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Kero Blaster, o della rana dalla bocca stretta

Kero Blaster, o della rana dalla bocca stretta

È il momento di inaugurare l’era del keroblasto. Abbiamo avuto il turboblasto, lo sapete, ed è una delle categorie più importanti per definire la gioia spumeggiante e orgasmica, be’, del turboblasto medesimo, in un gioco di ricorsività semantico-turboblasta illimitata. Ma non di solo turboblasto vive l’uomo. Ecco dunque il keroblasto di – appunto – Kero Blaster, una nuova sfumatura nell’immarcescibile genere run-n-gun 2D. In cosa consiste il keroblasto? Nell’affascinante contrasto tra ultraviolenza e asciuttezza. Nella capacità di farci sparare tonnellate di proiettili, ma senza doparci emotivamente con fumi e raggi laser. Tutto è piuttosto pulito, alla fin fine. Scarno. Avanzate. Sparate ai nemici. Saltate i precipizi. Raccogliete monete. Trovate nuove armi. Potenziate le nuove armi raccogliendo le monete. Bivi? Rarissimi. Segreti? Il giusto. Personaggi sbloccabili? No. Venti ore di gioco? Macché, in un pomeriggio di pioggia lo finite una prima volta. E subito vorrete rigiocarlo, a patto naturalmente che vi piaccia il genere e che siate persone di buon gusto.

È un mondo freddo, quello della società Cat & Frog. Quasi (quasi!) tutti hanno reazioni emotive minimali. Si parlano poco. Fanno il loro lavoro. Il lavoro di Kero, per esempio, consiste nel fare pulizia di bestiacce a colpi di arma da fuoco. Ma pian piano che avanza nei livelli, comincia a capire che non sta semplicemente combattendo per la pagnotta, è nel bel mezzo di una lotta metafisica per combattere i ricordi negativi del passato, che ottenebrano il nostro presente lasciandoci privi di energia. Non sappiamo molto né su Kero, né sui comprimari. Ma proprio in questa dimensione strampalata e minimale il buon Daisuke “Pixel” Amaya riesce a costruire un mondo che forma la propria personalità negli spazi vuoti, nelle campiture uniformi, nella palette livida, con pochi dettagli e tantissimi sottotesti che, ancora una volta, saprà conquistarvi, proprio come successe con Cave Story. Sì: qualora vi fosse sfuggito, siamo qui alle prese con il nuovo gioco di quel raffinato geniaccio che, col suo metroidvanesco gioco amatoriale di ormai quasi un decennio fa, ha ispirato gran parte della scena indie per come la conosciamo oggidì.

L’inizio è super Marrone. La palette si premurerà di esplorare tutte le sfumature livide presenti nella mente di Pixel.

Ma voi non cadete nella trappola, vecchia quanto il mondo dei prodotti dell’industria culturale di massa, di esigere un Cave Story II da un gioco che non lo è e non vuole esserlo (sennò, con ogni probabilità, si sarebbe chiamato Cave Story II). Non chiedete ai Beatles di rifare all’infinito Sgt. Pepper. Non chiedete agli Smashing Pumpkins di rifare all’infinito Mellon Collie and eccetera. Accettate che dopo il complesso possa arrivare il semplice, perché dal lato dello sviluppo, è un desiderio legittimo. Anzi, pensate che Pixel da Kero Blaster ha tagliato via una quantità di contenuti importante (come si evince recuperando i filmati del gioco in corso d’opera, che mostrano una trama e situazioni di gioco molto differenti). Perché la storia del gioco cui si accennava poc’anzi, in cui Kero deve spazzare via un passato ingombrante e vischioso, è palesemente la storia di Pixel stesso. Non voglio farmi eccessivamente gli affari suoi, ma è palese che Kero Blaster sia un gioco dalla valenza psicanalitica, per lui. E magari anche per me, che ho cominciato a giocarci con il più banale dei sentimenti beh-tutto-qua per poi ritrovarmi conquistato dalla semplice piacevolezza del feel dei diversi tipi di sparo, dei potenziamenti, del cristallino level design, della morale del gioco. E delle musiche. Mio Dio. Le musiche. Se amate la chiptune, la colonna sonora di questo gioco vale da sola il prezzo del biglietto. A partire dal main theme It’s my Blaster che riecheggia nel livello 1 (e ritorna giustamente nell’ultimo, dove calza ben più a pennello, visto il volume di fuoco scatenato che sarete in grado di scatenare per allora).

Se poi Cave Story è passato alla storia per una certa difficoltà insana, Kero Blaster è ben più misurato. Se studiate bene i pattern di ciascuna tipologia di nemico, e lo approcciate di conseguenza, dovreste riuscire ad avanzare con relativa facilità, specialmente se negli shop presenti in ciascun livello sarete oculati della scelta dei potenziamenti. Va da sé, se giocate alla CdC non possio garantire per la vostra incolumità, soprattutto all’inizio, quando la barra dell’energia è esigua. Ma non succedeva lo stesso in Wonder Boy in Monster Land e in tantissimi arcade RPG della prima ora? Nella sua opera, Pixel non nasconde certo l’ammirazione per quella stagione videoludica. Ma pur abbracciando un’estetica e una meccanica retrò, Kero Blaster mi ha rapito il cuore per il suo carattere unico, difficilmente imitabile. Il “Pixel Seal of Quality”, diciamo.

Non che sia perfetto: in alcuni tratti si nota che certe armi sono più keroblaste di altre, che finiscono con l’essere degradate a “ah, questa la uso esclusivamente in quello stage lì”, e avendo solo quattro armi (chi ha detto cinque???), lo sbilanciamento un po’ si sente. Un po’ di carne al fuoco in più, inoltre, avrebbe giovato: OK, corto, benissimo, ma ti resta un po’ troppa voglia anche dopo averlo rigiocato. Se Cave Story è un diamante grezzo che giustamente non avrà mai (vero?) un seguito, qualche nuova avventura keroblasta non mi dispiacerebbe affatto. Non dimenticate, a questo proposito, di recuperare gratuitamente a questo indirizzo Pink Hour, un buffo prequel della storia molto meno run-n-gun e molto più platform delizia. Vogliamo godere ancora di questo piccolo mondo pixellato, non vogliamo restare con la bocca asciutta se si tratta di keroblastare nei panni della rana dalla bocca stretta!

Dimenticate il power-up (e power-down) dinamico di Cave Story. Entrate in un negozio e fate il vostro dovere di acquirenti!

Il gioco è uscito già da un po’, e un po’ troppo in sordina, secondo me, per una serie di ragioni che vanno dalla concomitanza con l’E3 fino alla scarsa popolarità del pur lodevole portale jappo-fiendly Playism, ove bisogna virtualmente recarsi per acquistare il gioco. Fatelo: acquistatelo. Tipo otto dolla. PayPal. Anche solo la colonna sonora li vale. Ma anche il gioco, li vale. E anche voi, valete. E vi meritate qualche ora di sano keroblasto ogni tanto, no?

Ho finito Kero Blaster tre volte: una normale, una che chiameremo “Game NO”, e se lo finirete capirete perché, e una normale di nuovo perché avevo ancora voglia di giocarci, dannazione. Ho anche finito quattro volte Pink Hour, il prequel gratuito, perché ha in effetti quattro finali possibili! Giocatevelo prima o dopo, fa lo stesso.

Voto: 8,5

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