Heaven's Vault è un viaggio formidabile tra le scienze umane
La mia avventura con Heaven’s Vault è stata intensa e particolare. Nei giorni in cui ho dedicato venti ore abbondanti al nuovo gioco di Inkle Studios (80 Days e Sorcery!), ho fatto due brevi viaggi, sono stato impegnato con altri giochi, con la scrittura di una manciata di pezzi, ma anche e soprattutto con un paio di traduzioni. Heaven’s Vault è stato, e sarà, perché non ho ancora voglia di abbandonare il suo universo, il trait d’union fra tutte queste esperienze, nonché quella su cui, complessivamente, è tornata più spesso la mia testa. Di base, c’è sicuramente un’affinità tra quello che succede durante le esplorazioni sci-fi di Aliya Elasra e i miei processi mentali quotidiani.
Heaven’s Vault è infatti un gioco che, un po’ come è accaduto con Arrival, il film di Villenueve, riscalda gli animi di chi è abituato a lavorare con le parole, di chi magari, mentre sta facendo tutt’altro, è folgorato da un’idea, da un’associazione mentale o un collegamento strano e deve appuntarselo. Se, come me, avete alle spalle un qualsiasi tipo di parabola accademica (anche solo da studente, appassionato di scienza) riconoscerete nel gioco uno spirito familiare e uno scopo nobile, lo stesso che siete riusciti a conservare nonostante i tempi bui in cui viviamo: quello di capire un po’ più di noi stessi dalle tracce di conoscenza che abbiamo seminato nella storia. Conoscere le persone attraverso ciò che hanno fatto, le loro abitudini, la loro voglia di darsi una risposta a una qualsiasi domanda o le soluzioni trovate per risolvere i problemi. Il passato c’è sempre, racconta all’inizio la voce di Aliya, ed è fondamentale, ma allo stesso modo può essere interpretato, perché dipende da come lo si racconta. Heaven’s Vault è proprio questo, una storia di radici, di conoscenza, di esseri umani.
La protagonista è un’archeologa dell’università di Iox, una luna abitabile di una strana nebulosa in una non meglio precisata galassia, la cui cultura sembra esteticamente ispirata a una mitica Africa mediterranea di stampo storico ma, a conti fatti, è un mix fra tratti occidentali e mediorientali, reinterpretati secondo un gusto che bilancia una visione orientaleggiante del tempo (inteso in maniera circolare) e la razionalità pragmatica del pensiero occidentale. Iox è il centro culturale della nebulosa, ed estende il suo dominio su altre lune circostanti, collegate tra esse da correnti di aria, ghiaccio e materiale stellare chiamati fiumi, che è possibile navigare a bordo di navi in grado di planare e sfruttare il flusso. Aliya Elasra è una trentenne ribelle, forte, indurita da un’infanzia complessa su Elboreth, una luna dove la vita è complicata (soprattutto per gli orfani) ma al contempo si ha un rapporto molto verace con il passato, e ha mantenuto la sua naturale curiosità anche nel suo lavoro. Per l’università di Iox, si occupa di cercare reperti dell’antica civiltà da cui il mondo conosciuto discende. Aliya è specializzata soprattutto nella datazione di luoghi e oggetti ed è appassionata della lingua logografica (simile a quella geroglifica) con cui gli uomini del passato comunicavano. Per stessa ammissione di Jon Ingold, per certi versi, la protagonista è in parte ispirata a Monica Hanna, un’archeologa egiziana divenuta famosa nel periodo della Primavera araba per aver provato a placare attraverso un’azione divulgativa l’aumento di furti di reperti antichi durante le sommosse, visti dai manifestanti come esproprio allo stato, piuttosto che alla storia. Il concetto alla base è proprio quello di staccarsi dall’archeologia vista come fenomeno delle élite, di matrice imperialista, e considerarla, invece, come una riappropriazione del proprio passato.
