Horizon Chase Turbo: Una freca fregno!
Gli anni Ottanta ci hanno insegnato una grande verità: il turbo rende tutto più fregno.
Metti una turbina centripeta ed un compressore centrifugo accoppiati in maniera tale da sfruttare l'energia contenuta nei gas di scarico per aumentare la quantità d'aria immessa nel motore... et voilà, otterrai maggiori potenza e rendimento!
In realtà, gli anni Ottanta ci hanno insegnato anche un’altra verità: è sufficiente un semplice adesivo, o finanche una misera scritta “TURBO” fatta col pennarello, per ottimizzare le performance di occhiali da sole, scarpe da ginnastica, biciclette da cross, videoregistratori o asciugacapelli.
Il turbo non si limita più a sovralimentare un motore endotermico, ma assume uno scopo ben diverso, di ordine superiore: quello di sovralimentare le cose fregne del mondo. Il turbo è un concetto migliorativo, un’astrazione che restaura e reintegra, una disposizione mitica volta ad ottimizzare la realtà, aggraziandola con quell’adorabile e inconfondibile fischio - o sibilo - dato dalla valvola pop-off.
E se al pregevole Horizon Chase metti il TURBO, il risultato è ancora più fregno/galvanizzante.
Horizon Chase Turbo è lo Stranger Things degli Outrunner. Il paragone sarebbe caduto a pennello con la Cover Story dedicata alla serie TV di Netflix, ma mo’ che dobbiame farci? Niente, frechete.
Ispirato visibilmente (e dichiaratamente) a titoloni anni ‘80/’90 come Out Run, Lotus Esprit Turbo Challenge, Top Gear (SNES), Rush, il racing game di Aquiris Game Studio è un fenomenale prodigio di iconica bellezza, che quasi quasi trascende il concetto di divertimento a quattro ruote e diviene un mirabile complemento d’arredo mobile per i salotti del quarto millennio. Vanta una bellezza, una pulizia grafica (grazie al cazzo: low poly), colori quanto mai azzeccati e uno stile che lèvati, al punto da volerne persino tele e gigantografie disseminate in giro per casa. In altre parole, è un’opera d’arte squisita, minimale, bellissima.
E confermo quanto già detto in precedenza: è più bello di Out Run, pochi cazzi.
Rispetto alla versione tascabile, cambia poco e niente (ad eccezione della dicitura “Turbo”, che già da sola giustifica un secondo esborso). Il gameplay è pressoché immutato: si parte sempre ultimi (ri-frechete) e l'obiettivo è la rimonta fino alla prima posizione, lottando con avversari velocissimi, circuiti più o meno assassini (due, tre, cinque o più giri, a seconda della conformazione del tracciato e della specialità), monete da raccogliere, taniche di benzina da gestire con estrema cautela (per evitare di restare a secco sul più bello) e nitro supplementari (oltre alle 3 di default), essenziali per sverniciare gli altri stronzi sul filo di lana.
Anche la versione da home console ripropone amabili copie di Ferrari, Lamborghini, Audi, BMW, Lancia, Honda e compagnia bella. I contenuti ci sono, sono fregni e sufficienti per impegnare a lungo (se non altro, per i completisti che desiderano platinare ogni cosa): 12 coppe, 48 città, ben 109 circuiti, 31 differenti modelli di auto e 12 potenziamenti (che, per semplicità, una volta sbloccati si applicano in massa a tutti i veicoli posseduti).
Come se non bastasse, al “classico” Tour Mondiale si aggiungono le gare Endurance (di resistenza e pazienza), i Tornei (come le coppe di Mario Kart) e il caro, vecchio multiplayer retrò, su schermo diviso fino a quattro giocatori.
A tutto questo bendiddio arcade si aggiunge una colonna sonora ottima (ascoltatela!), composta per l’occasione dallo scozzese Barry Leich, già autore di un boato di roba che potete consultare a questo indirizzo.
Dal punto di vista tecnico, il lavoro svolto dagli sviluppatori non mostra la benché minima sbavatura. Certo, il fatto “low poly” aiuta e non poco, ma l’estrema fluidità complessiva e il supremo senso di velocità (che per certi versi rasenta quella di un WipEout a caso) catturano, ammaliano e generano adrenalina a non finire.
Ecco. Forse - e sottolineo il forse - l’unica piccola delusione (ma davvero molto piccola, tipica di chi non s’accontenta mai) è rappresentata dal sistema di controllo, totalmente invariato rispetto alla versione mobile. Gli sviluppatori avrebbero potuto approfittare del DualShock 4 per ottimizzare il control scheme e, magari, aggiungere qualche funzionalità (che so, la possibilità di innescare una derapata con un tasto dedicato o attraverso un deciso on-off dell’acceleratore)? Avrebbero potuto, certo, a patto di ricalibrarire il gameplay tutto, con tutti i rischi del caso.
Del resto, Horizon Chase Turbo funziona alla perfezione così com’è, anche se drammaticamente essenziale: si accelera, si frena (raramente, ma è comunque meglio che rallentare) e ci si proietta con il turbo a velocità smodata, schivando tutto e tutti. Tutto qua. E il divertimento è assicurato da una curva di difficoltà lunga, progressiva e sempre più appagante. Il tipico gioco da “ancora una gara e poi smetto”, salvo poi ritrovarsi a fare le due di notte, con gli occhi iniettati di sangue, per conquistare l’oro in quella maledetta gara del Brasile, o per sbloccare l'ambitissima Lancia Stratos.
L’avevo già scritto nell’altra recensione e qui lo ribadisco ancor di più: vorrei parcheggiare l’auto, scendere ed esplorare i boschi, le montagne e le bellissime ambientazioni di Horizon Chase Turbo, in un’avventura grafica low poly, fluidissima, vivida e bella. E anche senza avventura grafica, il giudizio non può che essere un vivo e vibrante:
Ho giocato e continuo a giocare con estremo godimento a Horizon Chase Turbo sulla mia PlayStation 4, grazie a un codice per il download ricevuto dagli sviluppatori. OK, lo sto per dire: lo scopo è di platinarlo tutto, con calma e sangue freddo. Ma non sarà semplice. Più si va avanti e più le gare diventano stronze, bastarde e irresistibili. Vediamo come andrà. Horizon Chase Turbo è disponibile anche su PC.