Yu Suzuki chiacchiera di Shenmue III a Dubrovnik
Lo abbiamo atteso per quasi vent'anni, è saltato fuori all’E3 del 2015, quando ci immaginavamo la sua apparizione facendo battute e rimanemmo poi di sasso, e nel 2019, finalmente, Shenmue III finirà tra le nostre mani. Al Reboot Develop Blue 2019, in quel di Dubrovnik, Yu Suzuki si è manifestato sul palco, forte del suo charme serafico, ammirato da una platea che vantava nomi importanti dello sviluppo, un emozionatissimo SWERY e il vostro amato (?) giopep. E di che ha parlato, Suzuki? Ma di Shenmue III, ovviamente. Partendo però dalle origini: all'epoca in cui sviluppò quello che molti identificano come uno fra i primi giochi open world, o comunque fra i primi esempi dell'open world moderno, Suzuki non aveva certo in mente quella definizione. Era un periodo, racconta, in cui gli sviluppatori giapponesi si inventavano continuamente generi e definizioni, e Sega decise di promuovere Shenmue come "FREE (Full Reactive Eyes Entertainment). Suzuki, però, non pensava alla terminologia e non pensava necessariamente al concetto di open world; a lui importava l'approccio.
All'epoca, soprattutto se consideriamo la tradizione nipponica, i giochi di ruolo offrivano esperienze piuttosto lineari. Magari capitava che ci fossero finali diversi, opzioni, percorsi separati, ma sempre con una traccia forte che bisognava seguire dall'inizio alla fine. L'idea alla base di Shenmue, invece, consisteva nell'offrire modi realmente diversificati per approcciare il gioco, le situazioni, la storia. E chiaramente, dice Suzuki, visto attraverso uno sguardo moderno, il mondo di Shenmue ha dimensioni piuttosto ridotte, ma permette comunque di apprezzare un notevole senso di libertà, che spesso manca anche in open world contemporanei, paradossalmente costruiti in maniera più sequenziale. Su Shenmue III è al lavoro circa una ventina di tester (o, meglio, "testing resources") e, spiega il designer, è bellissimo vedere che tutti trovano modi diversi per fare le stesse cose. Il punto del suo gioco, insomma, «non sta nelle dimensioni o nella quantità di asset, ma nella libertà, nei percorsi e negli approcci possibili».
All'epoca, Suzuki si era costruito una carriera lavorando prevalentemente su simulazioni e giochi di guida. In Giappone, racconta, molti lo chiamavano "Quello delle simulazioni", e quindi la gente si aspettava che Shenmue avrebbe seguito quel tipo di approccio, sarebbe stato un gioco super realistico. «Ma io pensavo che sarebbe stato noioso.» Per questo, scelse un approccio diverso, componendo per esempio le ambientazioni in maniera mista, pescando elementi qua e là per cercare di restituire l’idea che la gente ha dei luoghi, che non corrisponde necessariamente a come siano nella realtà. Nel parlare di questo aspetto, mostra un'immagine tratta da Shenmue III che ritrae Baidu, una cittadina di provincia cinese, in cui però troviamo delle bancarelle tipicamente giapponesi e uno sfondo a base di edifici e montagne tipici di altri luoghi della Cina. Non ha quasi nulla a che vedere con come dovrebbe essere il posto, comunque basato su una cittadina reale, ma crea l'immaginario giusto e, guardando l'immagine, viene spontaneo pensare che si tratti della Cina.
Di contro, ci sono aspetti per i quali Suzuki vuole inseguire il maggior realismo possibile. Per esempio nella cura maniacale per le animazioni o nell'utilizzo di volti che siano credibili nel contesto, che funzionino per i personaggi riprodotti... che siano cinesi, insomma. E ancora, le musiche, sono tutte basate su strumenti tipicamente cinesi. Una nave mostrata sul palco, invece, non è una nave tipicamente cinese. Anzi, a dirla tutta, non è proprio una nave, è frutto della fantasia di un grafico al lavoro sul gioco. Ma insomma, un po’ di immaginazione ci vuole. E tal proposito, Suzuki sottolinea di avere un enorme rispetto per le specificità e le capacità del suo staff, che è poi il gruppo di persone che va effettivamente a sviluppare il gioco. Certo, Suzuki aveva un documento di game design da cui sono partiti, ma non si è fatto problemi a modificarlo e adattarlo per andare incontro alle abilità specifiche del team e girare attorno alle loro mancanze. In questo senso, ha fatto un esempio molto specifico: il suo staff al lavoro sull'aspetto visivo si divide fra chi è più bravo a creare personaggi realistici e chi, invece, ha uno stile più allegorico. Ha lasciato che entrambi lavorassero come sanno fare e poi ha provveduto a intervenire sui personaggi più "disneyani" per uniformare il taglio. Ha aggiunto spezie e condimenti, «come quelli di Ajinomoto» (una marca giapponese).
