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Shin Megami Tensei: Devil Summoner - Soul Hackers. Strabordante come il titolo?

Ora che PS4 è in giro a rinsaldare il proprio marchio nel mondo, viene naturale ripensare all'era raggiante di PlayStation One (nessuna battuta, per favore): certamente una tra le più floride in ambito JRPG.  Dotato di uno dei titoli più lunghi nella storia dei videogiochi, Soul Hackers – così abbreviato d’ora in poi, in onor di sintesi – è ambientato in una città dai chiari connotati futuristici. Il modernismo che ne caratterizza la struttura politica, economica e sociale le ha consentito di ergersi tra le più avanzate metropoli del globo. Ad Anamy, questo il suo nome, esiste persino una sorta di realtà virtuale, un programma interattivo in forma embrionale chiamato Paradigm X. Si tratta di un bizzarro (e visionario!) social network, realizzato dall'immensa Argon Company. Per tener fede al destino scellerato di ogni hacker, il protagonista riesce a crackare l’intero sistema di Paradigm X, per accedere direttamente alla versione beta senza passare attraverso un ozioso e obbligatorio sorteggio. TAC: dentro senza permesso. Non manca, ovviamente, l’inevitabile protagonista femminile, un po’ I.A., un po’ amica-posseduta da un'entità cyber-elettronica. Avversari quantomeno bizzarri, si diceva.

La struttura narrativa di  Soul Hackers pesca nella fantascienza classica, per poi ammantare il tutto con quell'immancabile misticismo nipponico, esattamente come la saga di Shin Megami Tensei  ha sempre fatto. Ma ritorniamo per un momento ai tempi dorati di Sony e alla genesi del gioco. Oltre alle grandi software house, quelle più note che oggi sguazzano nel luogo comune e caracollano sulla spersonalizzazione nipponica, cresceva pian piano una piccola ma ambiziosa azienda: Atlus.

Non indaghiamo su cosa stiano facendo quelle due, ehm, nemiche.

Proprio in quel periodo, sbocciava uno tra i più popolari spin off di Shin Megami Tensei; dalla sua apocrifa costola avrebbe preso forma nientemeno che Persona. Un respiro profondo e un minuto di contemplazione... Rieccoci. Pur con ingeneroso ritardo, il successo arrivò in maniera dirompente, con tutti gli onori del caso. Gli ultimi due episodi di Persona spopolarono letteralmente su Playstation 2. E fu proprio allora, in quel periodo di nipponica saturazione, che Atlus pubblicò un altro JRPG, mai approdato sulle coste occidentali.

Era Shin Megami Tensei: Devil Summoner - Soul Hackers, appunto, ulteriore spin-off della serie madre. Se avete un leggero mal di testa non è colpa mia; nel dolermi, vi invito a rileggere le ultime dieci righe. E perciò, tornando a noi, dopo più di tre lustri - un’era geologica, in ambito videoludico - Atlus ripubblica su 3DS il sopracitato Soul Hackers, sperando di colpire ai fianchi l’utenza storica, da sempre in possesso di tutte le portatili Nintendo, e perché no, anche qualche ignaro verginello da “iniziare” alla scuola degi JRPG.

Noi di Outcast non facciamo certo sciocche battute sessiste: ammazza che pere.

Riguardo la giocabilità nuda e cruda, Soul Hackers non si vergogna affatto dei suoi natali, offrendo un approccio a metà tra il gioco di ruolo classico e un dungeon crawler in soggettiva. Quindi: fondali bidimensionali per le varie peregrinazioni investigative, labirinti poligonali, con scontri casuali annessi, per le sessioni ludiche all'interno degli hot spot. Oltre al solito party ben armato, saremo in grado di controllare, facendo il verso ai Pokemon, diverse entità demoniache, a patto di elargire abbastanza moneta “diabolica” (diversa da quella corrente nel gioco).

Questo obbliga il giocatore a oziosi andirivieni, visto che la preziosa pecunia viene assegnata col contagocce. Se ci aggiungete che i demoni sono soliti agire di propria iniziativa, con conseguente difficoltà nel gestire la loro bizzarra condotta, otterrete una cocktail a tratti sgradevole, ma che ha l’impagabile pregio di magnetizzare l’attenzione col suo sapore amarognolo. Rimanendo in tema, visto che i nostri cari famigli non hanno una progressione al pari dei protagonisti, è incentivato (anzi obbligatorio) cercare demoni sempre nuovi, per la gioia dei collezionisti più sfegatati. Encomiabile, quindi, l’equilibrio che si crea tra esplorazione, crescita dei personaggi e ricerca dei demoni, anche alla luce di una difficoltà mai leggera, sempre ostica e subdolamente puntuale, poco indulgente nel tener desta la nostra attenzione.

Il character design è intrigante e ben realizzato.

Passando alla realizzazione tecnica, le differenze con il gioco originale sono del tutto marginali. A parte l’adattamento sullo schermo portatile, che tende a migliorare la visione d’insieme “compattando” le immagini, pare che gli sviluppatori non abbiano toccato più di tanto il codice, presentando, soprattutto nelle fasi poligonali, strutture e texture decisamente spoglie. A salvare capra e cavoli, intervengono il grande fascino retrò della produzione e lo straordinario character design, due armi in grado di affrontare qualunque nemico.

Peccato per la mancata localizzazione, che allontanerà più di un acquirente. Pollice alzato, invece per l’ottima colonna sonora, perfettamente in linea col tono distopico dell’ambientazione. Il doppiaggio in inglese è buono, ma da integralista all’ultimo stadio, avrei preferito quello giapponese o addirittura un religioso silenzio. Questo, tuttavia, non è certo un difetto ascrivibile al gioco. Soul Hackers è un titolo di grana esemplare, un gioco figlio del suo tempo, ma proprio per questo pregno di carisma e fascino ludico. Paradossalmente, un’amara coltellata al cuore per gli appassionati, che, dopo anni gloriosi, assistono impotenti alla lenta agonia degli odierni JRPG.

Ho scaricato Shin Megami Tensei: Devil Summoner - Soul Hackers grazie a un codice fornitomi direttamente dal produttore. Ho completato il gioco in una cinquantina di ore, ma prendendomela molto comoda. Il gioco è gustosamente retrò nella sua difficoltà.

Voto: 8

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