One Hour One Life: La storia dell'uomo, un'ora alla volta
Jason Rohrer è uno dei game designer indipendenti più talentuosi e originali degli ultimi anni. Sin dai suoi primi giochi, l'intensità e importanza delle sue intuzioni di design era sotto gli occhi di tutti. È con il terzo gioco che Jason raggiunge la popolarità: Passage è un'esperienza minimale della durata di cinque minuti, in cui si vive, in maniera estremamente stilizzata e metaforica, l'esistenza di una persona dalla nascita alla morte. Assolutamente da provare, possibilmente spoilerandosi il meno possibile l'esperienza. Dal 2012, Passage è presente come installazione permanente al MOMA di New York.
Pochi mesi fa, Rohrer decide di riproporre il concetto di "esistenza" in un videogioco, ma stavolta declinandolo in chiave multiplayer, con enfasi sulla forza e importanza della collaborazione fra esseri umani, al servizio della creazione di una civiltà, partendo dalla preistoria fino ad arrivare a robot e oltre. Ai cinque minuti di Passage, quindi, si sostituiscono i sessanta di One Hour One Life, che scandiscono ognuno un anno d'età del nostro personaggio. Allo scoccare del sessantesimo anno d'età, morirà di vecchiaia, ma riuscire a durare un'ora intera nell'ostile mondo dell'ultima fatica di Jason è tutto fuorché scontato. All'inizio di una partita di One Hour One Life possono succedere due cose: o si nasce neonati, nei pressi di un giocatore "donna", che sarà la nostra mamma o, nel caso in cui il server sia quasi vuoto, si nasce come "Eva", ovvero una donna già adulta, pronta per sfornare i giocatori che si collegheranno al gioco da quel momento in poi. Appena venuti al mondo, la nostra sussistenza dipende esclusivamente dalle cure degli adulti che ci circondano, in primis le donne adulte, a cui basta prenderci in braccio per allattarci e sfamarci completamente, senza consumare cibi commestibili come bacche e carote ma diventando, realisticamente, un po' più affamata.
Già nei primi minuti di gioco, One Hour One Life può rivelare il suo lato più brutale: nostra madre, ad esempio, potrebbe avere già uno stuolo di marmocchi da dover allattare e liquidarci con un laconico «Sorry, no more children» e lasciarci a vagare per i pochi secondi che il gioco ci consente di vivere nel caso in cui non provvediamo al nostro sostentamento. Ogni tot di tempo, per fortuna, il livello massimo della nostra barra della fame sale: ne consegue che nei primi anni di vita il cibo sarà un serio problema, mentre in età adulta, fortunatamente, la situazione migliorerà.
Raggiunti i quattro anni di vita, impareremo a raccogliere oggetti e a sfamarci da soli, e nell'impietoso mondo di One Hour One Life, quattro anni sono un'età più che sufficiente per iniziare a dare una mano alla comunità. «Puoi raccogliere oggetti? Bene, questa ciotola serve per metterci dentro l'acqua: vai a trovare uno stagno e riempila per innaffiare i campi che abbiamo arato per coltivare le carote», potrebbe dirci uno dei giocatori adulti. Perché sì, in One Hour One Life è possibile comunicare con gli altri ma, trovata geniale, con un'efficacia direttamente proporzionale alla nostra età. Appena nati, infatti, potremo proferire una singola lettera: quasi nulla, certo, ma più che sufficiente ad attirare l'attenzione di nostra madre, nel caso in cui la barra della fame stia scendendo pericolosamente a zero. Crescendo, le lettere che potremo scrivere in ogni messaggio aumenteranno, dandoci la possibilità di comunicare in maniera sempre più completa con gli altri giocatori.
Lo scopo della nostra vita da adulto è quello di contribuire il più possibile allo sviluppo tecnologico e, perché no, sociale della community iterativa di giocatori di One Hour One Life. La meccanica strettamente ludica che tiene insieme le diverse sfaccettature del gioco è quella del crafting. Al contrario di altri giochi simili, in cui appoggiarsi a guide è assolutamente fondamentale per conoscere le varie cose realizzabili nel gioco, One Hour One Life impiega un sistema di help piuttosto ingegnoso: raccogliendo o cliccando su un oggetto, in basso a destra compare una finestra contestuale, che possiamo sfogliare con la pressione del tasto Tab, per vedere le varie combinazioni possibili di quell'oggetto con altri.