Un grosso rimpianto relativo ai primi due Shenmue è quello di non essere riuscito a creare un gioco realmente organico nell'amalgama dei suoi sistemi. Erano entrambi pieni di meccaniche, sistemi, situazioni non realmente connessi da un filo conduttore che desse senso al tutto. Questa cosa, spiega Suzuki, è riuscito finalmente a ottenerla in Shenmue III. Per precisare cosa intenda, parte da un esempio particolare. Nel corso dell'avventura, troveremo diversi luoghi in cui potremo darci al gioco d'azzardo, ma potremo vincere solo premi, non denaro. A portata, però, avremo sempre un banco dei pegni dove scambiare i premi con del denaro. Questa cosa, oltre a riprodurre la buffa moralità giapponese relativa al gioco d'azzardo, su cui scherza Suzuki stesso («vincere oggetti è considerato "good gambling", vincere soldi è considerato "bad gambling"»), crea una connessione fra due diversi sistemi di gioco. E tutto Shenmue III è percorso da una rete di connessioni che uniscono fra loro i vari sistemi, compreso il sistema centrale, quello di combattimento.
Al cuore di tutto ci sarà infatti uno Skill Book, nel quale potremo accumulare abilità, opzioni, funzionalità di vario tipo, sbloccabili esplorando i diversi sistemi che compongono l'avventura. Ogni azione in Shenmue III, quindi, poco importa se si tratti di gioco d'azzardo, raccolta di collezionabili, combattimenti, minigiochi o altro, andrà a ricollegarsi in una qualche misura a questo sistema centrale di sviluppo del personaggio. E Suzuki si dice assai soddisfatto del risultato, perché regala un bel ritmo al gioco e funziona molto bene nel complesso.
Ma il sistema di combattimento, si diceva, in un gioco come Shenmue è assolutamente centrale, e per questo Suzuki voleva approfondirlo da un lato, aggiungere opzioni e migliorare l'accessibilità dall'altro. Per farlo, si è ispirato alle sue radici di sviluppatore arcade, ricordando la presenza di selettori della difficoltà, che permettevano ai gestori delle sale giochi di decidere quanto rendere tosta l'esperienza ai propri clienti. Tipicamente, all'epoca, c'erano quattro selezioni, identificate con Easy, Normal, Hard e Hardest. In Shenmue 3, Suzuki ha optato per Easy, Recommended, Master e un’ultima selezione che, spiega l’interprete, si potrebbe tradurre con “Non farlo!”.
Il livello di difficoltà più basso, dice Suzuki, permette di pescare cinque skill e assegnare loro lo status di designate. A quel punto, è possibile farle scorrere attraverso un tasto dorsale e adoperarle premendone un altro. Questo permette di avere un sistema di controllo semplificato e adatto ai principianti. «Shenmue non ha mai avuto la pretesa di essere super severo e tosto come un Virtua Fighter. Per questo è importante inserire delle opzioni che favoriscano l’accessibilità e fare sì che anche per un bambino, o comunque una persona poco avvezza ai picchiaduro, sia possibile godersi il gioco.»
Infine, per concludere la parte di conversazione dedicata ai sistemi di gioco, Suzuki spende un po’ di parole sul ritorno dei dojo, che già nei precedenti episodi erano presenti e servivano per fare pratica. In Shenmue III, l’idea, ancora non definitiva al cento per cento e quindi passibile di modifiche, è di avere tre possibili attività: il giocatore può fare pratica con il “dummy” per migliorare la resistenza, lavorare con uno sparring partner per fare la punta alle skill, o affrontare dei veri e propri incontri in preparazione dei boss. La crescita di livello sarà leggibili attraverso una serie di artifici estetici, come per esempio le cinture di vari colori.
Ovviamente, in Shenmue III torneranno i minigiochi di stampo arcade, ma questa volta il focus è stato spostato dai videogiochi – che comunque in qualche misura saranno presenti – ai cabinati meccanici tradizionali, le macchine “analogiche” a base di meccanismi, martelli, cazzottoni e via dicendo, perché ritenuti più adeguati al contesto in cui si svolge l’avventura. E i minigiochi, fra gatcha e altro, permetteranno di sbloccare contenuti, anche in questo caso legati allo sviluppo del personaggio tramite Skill Book. Tornerà inoltre il carrello elevatore, con la sua apparizione sullo schermo gigante accompagnata da un applauso. Sarà – attenzione – perfino più lento che in Shenmue II ma anch’esso si collegherà al sistema centrale di skill e sarà legato a tutta una serie di funzioni su cui Suzuki non si è espresso a fondo.
Ma diciotto anni dopo, Suzuki ha tenuto conto del fatto che molti giocatori non conosceranno la serie? Sì, anzi, dice di aver faticato parecchio per provare a creare un gioco che risulti accessibile anche a chi non sa nulla dei primi due episodi. E all’inizio ci sarà un bel riassunto delle puntate precedenti, per fare il punto sulla trama, perché comunque, per quanto tu possa provare a renderlo comprensibile, è pur sempre un seguito, che porta avanti la storia. «Comunque c’è la riedizione pubblicata da Sega, potete anche comprare quella!»
L’intervento si è chiuso con Suzuki che ha sottolineato e ribadito il desiderio di creare qualcosa che soddisfi gli appassionati della serie. Lo stile di gioco, puntualizza, è cambiato, così come era cambiato fra il primo e il secondo capitolo, ma «penso che i fan apprezzeranno ciò che il team è riuscito a fare e credo che il feeling sia quello giusto, quello di Shenmue».