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Punk Samurai Slash Down apre tutto

Punk Samurai Slash Down apre tutto

Avendo dovuto saltare la terza giornata, la mia esperienza al Paris International Fantastic Film Festival 2018 si è aperta con una nippo-tripletta dalla soddisfazione calante. Dopo il clamoroso Zombie contro zombie e il discreto The Blood of Wolves, mi sono ritrovato davanti questo Punk Samurai Slash Down, epica surreale tratta dall’omonimo romanzo di Kou Machida, a lungo considerato inadattabile. Non ho avuto il piacere di leggerlo ma, curiosando in giro, scopro che i problemi stavano nell’estrema verbosità, nel linguaggio anacronistico, nella narrazione spezzettata e nei lampi di surreale senza freni, tipo la gran battaglia finale con fanatici religiosi da una parte e samurai e scimmie dall’altra.  E sono tutte cose che, in effetti, nella versione cinematografica non mancano, anche se non sono necessariamente tutte problematiche. Anzi, il film funziona davvero forse solo quando butta tutto per aria all’insegna del delirio.

La storia racconta di un ronin fortissimo ma anche fortissimamente cretino, che si inventa una serie crescente di menzogne per giustificare una minchiata colossale commessa nella prima scena ma anche per ingraziarsi un signorotto locale. Ovviamente, la balla cresce con effetto valanga e il risultato è che il nostro eroe (?), per mantenere in piedi la pantomima, si ritrova costretto a far resuscitare un culto di pazzi furiosi, cosa che genererà ulteriori, drammatiche conseguenze quando la situazione finirà del tutto fuori controllo, fino appunto al delirio finale con scimmie, samurai e fanatici. E vortici interdimensionali nel cielo. E tenie mistiche. E altro ancora. Insomma, è il prevedibile delirio e, come detto, il pregio maggiore del film è la totale assenza di vergogna nel mettere assieme un frullatone di suggestioni fuori di cozza, con momenti davvero suggestivi.

Il problema è che incespica quasi tutto il resto. Il cast è abbastanza azzeccato e funziona nel rendere i classici personaggi giapponesi in costante bilico fra melodramma e demenzialità totale, ma il ritmo si trascina, la sceneggiatura è a tratti davvero troppo verbosa e l’impressione è di un film a cui avrebbe fatto bene un’asciugatina. Al di là di quello, il problema vero è che sembra di stare davanti al Takashi Miike del discount. Probabilmente metterla così è un po’ ingenerosa nei confronti di Gakuryû Ishii, regista con quarant’anni di carriera assai influente alle spalle, ma davvero, anche nei momenti più riusciti, sembra sempre che manchi qualcosa e, soprattutto, sembra sempre di stare guardando qualcosa che Miike ha già fatto e ha già fatto meglio. Ne vale comunque la pena, perché ti strappa parecchie risate e per l’inventiva espressa in quei momenti fuori di testa, ma l’amaro resta in bocca.

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