Si parte raccogliendo materie prime come legna, piante, acqua e via via si cominciano a realizzare dei rudimentali cestini partendo da steli di giunco raccolti in prossimità degli stagni, le prime armi e trappole primitive per andare a caccia di animali, i primi falò e in seguito forni dove cuocere l'argilla per realizzare ciotole e altri utensili. Si ha davvero la sensazione di contribuire spontaneamente a una società in divenire e la dipendenza dagli altri partecipanti non fa che rendere i legami fra gli anonimi giocatori di One Hour One Life ancora più forti. Il livello della simulazione proposta non è incredibilmente complesso, ma offre comunque una base di realismo che rende il gioco piuttosto intuitivo nonostante la vastità di oggetti e combinazioni possibili. Ad esempio, sostare nei pressi di un falò offre un migliore livello di comfort, che permette di diventare affamati meno velocemente, mentre riuscire a fabbricarsi dei vestiti permette di sopportare meglio le zone più fredde.
A questo punto, arriviamo a ciò che rende davvero One Hour One Life rivoluzionario. Alla fine della nostra esistenza, che sia durata cinque minuti o un'ora, non porteremo con noi nulla di ciò che avevamo realizzato, che invece resterà a disposizione delle future generazioni di giocatori. Questo significa che, gradualmente, si assisterà a una crescita della civiltà che consentirà ai giocatori futuri di raggiungere, un giorno, tecnologie avanzate come automobili, computer e robot. Iniziare una partita in una comunità con dei campi coltivati e delle case, ad esempio, renderà i primi passi nel mondo di gioco estremamente più semplici, permettendoci di spostare il focus della nostra partita dalla mera sopravvivenza a un apporto più sostanziale, come ad esempio la creazione di carretti per il trasporto delle merci o l'edificazione di case rudimentali.
Rohrer sta continuando a sviluppare il gioco a un buon ritmo: rispetto all'uscita avvenuta qualche mese fa, infatti, sono già numerose le aggiunte di rilievo. Fra tutte vanno citate la possibilità di dare un nome al proprio figlio (altra curiosa declinazione dell'interazione fra giocatori), il poter curare giocatori feriti e, ultima in ordine di tempo, ma assolutamente non meno importante, la presenza di un tutorial, che permette finalmente di imparare le basi del gioco in maniera ordinata, senza dover ricorrere a guide, wiki o video su Youtube.
One Hour One Life è un gioco sorprendente e in cui la narrazione emergente la fa da padrona. Situazioni assolutamente impreviste e ricche di dilemmi etici e morali possono verificarsi in qualsiasi momento. Mia ultima partita: sono nato da poco, ho sì e no tre anni, posso solo camminare ed essere nutrito. Ho la fortuna di nascere in una casa con tanto di porta: ottimo per tenere lontano il freddo. Abbiamo un orto coltivato a carote: tutto sembra far presagire una vita promettente e non troppo complessa. E invece. Mia madre dice a mia sorella maggiore di andare a raccogliere dei materiali in giro. Dopo qualche secondo, la vedo tornare sanguinante. Vedo mia madre chiudere la porta e non farla entrare in casa. Esclama «Oh no, I raised her... ». Lì per lì non capisco. Poi, subito dietro mia sorella, ormai quasi esanime, vedo comparire un orso inferocito, ferito da due frecce di una precedente spedizione di caccia finita male. Vedo morire mia sorella fuori dalla porta di casa. Mia madre ha sacrificato lei per salvare noi. Voi che avreste fatto, al posto suo? Quello che avete provato leggendo queste righe è l'essenza di One Hour One Life.
One Hour One Life non è disponibile su Steam: l'ho acquistato sul sito ufficiale al prezzo di circa 18 euro e, nel corso dei mesi, ho affrontato diverse vite, accumulando, a spanne, almeno una ventina di ore.