Outcazzari

Ora che sono chiuso in casa non ho più bisogno di scappare | Racconti dall'ospizio

Ora che sono chiuso in casa non ho più bisogno di scappare | Racconti dall'ospizio

acconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Per quanto mi piaccia considerarmi uno di quelli che ci provano fino in fondo, nella mia vita sono scappato tante volte. Ho abbandonato un gioco perché troppo impegnativo, un libro perché troppo noioso, una relazione perché troppo complicata. In giovinezza, ho fatto alcune scelte di cui ora non vado particolarmente fiero e che in un modo o nell’altro hanno definito quello che sono diventato dopo. Sono andato per esempio via da casa, da un giorno all’altro, senza avere più che il divano di un amico per qualche giorno come appoggio. Ho quasi abbandonato la scuola, troncato i rapporti con praticamente tutti gli amici dei tempi del liceo, mi sono isolato dalla famiglia per mesi.

Ho comprato Final Fantasy XI.

Ora, se anche fa ridere, messa lì vicino a tutte quelle altre cose molto più serie e adulte, non riesco a immaginare un singolo gesto così determinante, un momento “sliding doors” così netto, un altro evento che, oggettivamente, abbia innescato una serie di cose che hanno contribuito a rendermi quello che sono ora. Che è una persona normale e un po’ bizzarra, intendiamoci, ma che sarebbe stata di una normalità e bizzarria molto diverse. Non è che se avessi preso World of Warcraft anziché Final Fantasy XI sarei finito al M.I.T. o sotto un ponte, ma certamente non sarei la persona che sono ora.

In questo tripudio di marroncino e bassa definizione ci sono persone che sento e frequento ancora.

Oggi siamo abituati all’interconnessione totale e all’essere sempre online. Abbiamo un’impronta social molto pronunciata e siamo abituati a condividere esperienze, pensieri, GIF o bestemmie a cerchie di amici più o meno selezionati, con un paio di semplici tap. Ma quando nel 2003 comprai il gioco per PC, tutto questo non era quasi preventivabile. Al tempo, si viveva in piccole community online molto più circoscritte: i forum, IRC, Direct Connect e, ovviamente i MMORPG. L’esperienza di gioco che offrivano i vari Ultima Online o Everquest era totalizzante: mondi sempre accessibili e frequentati nei quali in tempo reale si parlava, combatteva e ci si divertiva con altre persone, all’interno di giochi dal respiro infinito, nel quale si ragionava in termini di anni, e non settimane o mesi.

Final Fantasy XI è stato di gran lunga il gioco più punitivo che abbia mai anche solo lontanamente sfiorato. Se pensate che i soulslike bastonino, non avete idea di cosa fosse un MMORPG giapponese (pensato per i giapponesi), totalmente in tempo reale, nel quale, se non formavi un party di sei persone e avevi almeno tre ruoli specifici coperti, non facevi letteralmente nulla. Ma robe che tipo in una serata di exp spesso, dopo quattro o cinque ore, finivi con meno esperienza di quanta ne avessi prima di iniziare. L’end game vero è stato off limits per quasi dieci anni, a causa della competizione. Per darvi un riferimento, io, prima di arrivare al cap del mio primo job (perché ogni personaggio può cambiare job senza dover rifare tutto), ci ho messo due anni. 

Due anni.

E non due anni di gioco saltuario, due anni di dedizione, di diverse ore al giorno, di static party e di sveglie all’alba per provare ad allinearmi agli orari dei giocatori giapponesi. Quando iniziai Final Fantasy XI, ero appena andato via da casa. Vivevo in poco più di un monolocale, con un collega del mio lavoro dell’epoca, che era un part-time da venti ore (tutte nel weekend) all’Ikea. Ricordo chiaramente di aver vissuto per almeno un anno, un anno e mezzo, totalmente dedito al gioco, lavorando quando dovevo ma facendo davvero poco altro. Non so se proiettassi anche lì la mia voglia di fuga, ma a pensarci bene non credo, visto che tutt’ora vedo quel periodo come uno tra i più felici della mia vita. All’interno di Vana‘diel, infatti, avevo praticamente tutto: una comunità da aiutare e pronta ad aiutarmi, degli amici e delle persone che mi stavano profondamente sul cazzo, degli obblighi “burocratici”, come seguire il forum e le innumerevoli regole della Linkshell (la gilda), le serate libere per poter fare quello che volevo e quelle di corvée per aiutare chi magari aveva appena iniziato.

