast, carne da macello utilizzata da un regime che non ha però l'esclusività sulle azioni bieche e riprovevoli. Il taglio dato da Guerrilla alla sua guerra, infatti, ben rispecchia i colori dominanti dei primi capitoli: un insieme di grigi nel quale il confine tra giusto e sbagliato si può intuire, ma non definire del tutto. Non a caso ho differenziato le uscite su PS3 (e Vita) con il debutto su PS4, perché se anche il tema di fondo e il suo sviluppo rimangono gli stessi, la direzione artistica cambia sensibilmente, aprendosi al colore, agli spazi di Vekta e a scorci più da castagnata in montagna che da polverosa guerra di trincea. Il cambio di stile e ambientazione è giustificato dal fatto che si parte questa volta dall'avanzata e solare Vekta City, capitale di un pianeta che si è visto moralmente obbligato ad accogliere i profughi Helghast dopo che il loro pianeta è stato fatto a pezzi dalla petrusite al termine di Killzone 3.
Inevitabile che una situazione del genere sia pressoché impossibile da gestire, e infatti la Vekta City di Shadow Fall ricorda la Berlino (o Gerusalemme) dei checkpoint divisa dal muro, con i due blocchi contrapposti che covano odio e risentimento all'interno dei rispettivi confini. Sono proprio questi due sentimenti a trasformare Lucas Kellan in uno Shadow Marshall determinato e pronto a tutto, anche a vendicare il padre perso quando era ancora un bambino. Viene raccontata così una buona parte della vita di Kellan, dall'addestramento all'accademia sino all'inevitabile scoppio del conflitto tra Helghast e Vektan, che ha come premio la supremazia di una delle due fazioni e, visto che ci siamo, pure il controllo del pianeta.
Una volta sfangato lo spiegone iniziale e iniziato a prendere l'effettivo controllo di Kellan, ci si rende purtroppo subito conto che Guerrilla non è riuscita a tappare la falla più grave di tutte le sue produzioni: la totale mancanza di carisma del proprio protagonista e la mancanza di ritmo nella narrazione, che vive purtroppo di alti e bassi. I temi trattati sono quelli giusti, il taglio che lascia spazio all'elaborazione personale di chi sia effettivamente buono o cattivo è apprezzabile, ma ancora una volta - Sev aveva lo stesso problema - Killzone si ritrova con un protagonista con lo spessore emotivo di una patata, troppo caratterizzato per essere un avatar nudo e crudo ma troppo poco per attirare a sé empatia e vivere di solo carisma. Questo continuo saliscendi qualitativo si riflette purtroppo anche sulla campagna single player, che non riesce mai a decollare e alterna momenti particolarmente riusciti (su tutto il ritorno a Helghan) ad altri che arrivano addirittura ad essere noiosi, non riuscendo mai a dare uno sviluppo omogeneo alla storia di Kellan, che proprio quando sembra per spiccare il volo si trova tra i piedi una missione o un capitolo particolarmente noiosi.
Ed è un vero peccato che la scrittura non supporti a dovere un gioco che dal punto di vista ludico fa un discreto passo avanti, trainato da mappe enormi e sempre ben ambientate, missioni nelle quali l'approccio è realmente aperto e sopratutto parecchi muscoli dal punto di vista meramente ludico. Le novità introdotte sono sicuramente tante e la più importante è il drone Owl, fedele companion dai mille utilizzi che può all'occorrenza trasformarsi in uno scudo, penetrare terminali Helghast, sparare con una mitraglietta all'impazzata e stordire temporaneamente i nemici con un'onda d'urto. Queste abilità hanno una durata limitata e si attivano con uno dei tasti dorsali del pad, mentre per selezionarla va effettuato uno swipe sul touchpad frontale dello stesso. Attenzione però a non abusare dell'accrocchio tecnologico: se infatti si viene abbattuti durante il suo periodo di cooldown, non è possibile usare l'adrenalina (né più né meno che un continue mascherato) e si è costretti a ricominciare dall'ultimo checkpoint.
