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Rocketman suona meglio di quell’altro

Rocketman suona meglio di quell’altro

Capita spesso che dalle stesse premesse saltino fuori film anche molto, molto diversi tra loro; è un po’ meno scontato se la cosa si verifica quando c’è di mezzo la medesima mano. È il caso di Rocketman, diretto dallo stesso Dexter Fletcher che qualche tempo fa era stato chiamato a chiudere la travagliata lavorazione di Bohemian Rhapsody, sostituendo Singer un po’ dappertutto tranne che nei titoli di coda.

Il biopic dedicato a Elton John mi è parso decisamente più centrato rispetto a quello destinato al suo connazionale e frontman dei Queen. Questo, come ho già accennato, nonostante le due opere si appoggino a un canovaccio davvero molto simile ed esplorino tematiche attigue: la musica, il successo, la difficoltà di essere omosessuali in un paese e in un’epoca bigotte e mica come oggi, che va tutto a gonfie vele.

Parte del merito lo si deve a un registro che pizzica le corde del dramma senza scadere in eccessi melò e, anzi, prendendosi persino qualche momento di sarcasmo per sdrammatizzare. Eppoi c’è il cast: estremamente in bolla, affiatato, che riesce ad agganciare lo spettatore fin dalle prime battute e a trascinarlo in un viaggio che copre oltre trent’anni della vita dell’artista britannico. Dall’infanzia trascorsa in un Middlesex che pare uscito da una canzone di Lennon, a casa della nonna e in presenza (più spesso, assenza) di genitori distanti e problematici, passando per gli anni del conservatorio. Poi i primi concerti e gli States, il successo travolgente e, infine, la crisi e la sfida della riabilitazione nei primi Novanta.

La cura per ambienti e costumi sfiora il maniacale.

Taron Egerton, diversamente da Rami Malek, non cerca la via dell’imitazione e se ne sta bene alla larga delle macchiette. Qualche volta, soprattutto durante le sequenze ambientate nei sobborghi inglesi e nei pub, sul viso del suo Elton mi è parso di veder balenare il ghigno da sbruffoncello del protagonista di Kingsman. E ci sta, perché quello che salta fuori è un personaggio complesso e lontano dai cliché. Tribolato e facile all’ira, esuberante sul palco ma anche timido, fragile e capace di un’incredibile dolcezza che emerge, ad esempio, da certi scambi con il suo amico e paroliere Bernie Taupin (Jamie Bell) o con la nonna materna (Gemma Jones). Ma in generale, davvero, in scena hanno tutti quella faccia da “tinello inglese” e sono tutti bravi, da Charlie Rowe a Bryce Dallas Howard. Persino Richard Madden, che mi è sempre parso tanto cane in Game of Thrones e che qua interpreta il manager John Reid, nella versione di amante stronzo e violento.

In Bohemian Rhapsody, il manager John Reid era stato interpretato da un’altro attore di Game of Thrones, Aidan – Ditocorto – Gillen.

Sarà che a ‘sto giro non c’era di mezzo quel bacchettone di Brian May, ma Rocketman non puzza di agiografia e, anzi, ne esce pure contestualmente ruvido. Non si tira indietro quando c’è da raccontare gli eccessi sessuali dell’artista, oppure i suoi momenti no con le droghe e, in generale, tutti gli sbattoni che lo hanno incasinato per buona parte della vita. Poi, sì, c’è quella cosa che tutta la parte dedicata alla fondazione del mito della rockstar riesce parecchio più interessante rispetto alla fase di crisi e, soprattutto, al riassestamento che si consuma nell’ultima mezz’ora di film. Ho anche avuto la sensazione che sia stata gestita meglio in termini di ritmo, ma vai a sapere.

Ad ogni modo, per riuscire a comprime in un paio d’ore una bella fetta della vita di Elton, Fletcher e lo sceneggiatore Lee Hall hanno utilizzato l’artificio del racconto in flashback, alternando stanze in prosa con momenti musical che, oltre ad essere visivamente azzeccati, funzionano piuttosto bene sul piano simbolico e per il taglio non scontato attraverso il quale rileggono alcuni tra i brani più celebri dell’artista. Brani, tra l’altro, interpretati per l’occasione dallo stesso Egerton, che aveva già dimostrato di saperci fare in Sing.

E allora sì, dai; ci credevo poco, visto il mio disamore per Bohemian Rhapsody, ma Rocketman mi è piaciuto. Mi è piaciuto nonostante arrivi alla fine un po’ spompo e nonostante le immancabili - e orribili - didascalie sui titoli di coda del tipo “Oggi Sir Elton John non si droga più, non beve più, porta un bel parrucchino, eccetera eccetera”, che a saperlo mi sarei alzato trenta secondi prima.

Ho avuto la possibilità di guardare Rocketman in anteprima e, grazie a Dio, in lingua originale grazie a una proiezione stampa alla quale siamo stati gentilmente invitati. L’uscita in sala è prevista per il prossimo 29 maggio.

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