Questa senso di riscoperta e riconquista fa da motore allo spirito del gioco e rende facile immedesimarsi con Aliya, una donna che, data la sua storia, ha anche bisogno di risposte personali. La narrazione, tuttavia, non affronta mai temi legati al personaggio in maniera diretta, ma è chiaro che scoprire le origini di una cultura passa inevitabilmente per una riflessione intima su di noi, e un’interpretazione in base alle proprie esperienze, quindi il primo grande pregio di Heaven’s Vault è quello di mettere su un piano fluido di scambio giocatore e protagonista. Ma cosa si fa durante l’avventura? Rispetto a 80 Days e Sorcery!, versioni complesse di fiction interattiva ma pur sempre debitrici dei librogame, siamo davanti a un salto parzialmente nel buio da parte di Inkle, verso il mondo delle avventure moderne 3D basate su esplorazione, dialoghi e dei puzzle. La nebulosa e le lune sono esplorabili liberamente e il gioco unisce ambienti tridimensionali con una grafica dei personaggi bidimensionali, animati in maniera bizzarra e peculiare, in modo da ricordare più delle vignette in movimento. Uno stile strambo, che inizialmente spiazza e che può far storcere il naso per diversi motivi: l’incorporeità percepita di personaggi dai piedi evanescenti, lo strano stacco con il resto del gioco e anche la differenza di dettaglio tra le persone e un ambiente che comunque è spesso essenziale. Vi dirò, a me non ha dato grossi fastidi e, nonostante gli evidenti limiti tecnici in alcune circostante, nel complesso ho trovato lo stile grafico assolutamente pregevole, merito soprattutto di un gran gusto nelle inquadrature (per quanto a volte si perdano senza un vero perché), e di un mix di elementi stilistici e palette cromatiche in grado di conferire una personalità pressoché unica ad ogni luogo.
Oltre a un mondo totalmente esplorabile, con tanto di sezioni di volo, l’altro elemento fondamentale di Heaven’s Vault è quello dei dialoghi, che in termini di sistema ricordano quelli di un qualunque titolo Telltale Games, uniti alla fluidità di un Oxenfree nel modo in cui si gioca mentre si parla. Dati i ritmi comunque rilassati, è difficile perdersi informazioni, e il sistema semi-procedurale che si occupa di selezionare con quali linee di dialogo (tutte però frutto di sforzo autoriale) riempire i vuoti durante le camminate o le traversate è sempre molto attento a riproporre magari scampoli di informazioni utili, oppure opzioni scartate in primo luogo in una conversazione precedente. Questo approccio apparentemente classico nasconde però il tradizionale cuore puramente incentrato sulla scrittura tipico dei giochi di Inkle Studios. Alimentate dal loro motore (open source) di storytelling interattivo Ink, la componente testuale e la mole enorme di dialoghi rappresentano un tessuto vivo e reattivo, che assume le pieghe dell’avventura di ogni giocatore. Ogni conversazione contiene diverse sfumature e le nostre risposte alimentano una serie di variabili che rappresentano la personalità di Aliya e il suo modo di rapportarsi con il mondo. Su questo primo livello prettamente endemico di scelte, si innestano quelle relative alla missione in corso, che portano ad altre due meccaniche fondamentali.
L’intera storia, infatti, ruota attorno alla ricerca di uno studioso disperso, Janniqi Renba, le cui tracce portano inizialmente a una vicina luna, ma ben presto vedono Aliya navigare i fiumi di tutta la nebulosa. L’indagine personale di Renba riguarda il Crollo, una sorta di evento apocalittico ciclico di cui ha scorto alcuni segni nel presente e che ha collegato ad altri episodi nel passato. Per inserirsi nella scia degli studi di Renba, Aliya deve sostanzialmente fare due cose: raccogliere tracce e continuare il suo lavoro sulla lingua antica, per comprendere su cosa stesse lavorando Renba. Nel primo caso, i viaggi portano alla luce reperti vari, oggetti descritti (quasi) sempre e soltanto dal testo ma che danno informazioni su date, posti e aiutano a triangolare possibili siti archeologici. Il cuore della professione, insomma, che nel gioco è interpretato in maniera passiva grazie soprattutto a Six, un comodo assistente personale robotico che costituisce il nostro fedele compagno di viaggio. L’altra meccanica, quella di interpretazione delle scritture, è invece la pietra angolare di Heaven’s Vault: la lingua antica immaginata da Inkle Studios è un vero e proprio idioma logografico, che oltre a riportare alla mente il mio esame di semiotica, ha una sua logica fatta di combinazioni di segni, tutti motivati perfettamente secondo i canoni della cultura di riferimento.
