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Jeff Minter: cinquant’anni vissuti pelosamente

Jeff Minter: cinquant’anni vissuti pelosamente

Caro Jeff, buon cinquantesimo compleanno!

Festeggiamenti pagani in quel del milanese.

Pensa che ieri a mezzanotte, in un locale di Milano, io e altri aficionado ti abbiamo festeggiato giocando tutti assieme i tuoi classici su un giga proiettore. Riti pagani, forse deprecabili (in quanto riti, non in quanto pagani). Ma d’altro canto, come restare indifferenti a questo duplice rintocco della grande campana tibetana della storia videoludica? Cinquanta esplosive candeline per te e trenta per la tua sgarruppata software house, Llamasoft! Pare tu abbia dichiarato che coi i tuoi giochi pelosi e i tuoi sintetizzatori di luce psichedelici volevi “stuprare i nostri bulbi oculari e prendere da dietro le nostre orecchie con uno strap-on”, e ai sensi di una persona non avvezza, probabilmente, il tutto è sembrato limitarsi proprio a questo. Tuttavia è sottile la lama che separa un llama da chi l’ama e, per chi sa togliersi gli occhi, metterli sulla graticola e guardare col puro cuore del videogiocatore, beh, Llamasoft ha fatto molto, molto di più. I tuoi giochi, Jeff, superficialmente sono un groviglio inestricabile di palette acide e sbagliate su sfondo nero, come fosse un muro che fin da subito rimbalza giocatori impazienti, modaioli e insomma indesiderati. Tutti quei frammenti cangianti di luce colorata, se miscelati da un giocatore paziente, diventano un unico fascio di luce pura, non adulterata, dove il gameplay vince su tutto. Il compiaciuto nonsense delle tue lande mentali, popolato di capre, cammelli, pecore, dromedari, llama, capri mai espiatori e minotauri è il biglietto da pagare per scoprire quanto i giochi arcade debbano e possano essere in realtà basati su ingredienti strutturali semplici e gioiosi.

Che poi, a pensare che vivi nel Galles in un podere con acri e acri di prati disseminati di pecore, capre e minotauri, risulta molto meno strambo il fatto che i tuoi giochi siano disseminati di pecore, capre e minotauri. What you see is what you get.

Jeff, sei uno dei miei amici mediatici preferiti, fin dai tempi dei tuoi diari di sviluppo su “Zzap!”. Già negli anni Ottanta il tuo luccichio mentale mi aveva portato a interessarmi alla cultura psichedelica: se un bambino entra in un negozio di dischi e come primo CD della sua vita si procura Atom Earth Mother, qualcosa di meraviglioso bolle nel druidico calderone della sua coscienza. Certo, è stato un bel problema il fatto che tu fossi un fricchettone smisurato e allo stesso tempo una delle menti più lucide e geniali dell’industry videoludica, per gusto, capacità espositiva e arguzia dei contenuti: mi convinsi, sostanzialmente, che tutti i fricchettoni fossero così. Qualsiasi assoluto è falso, e con gli anni ho capito che, semplicemente, tu non sei che te stesso, con una coerenza impressionante, tanto più sconcertante se è vero – ed è vero – che la tua coerenza è basata sulla volontà di rinnovarti costantemente, restando sempre aggiornato sulle evoluzioni della cultura pop tecnologica. Invece di diventare un llamasauro verboso che anela ai bei tempi andati, tu continui a essere curioso, a esplorare qualsiasi nuova frontiera comunicativa sia su Internet, col tuo uso frizzante e surreale di Twitter, sia nei tuoi giochi, ormai fieramente di casa su piattaforme iOS (oltre che su qualsiasi altra piattaforma possibile e immaginabile, in effetti). E sei uno dei pochi a saper sfruttare l’amato/odiato touchscreen per creare un sistema di controllo credibile per giochi arcade selvatici. Grazie.

A Jeff piace farlo strano.

Un saluto affettuoso anche a Ivan “Gilesgoat” Zorzin, la tua ombra gemella e colorata, di cui so poco o nulla, ma che sento essere stato così importante nella tua dirompente rinascita creativa degli ultimi anni, da quando sei riuscito a ficcare Neon, il tuo ultimo sintetizzatore di luce socialmente pericoloso nel compassato e iper-corporate Xbox 360. Più o meno. Evidentemente it takes two to tango, ma anche per codare psico-selvaggiamente. Sulle pagine di Outcast.it, prossimamente, una serie di trenta piccoli articoli (tendenzialmente divisi in tre tranche, vedremo) si proporranno di celebrare trenta feticci del cosmo LLamasoft, simbolicamente uno per ogni anno di esistenza, e di esperienza, di questo fondamentale tassello di follia nell’universo dei videogiochi. Per intanto, se non l’avessero già fatto, i lettori di Outcast.it dotati di un qualche coso iOS sono caldamente invitati, alla cieca, a scaricare tutti i giochi realizzati finora da Jeff nella prolifica collana Minotaur Project. E anche, gratuitamente in giro sull’Internet, quelli per Commodore 64 e altri animali estinti.

Auguri, auguri, auguri, Jeff, il più fieramente outcast di tutti. Per tutti i prati neri, le banane impossibili, l’esoterismo scanzonato, gli sprite brutti ma bellissimi, i sample imbizzarriti, i cammelli mutanti. E per tutta la birra che hai offerto a un giovane, imbranato giornalista videoludico all’E3 2000 che, invece di prostrarsi davanti ai filmati di Metal Gear Solid 2, è rimasto per tre ore al tuo stand a giocare a Tempest 3000 sul Nuon.

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