Gli utilizzi del drone comprendono anche un decisamente poco bilanciato scan dell'area, che permette non solo di trovare l'adrenalina e i collezionabili, ma anche la posizione in tempo reale dei nemici, avendo così un vantaggio sempre sin troppo evidente. L'impostazione del gioco è infatti sbilanciata verso una componente più stealth che action, con lunghe (a volte estenuanti) fasi di esplorazione e nemici quasi sempre dislocati in modo da favorirne il silenzioso abbattimento individuale, piuttosto che l'assalto con la pistola spianata. Questa indirizzo, però, mal si sposa con altri momenti decisamente più canonici, a base di scontri a fuoco prolungati e ignorante svuotamento del proprio caricatore, che risultano più godibili anche grazie ad armi abbastanza diverse tra loro e divertenti da usare, oltre che al già citato drone. La varietà nelle missioni, in sostanza, c'è e alcune (come l'infiltrazione nel grattacielo o tutti i capitoli di Helghan, davvero spettacolari e con una loro anima) sono anzi particolarmente riuscite, ma quello che manca è il crescendo, sia emotivo che di ritmo, che avrebbe potuto far fare il definitivo salto di qualità.
Sul fronte multiplayer ci si trova davanti a un gioco valido e completo, che però non riuscirà mai ad erodere utenza ai giganti del settore. Il proprio avatar deve passare di warzone in warzone e raccogliere mostrine e punti che fanno salire il suo livello e quello delle tre classi disponibili (Assault, Support e Sniper), dotate di armamenti e abilità peculiari. Le mappe sono dieci e, per quanto ben strutturate e varie, sono forse troppo contenute come dimensioni, il che è un peccato, se si considera che il ritmo è più compassato e si punta tutto sulla coordinazione del team, piuttosto che sulle azioni solitarie. Ottimo invece il livello di personalizzazione della propria lobby, dalla quale si può scegliere la presenza o meno del fuoco amico, il numero e il tipo di modalità, la presenza di determinate armi o classi e così via, per partire in una cavalcata che mette in fila tutte le modalità scelte fino a sopraggiunta stanchezza. Di sicuro è una componente solida e ottimamente programmata, ma è ben lungi dall'essere il punto di riferimento per il genere.
Nulla da dire, o quantomeno molto poco da segnalare, riguardo la realizzazione tecnica, da sempre motivo di vanto dello studio olandese. Potrò anche preferire le un tempo polverose e grigie strade di Helghast, ma l'opulenza del full HD e degli effetti grafici di Shadow Fall è un gran bel vedere, considerato sopratutto che si tratta di un titolo di lancio. Le mappe sono, come detto, sempre di dimensioni generose, e negli spazi aperti si può ammirare la ricchezza della messa in scena del titolo Guerrilla, che nelle foreste di Vekta, intorno alla stazione spaziale e in una Helghan decadente, dà davvero il meglio di sé e delle potenzialità future della console.
Il frame rate è stabile sui trenta FPS, le texture sono di qualità sempre molto alta e gli effetti luce colpiscono solitamente al punto da sentire il bisogno di condividere lo scorcio tramite la funzione share di PSN. La scoperta dei colori è una piacevole novità (mentre le belle musiche di accompagnamento sono una gradita conferma), anche se il segmento più riuscito rimane di gran lunga quello ambientato su Helgan, grazie ai suoi paesaggi apocalittici e alla quasi totale assegna di ogni altro essere umano.
Killzone: Shadow Fall, alla fin fine, è un buon gioco di lancio, che dà un primo assaggio delle potenzialità di PS4 e apre senza timore al mondo del colore, pur pagando il peso di una narrazione che tratta temi di una certa importanza, ma non riesce a fare breccia per il suo incedere altalenante, che si prende troppo pause nei momenti migliori.
Ho giocato a Killzone: Shadow Fall dopo averlo comprato insieme a PS4 al day-one, riuscendo però a finirlo solo qualche mese dopo. La campagna single player dura in ogni caso tra le otto e le dieci ore, in base alla perseveranza nella raccolta dei collezionabili.