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La Mensola di Shin X #33 - Astebreed: capodanno in differita

La Mensola di Shin X #33 - Astebreed: capodanno in differita

Da sempre sostenitore di titoli bistrattati dalla critica, Shin X è passato da “difensore dei poveri” a “masochista”, da “acquirente compulsivo” a “forzato bastian contrario”. La verità è che a suo parere ogni titolo può dire qualcosa: c’è chi sbraita, chi sussurra, chi lo fa con i sottotitoli e chi lo recita in versi. L’importante è avere lo spirito di voler ascoltare. E l’antro in cui riposano questi brutti anatroccoli è la sua mensola. L’unico luogo nel quale possono diventare cigni.

Ci sono alcuni generi videoludici lasciati alla deriva, persi nei meandri del tempo e dei ricordi. Gli shoot 'em up rientrano appieno in questa definizione, eppure, se ci si guarda bene intorno, non mancano piccole gemme in grado di ridestare anche il videogiocatore più sopito. È il caso di Astebreed, uno sparatutto sviluppato dagli Edelweiss, un piccolo studio indipendente di matrice nipponica. Uscito su PC poco più di un anno fa, è disponibile da qualche mese anche su PS4. Volendo andare al cuore del gioco, senza tanti preamboli e digressioni, Astebreed si presenta come uno shoot 'em up a scorrimento multidirezionale, impreziosito da un sistema di controllo complesso ma soddisfacente e un comparto tecnico assai curato.

I passaggi alla Afterburner non sono mai troppo estesi.

I passaggi alla Afterburner non sono mai troppo estesi.

Gli sviluppatori hanno incentrato i loro sforzi per la realizzazione di uno sparatutto frenetico e spettacolare, attingendo a quel classico ma irrinunciabile immaginario fatto di olocausti, mech, signorine misteriose ed eroi dannati. La struttura ludica potrebbe inizialmente straniare, tant'è che il mio consiglio è di pasticciare con la configurazione dei tasti prima di lanciarvi in battaglia. Il nostro robot - un perfetto ibrido tra un Gundam e un Evangelion - è armato di tutto punto: la bocca di fuoco base viaggia in un'unica direzione, i missili a ricerca in stile Panzer Dragoon/Zone of the Enders agganciano i nemici in un area circoscritta (con un tasto) o in un fascio conico, da aggiustare con l'analogico destro.

I 60fps sono granitici anche nelle situazioni più caotiche.

I 60fps sono granitici anche nelle situazioni più caotiche.

L'immancabile spada è vitale negli scontri ravvicinati, mentre EX Attack rientra nelle più classiche tra le smart bomb. Astebreed presenta due modalità di gioco: la prima è l'Arrange Mode, che offre un sistema di controllo snello e accessibile, senza rinunciare, ovviamente, alla profondità del gameplay. La seconda, il Classic Mode, si appoggia alla struttura originale già vista su PC, con dei controlli un po' più complessi, ma da provare almeno una volta.

Ciò che realmente colpisce di Astebreed è la sua straordinaria giocabilità: se state cercando uno sparatutto con crediti limitati o che abbia decine di stage, forse, non fa per voi. Il titolo, infatti, è un puro e autentico concentrato di gameplay, ma in maniera graduale. I primi due livelli di difficoltà sono così abbordabili da arrivare quasi a indispettire. Tuttavia è nella natura più profonda di Astebreed che risiede il suo vero carisma. Nonostante il salto alla modalità hard sia fin troppo marcato, credo sia quello il vero modo per godere appieno del gioco. L'unica scelta opinabile è che proprio la modalità difficile non è disponibile all'inizio, "costringendoci" a concludere Astebreed almeno una volta per potervi accedere. Tuttavia, se ci fermiamo davanti ai suoi sei livelli, o al numero di minuti necessari ad arrivare alla fine, stiamo commettendo un grosso errore di valutazione, nonché un approccio miope alla creatura degli Edelweiss.

Non ha importanza che il sistema di salvataggio permetta di ripartire addirittura dall'ultimo stage raggiunto: tutto questo troverà un senso nella modalità più ostica, dove gli scudi rigeneranti (!) che vi hanno accompagnato fino a quel momento saranno completamente assenti. È un divario quasi scorretto, bisogna dirlo, ma assolutamente appagante una volta scesi a patti con la sua crudeltà.

Astebreed basa parte del suo carisma anche su una componente tecnica semplice ma abbacinante: la pulizia grafica, i 60 fotogrammi al secondo, le spettacolari rotazioni incorniciano un aspetto di certo non incredibile, ma con una direzione artistico-estetica funzionale e raffinata. Forse a tratti può apparire un po' derivativa, ma mai tanto da intaccarne la qualità complessiva. Le varie zoomate e rotazioni di cui sopra sono per lo più estetiche, visto che il titolo si struttura sostanzialmente come uno sparatutto orizzontale. Cosa cercare, quindi, da questo Astebreed? Cos'è lecito aspettarsi? Di certo non un'avventura sparacchina nel senso più stretto del termine. Non bisogna andare semplicemente da A a B. Il fulcro della sua esperienza risiede nella sfida, carpire i pattern d'azione e farli propri al 100%. Portarlo a termine e ricominciarlo è la sua vera essenza: quella modalità hard inizialmente così ostica da risultare quasi improponibile delinea, al contrario, l'autentico cuore del progetto.

In alcuni momenti potreste pensare di non avere abbastanza dita.

In alcuni momenti potreste pensare di non avere abbastanza dita.

Pur non destando clamori a causa di un comparto tecnico "solo" discreto, Astebreed si impone sopratutto per una giocabilità, una sfida in crescendo e un'atmosfera eccezionali. Oltre la logorrea nipponica dei protagonisti, il design leggermente spartano e la fissità delle schermate di intermezzo, Astebreed colpisce nel segno, grazie a un gameplay martellante, frenetico e convulso. Andate oltre il primo giro a modalità normale, prendetelo come un lunghissimo tutorial: solo così potrete assaporare appieno il gusto del gioco Edelweiss, uno fra gli shoot 'em up più intensi, adrenalinici e galvanizzanti degli ultimi due lustri.

Old! #143 – Gennaio 1976

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