Se, buonanotte.

Non è un caso che proprio in quella cerchia abbia trovato, per esempio, quella che sarebbe diventata la mia ragazza prima, la mia convivente dopo e la mia ex qualche anno più tardi, che abbia conosciuto Enrico, diventato quindici anni dopo il mio testimone di nozze e padre della mia figlioccia, Luigi, che avrebbe potuto stare a Milano e invece se n’è andato in quel postaccio della Liguria, Alberto, che incontriamo insieme ancora ogni estate e con il quale non ci si smette di dire quanto sembrasse tutto più facile, quando giocavi al gioco più difficile e punitivo forse della storia.

Difficilmente ritrovo ora la capacità di fuga e il potere di estraniazione che davano gli MMO al tempo, ma immagino più per una questiona anagrafica che altro. Anche oggi si sta decine di ore, per settimane, a giocare e riempirsi il personaggio di punti onore e skin esclusive, ma manca forse quella dinamica da mondo parallelo dei MMORPG più corazzati. O forse sono io che invecchiando non riesco più a ritrovarmici, vai a sapere. Il fatto che esistesse un sistema economico parallelo e identico a quello reale - a volte si lavorava per mesi per ottenere un oggetto dalla dubbia utilità ma che era uno status symbol (ciao Kirin’s Osode) - o che in quel contesto fossero replicati uno a uno tutti i gesti, belli e brutti, che l’umanità è in grado di fare lontano da un PC…

The first video on YouTube. Maybe it's time to go back to the zoo? == Update video as soon as 10M subscriberz! ==

Da quando ho iniziato a giocare a Final Fantasy XI, diciassette anni fa, sono successe un sacco di cose. Nel mondo, dico. Per dire, non esisteva YouTube, quando ho iniziato. I Pistons vinsero credo l’ultimo titolo in quell’estate (mentre io expavo il Thief a Valkurn Dunes), Ratzinger ha fatto tempo a diventare Papa e a dimettersi (!), mentre l’iPhone è arrivato solo tre o quattro anni dopo. Se ci penso, in quegli anni di furore totale per il gioco, non fuggivo da quello che avevo perché la mia vita non mi piaceva, ma perché sentivo di avere degli obblighi morali nei confronti del mio avatar e delle persone che contavano su di me. Mi potevo permettere, in sostanza, una seconda vita che mi piaceva tanto quanto la prima, con amici che mi sono trovato, coltivato e mantenuto quando l’esigenza di vivere in un posto diverso da quel monolocale si è fatta sentire.

Da quando ho iniziato a giocare a Final Fantasy XI, diciassette anni fa, ho avuto tre relazioni serie, durate anche diversi anni. Mi sono sposato, ho avuto due figli e sto gestendo come molti una pandemia che non mi permette di uscire da casa e spostarmi. Il punto, però, è che oggi come allora, non mi pesa minimamente. Forse perché ho sempre una valvola di sfogo, forse perché negli anni ho fatto pace con i miei difetti e imparato a vivere serenamente con me stesso senza cercare validazione e realizzazione negli altri, forse perché sono stato estremamente fortunato a sposare chi ho sposato e a tenermi gli amici che ho trovato.

Forse perché ho imparato negli anni che alcune esperienze fortissime si vivono anche con un PC di quasi venti anni fa collegato in rete.

Non ho più bisogno di scappare su Vana‘diel, nonostante ora le preoccupazioni, l’angoscia della paternità, la vitavera siano cento volte più assillanti che diciassette anni fa, ma l’abbonamento al servizio non lo disdico. A volte mi piace tornarci, vedere com’è cambiato (anche lì) il mondo, salutare qualche vecchio amico. 

O forse non sono ancora pronto a dire del tutto addio a quell’altro me che tante soddisfazioni e realizzazioni parallele mi ha dato.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata all’escapismo, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

Out Run è uno stile di vita | Racconti dall'ospizio

Out Run è uno stile di vita | Racconti dall'ospizio

Kafka sci-fi: Cube

Kafka sci-fi: Cube