Difficile spiegarlo senza fare spoiler, ma a partire da alcune nozioni di base, gran parte delle scoperte nel corso dell’avventura è dovuta a puzzle linguistici, in cui bisogna provare a interpretare i caratteri sullo schermo. Inizialmente si tratta di andare a tentoni, cercare di associare i pittogrammi a concetti reali tramite supposizioni, analisi del contesto (esempio: questo è un tempio, la scritta è su un cancello, quindi magari quel simbolo è inerente al nome della divinità e alla funzione sociale del luogo) o la ricorsività di uno o più simboli. Un lavoro di traduzione a tutti gli effetti, reso divertente da una meccanica che aiuta molto a indirizzare le scelte, pur senza toglierci meriti e soddisfazione. Il flusso degli eventi di Heaven’s Vault è dato dalla nostra capacità di mettere insieme i pezzi, riflettere sui significati e capire cosa ci stiano davvero dicendo gli antichi. Lo sviluppo reale della storia, il ritmo stesso della narrazione e cosa capiamo dipende sempre e soltanto dalla nostra voglia di scoprire e, perché no, dalle nostre capacità. Certo, il gioco è magnanimo, sottolinea errori marchiani, e dopo un certo numero di traduzioni fatte bene, Six o un altro personaggio confermano la bontà del nostro ragionamento deduttivo. Però, ecco, ogni scoperta è un nostro successo, e nessuno ci toglie quella soddisfazione.
Tra l’altro, non sempre si può avere la certezza dei propri risultati, e uno tra i frutti più preziosi del nostro peregrinare nello spazio è la composizione di una timeline in cui passato remoto, prossimo e presente vanno a modellarsi in base alle nostre gesta. Una linea del tempo composta da elementi storici verificati, alcuni ancora ipotizzati grazie al ritrovamento di reperti, altri semplicemente frutto del nostro modo di scrivere e interpretare la storia. In ogni momento, volendo, si può aprire un paragrafo della linea del tempo e provare a dare un nuovo senso a iscrizioni passate, cercando di reperire nuove informazioni che possano dare alla luce significati e risposte inattese. In questo quadro di mutevolezza, il viaggio di Aliya è solo un pretesto per scoprire una serie di eventi molto complessa, la cui concatenazione è raffinata e sorprendente.
