Freaks è un film degli X-Men senza le rotture di palle che si deve sucare un film degli X-Men
Freaks è l'ultimo film che ho visto al Paris International Fantastic Film Festival 2018, recuperato nella serata di proiezioni aggiuntive "postume" perché lo spettacolo originale era durante l'apocalisse parigina dei gilet gialli. L'ho quindi visto dopo aver assistito, durante la serata conclusiva del programma ufficiale, alla premiazione una e trina, che ha portato sul palco i registi Zach Lipovsky e Adam B. Stein, assieme alla giovane protagonista Lexy Kolker, per ben tre volte, a ritirare i due premi assegnati dalle giurie e quello del pubblico. Un trionfo, insomma, anche toccante, con la bimbetta (che magari, da attrice già consumata, fingeva di essere) tutta emozionata e il pubblico in estasi. E insomma, è chiaro che, a quel punto, mi sono presentato alla proiezione del giorno dopo con addosso una discreta aspettativa, tanto più che in passato sono stato molto d'accordo con le premiazioni della rassegna.
Ora, non so se posso dire di essere d'accordo anche quest'anno, dato che si tratta dell'unico film che ho visto fra quelli in concorso (li proiettano al pomeriggio e io al pomeriggio c'ho i doveri da padre), ma di sicuro posso dire che Freaks è un gran bel film. Ciò non toglie che Freaks sia la nuova, ormai quasi ennesima, dimostrazione del fatto che se affronti tematiche da supereroi (da X-Men, nello specifico) senza avere fra i maroni i paletti figli del lavorare su un blockbusterone, beh, le cose funzionano meglio. Lo spunto alla base, svelato mano a mano ma intuibile piuttosto in fretta, è davvero quello dei mutanti Marvel, che riassumerei così: c'è gente con i superpoteri, la gente normale non apprezza, finisce a mani in faccia. Nello specifico, seguiamo le vicende di un padre (Emile Hirsch, che qui passa ufficialmente a interpretare il ruolo di adulto responsabile) impegnato a proteggere sua figlia a tutti i costi. Sono asserragliati in casa, lei non esce mai, lui ogni tanto va a fare provviste e torna col fiatone perché ha rischiato che gli sparassero.
Tutto il film è costruito su questo assunto, si svolge in ampia misura all'interno del set "casalingo" e gioca molto sul senso di mistero e, soprattutto, di lenta scoperta, da parte di una bambina che pian piano apre gli occhi sul mondo attorno a lei e ce lo mostra come qualcosa di non per forza aderente a ciò che si aspettava. Ma il pur intrigante gioco di misteri rimane elemento secondario, così come in generale l'aspetto più supereroico della faccenda, eventualmente sviluppabile in un seguito che spero non si manifesti mai. Il cuore sta nell'estremizzazione fantascientifica dei conflitti, degli slanci d'amore, della voglia di aiutarsi, delle incomprensioni, della difficoltà nel portare avanti il rapporto tra genitori e figli. E il mix di buona scrittura, regia efficace e ottime interpretazioni (da segnalare un gran Bruce Dern di contorno) fa girare tutto alla grande. A questo si aggiunge il fatto che, proprio perché Lipovsky e Stein non devono rendere di conto alla Disney di turno, il film non si fa problemi a spingere sulla violenza quando serve, anche e soprattutto nei momenti in cui questa coinvolge in prima persona la bambina, trovando quindi una gran forza nei momenti chiave. Insomma, pur sentendomi in dovere di puntualizzare che, da padre di bimba piccola, l'essermi ritrovato immedesimatissimo e intento a guardarlo dall'inizio alla fine con gli occhi gonfi potrebbe falsare un po' il mio giudizio, mi trovo costretto a piazzarlo in cima alla mia classifica dei film non usciti in Italia prima della fine del 2018 e che ho visto nel 2018.