La mensola di Shin X #27 - Bodycount: la conta dei morti
Da sempre sostenitore di titoli bistrattati dalla critica, Shin X è passato da “difensore dei poveri” a “masochista”, da “acquirente compulsivo” a “forzato bastian contrario”. La verità è che a suo parere ogni titolo può dire qualcosa: c’è chi sbraita, chi sussurra, chi lo fa con i sottotitoli e chi lo recita in versi. L’importante è avere lo spirito di voler ascoltare. E l’antro in cui riposano questi brutti anatroccoli è la sua mensola. L’unico luogo nel quale possono diventare cigni.
Codemasters, storica software house britannica, non è conosciuta solo per i giochi di guida. Il sottoscritto la ricorda con affetto anche per un certo Bodycount, bistrattato seguito spirituale del ben più famoso e apprezzato Black. Il titolo "mensolato" di questo mese ha un ché di anonimo nell'ostentare con prepotenza quella opaca palette paglierina. Tuttavia, oltre la scelta cromatica ridondante, il gioco di Codemasters emerge ben presto con grande fierezza, mostrando orgoglioso il suo potenziale chiassoso e ignorante. Esplosioni ovunque, muri che crollano sotto un nugolo di proiettili, possibilità di accumulare sempre più munizioni e granate per ogni uccisione "cool": tutto il comparto ludico è allestito in modo che possiate diventare dei veri e propri tritacarne.
Bodycount non ha grandi pretese, questo è lapalissiano fin dalle prime, energiche deflagrazioni. Tuttavia, rimane portatore sano di divertimento, e voi sapete bene che nulla è più degno della mensola di un titolo giocabile, scacciapensieri e smargiasso. La creatura di Codemasters è pregna di un gameplay coriaceo e istintivo, riuscendo a regalare picchi d'inaspettata e ferina esaltazione. L'ossatura ludica cammina in bilico tra il classicismo barocco degli FPS di dieci anni fa e il moderno stile blastatorio legato al punteggio e alla distruzione continua. L'arte della combo stilosa è quindi l'unica, vera protagonista, accucciata sotto l'ombra di una narrazione didascalica e minimale. Introdotti alle missioni da una voce femminile degna del miglior navigatore satellitare, il gioco riduce l'approfondimento narrativo a spartani briefing, legati a doppio filo con i soliti risvolti distopici. Il cuore pulsante di Bodycount, però, risiede nello stimolo ossessivo alla ricerca del punteggio massimo, il tutto grazie a combo continue e uccisioni spettacolari. Personalmente, non chiedo di meglio.
Far esplodere dei rubizzi barili rossi (di cui il gioco è inspiegabilmente costellato) mentre ci si ripara, lanciando nel mentre granate alla cieca, porterà alla lievitazione del punteggio. Il pratico sistema di score non serve solo a gonfiare il nostro ego, ma anche a rimpinguare dei fondi virtuali, utili a sbloccare diverse e letali chincaglierie. Nuove abilità, armi più o meno efficaci e altri oggettini, reperibili in pratici bussolotti disseminati per gli scenari. I veri maestri di questo stile di gioco, quelli dell'inarrivabile e sottovalutato Bulletstorm, hanno fatto scuola, questo è innegabile. È altrettanto vero, però, che altri esponenti meno famosi ci abbiano insegnato come tale formula, seppur minimale, sappia essere vincente. Mi vengono in mente The Club e Army of Two: The Devil's Cartel, ad esempio, che non erano affatto male, pur sguazzando in un'anonima e stentata sufficienza.
Prendendo a prestito l'infame bilancia del recensore, non si può certo dire che il gioco brilli per varietà degli scenari o rifinitura generale. Un tanto al chilo, le ambientazioni appaiono quasi tutte ammantate da un giallo itterico, con qualche spruzzata di blu militare... "Che faccio, lascio?". Io dico di sì: l'importante rimane distruggere tutto e tutti (questo l'ho già ampiamente accennato), perciò, se lo stile è funzionale al comparto ludico, tanto di guadagnato, no? Basta farsi largo tra i nemici con stile gagliardo e ottusa ostinazione per ricavarne un gran piacere, e personalmente ritengo sia ciò che conta in un titolo simile. Il multiplayer, vista la data di pubblicazione, è ovviamente morto di vecchiaia. scegliete voi l'epitaffio da incidere sulla lapide di un matchmaking tristemente etichettato da un numerino all'alluce (almeno su PS3).
Bodycount è dunque un gioco godibile e spassoso per l'arco di tutta la sua energica fruizione. Artisticamente votato al minimalismo visivo e alla monocromia stilistica, appare più che sufficiente a livello tecnico. L'interazione con l'ambiente è sempre gioiosamente ancorata alla distruzione totale, pur subordinata a certi squilibri ambientali (questo esplode, questo no). Niente di cui lamentarsi particolarmente, visto l'immobilismo scenico di giochi odierni e ben più blasonati. Il gunplay è irruente, poderoso, abbracciato a un rinculo a tratti arrogante, ma proprio per questo assai gustoso da domare.
Distendendosi ben oltre le canoniche cinque\sei ore necessarie a concludere la maggior parte degli FPS moderni, Bodycount mantiene la sua natura mordi e fuggi, fatta di missioni circoscritte e veloci invettive, ma riesce a trattenere a lungo grazie alle varie modalità. L'enfasi posta sul punteggio, elemento cardine del gioco, è portata avanti con coerenza fino alla fine. Siamo sempre di fronte a un arcadone senza fronzoli, sia ben chiaro. Però - e non ne parlerei in questa sede se non ci fosse un però - nonostante tutto il giallo paglierino spiattellato in gran parte degli scenari, Bodycount merita senza alcun dubbio una chance... postuma.
Chiamatela necrofilia ludica, se volete, o semplice passione. L'importante è mettere mano al portafogli e tirar fuori i pochi spiccioli necessari all'acquisto: non ve ne pentirete. O al massimo potete prendetevela col Maderna.