Sebbene la trama principale a un certo punto (diciamo dopo metà gioco) diventi qualcosa di molto lineare e riguardi solo lo strato più superficiale degli eventi, sta a noi stabilire quanto andare in profondità nelle scoperte, come rapportarci a esse e decidere che tipo di ricercatore essere. Il passato è qualcosa che esiste, ma è nel presente che andiamo ad agire e, probabilmente, è il futuro che determiniamo attraverso le nostre decisioni. Cosa siamo disposti a fare, per cercare alcune informazioni? Perché lo stiamo facendo davvero? Fra utilitarismo ed etica, i temi toccati da Heaven’s Vault sono tanti e la scrittura, al solito, tiene tutto sotto lo stesso ombrello, senza forzature e lasciando la briglia larghissima al giocatore. Il senso di libertà e contemplazione durante l’intera esperienza è magnifico, così come gli approcci concessi e la possibilità di focalizzarsi solo su alcune delle tracce proposte. Volendo, si può andare dritti verso la fine con un vocabolario minimo e prendere alcune decisioni soltanto in base a una logica istintiva o iper-pragmatica, oppure si può dedicare tempo all’approfondimento, senza in nessun modo essere penalizzati o perdersi qualcosa di divertente e piacevole. Per dire, nella mia prima run ho soltanto conosciuto alcuni personaggi, o li ho utilizzati come informatori, mentre ho preferito esplorare le vite di altri e stringere un legame con loro totalmente inutile ai fini dell’avventura, ma prezioso per il modo in cui l’ho vissuta io. È chiaro, c’è bisogno di una predisposizione naturale nei confronti di un incedere dal ritmo compassato, di avere voglia di leggere tanto, tantissimo testo (in inglese) ed essere bravi a chiudere un occhio su alcuni passaggi un po’ più meccanici, come le fasi di viaggio non sempre esaltanti o qualche momento un po’ più verboso, ma nel complesso Heaven’s Vault può piacere sia agli appassionati di avventure grafiche, sia a quelli che vengono dalla fiction interattiva, sia a chi, semplicemente, si diverte con i giochi narrativi o quelli alla The Witness (anche se qui troveranno qualcosa di molto più soft).
Anche in Heaven’s Vault, come in 80 Days, lo stile di Inkle Studios permette di unire mondi diversi con una fluidità senza pari, e al di là delle indiscutibili qualità di scrittura del team, a emozionare è la capacità di trasformare in qualcosa di intimo, personale e profondamente interattivo un racconto di viaggio. Il retaggio della lezione di Jules Verne, quel senso di visionarietà retrofuturistica e quell’essere sempre al confine tra mondo scientifico e umanistico (entrambi i fondatori di Inkle Studios sono figli di accademici e il padre di Jon Ingold, Tim, è uno tra i più famosi antropologi britannici) è presente e vivo anche in questa che è un’opera originale, ma che ha tutto il grande fascino dei grandi romanzi storici d’avventura. Il motivo è che quel senso di scoperta genuino e capace di meravigliare, tipico di quel filone letterario, è lo stesso che, oggi, uno studio come Inkle riesce a sintetizzare legando in maniera indissolubile scrittura, gameplay e sperimentando soluzioni uniche all’interno del panorama di un settore spesso molto autoreferenziale. Heaven’s Vault è esaltante perché riesce a trovare questo tipo di soluzioni a partire da singoli elementi neanche troppo originali, ma combinati in maniera profondamente intelligente, e soprattutto con occhi rivolti all’esterno, al mondo che ci circonda e alla voglia di raccontare una storia che possa essere un patrimonio per tutti coloro che vogliono ascoltarla. Se 80 Days, nel 2014, è stato uno fra gli esperimenti più raffinati dell’anno, a distanza di un lustro, la formula di Inkle Studios è diventata contemporaneamente più ambiziosa, ma anche più accessibile ed empaticamente funzionale, grazie alla presenza di un personaggio in cui identificarsi, alla voglia di cimentarsi con un stile più tradizionale e a una confezione che esalta i valori artistici (la splendida colonna sonora, di cui non ho parlato, è per esempio un grande vettore emotivo) del mezzo. Per questo, in una primavera arida di uscite, Heaven’s Vault è un’oasi di meraviglia che non dovete farvi sfuggire.
Ho giocato a Heaven’s Vault su PC grazie a un codice messo a disposizione dallo sviluppatore. Ho impiegato circa venti ore a raggiungere l’epilogo della storia, comprendendo circa il 70% della lingua Antica. Successivamente, smanettando con i salvataggi, sono riuscito a vedere un altro finale, ma non so se ce ne siano altri. Una volta completata l’avventura, è possibile avviare il New Game+, portando con sé tutte le conoscenze linguistiche acquisite in una run precedente. Heaven’s Vault è disponibile solo tramite download su PC e su PlayStation 4. Sono state annunciate anche le versioni Android e iOS.