Smoke and Sacrifice ha il titolo giusto, ma non è un bene
Smoke and Sacrifice è piombato nella mia vita, dal nulla, un pomeriggio di fine maggio, quando Giopep mi ha tentato in chat. Non ne conoscevo l’esistenza, ma un giro sull’infido Google mi ha convinto con qualche immagine, grazie a quella strana grafica isometrica dai toni colorati, ma dal tratto grottesco, e ai personaggi che sembrano dei toy bobblehead ciondolanti. La produzione di Curve Digital, e la promessa di unire un survival à la Don’t Starve a un titolo narrativo dai presupposti anche abbastanza intensi hanno fatto il resto, e ho accettato con entusiasmo di scrivere la mia prima recensione per Outcast. E niente, purtroppo è stato l’inizio di una storia triste.
Diciamo che, visto il publisher, il primo gioco che mi è venuto in mente è The Flame in the Flood di The Molasse Flood, un survival fatto e finito, la cui premessa narrativa, a dire il vero, fungeva più da contesto che da aspetto trainante. Ma via, un po’ il contesto post-apocalittico urbano, un po’ la meravigliosa colonna sonora, pur senza particolari pregi, il gioco degli ex BioShock mi ha lasciato un buon ricordo, immerso in una sequela di imprecazioni proprie del genere e di una certa casualità degli eventi, ma pazienza. Smoke and Sacrifice, del team londinese Solar Sail Games, prende molto sul serio la parte narrativa e ci catapulta in un mondo steampunk dalle premesse belle pesanti. Prendiamo infatti il controllo di Sachi, una giovane madre che, come tutte le altre donne del villaggio, è costretta a sacrificare il primogenito Lio al volere del Sun Tree, una sorta di albero con delle strane lampadine la cui luce tiene lontano il letale fumo che avvolge il mondo di gioco ogni notte. La scena iniziale, dunque, è un cazzotto nella pancia di quelli violenti, eppure, con la sua narrazione dialogica in tipico stile JRPG, c’è subito qualcosa che non quadra. Non è il setting affascinante, ma in verità poco approfondito, e neanche il solito, evidente, complotto mistico oscurantista alla base della vicenda, ma è una questione di empatia. Parlare di una madre che sacrifica il proprio figlio senza pathos è straniante, utilizzarlo come gelido pretesto per un viaggio di sopravvivenza è destabilizzante. Non ne voglio fare un fatto di delicatezza, di gusto o anche di moralità, ma alla forte presa di posizione iniziale non segue una narrazione a tono, e questo trasforma una mancanza di scrittura in un problema di ritmo e obiettivi per il giocatore. Il gancio per cominciare il viaggio, comunque, è chiaro ed è un raggio di speranza che vale la pena d'inseguire, ovvero che i ragazzini sacrificati al Sun Tree in realtà vengono teletrasportati in un pericoloso mondo sotterraneo abitato da strani macchinari, mostri e ogni genere di perigliosa amenità. Insomma, se il mondo di sopra è orribile e pericoloso, quello di sotto è peggio. Ma è pur sempre meglio di morire.
Ovviamente, Sachi è scaltra e sfrutta un momento di caos per fiondarsi alla ricerca del figlio, tra lo sgomento e la rabbia dei preti bacucchi, e da lì comincia il vero e proprio viaggio di sopravvivenza. Nel mio caso, 'sta cosa è capitata due volte, perché dopo una decina di ore, il mio PC ha deciso di andare in bomba totale grazie a un aggiornamento e ho dovuto formattare tutto, scoprendo amaramente che qualcosa in Steam Cloud non era andato a buon fine. Rigiocando una seconda volta al tutto, però, mi sono accorto di una cosa: nessun passaggio mi era rimasto particolarmente impresso e, tutto sommato, non mi stavo divertendo troppo. Questa mancanza di coinvolgimento, parzialmente figlia di quella mancata relazione emotiva tra me, Sachi, e il sottomondo di Smoke and Sacrifice, porta a una conseguenza tanto banale quanto inevitabile, ovvero che la frustrazione tipica del genere si sopporta poco. Per altro, rispetto a Don’t Starve e The Flame in the Flood, non ce n’è neanche troppa, a dire il vero, perché la natura narrativa del gioco intacca parzialmente quella più oltranzista dei survival. In Smoke and Sacrifice, infatti non è necessario provvedere ai bisogni fisiologici di Sachi e, in generale, la raccolta di risorse è quasi interamente dedicata al crafting di armi, armature e oggetti per la quest. La sopravvivenza insita nel gioco è principalmente relegata alla necessità di avere lanterne e oggetti resistenti al fumo per evitare di intossicarsi, oppure quella di fabbricare indumenti/armature/cose in grado di sostenere le condizioni estreme che incontriamo in giro per il mondo. Non ho ben capito perché tra due aree boschive o paludose, nell’underworld, ce ne possa essere una glaciale, ma vi avevo avvisato di quanto l’universo di Smoke and Sacrifice fosse un posto orribile dove vivere.
Dal punto di vista della struttura, nel connubio fra action RPG e survival c’è un’altra cosa che funziona poco, ed è il quest design, in gran parte legato a checklist gameplay e a una sequela di NPC in grado di rivelarci informazioni solo e soltanto dopo aver raccolto per loro settordici risorse. Che poi, se io stessi cercando mio figlio, probabilmente non starei lì a recuperare gelatine di mostro, ma nella vita abbiamo, credo, tollerato anche di peggio. Però, ecco, diciamo che l’integrazione tra narrazione e sistema di gioco non è esattamente originale, e il risultato è quello di uno strano ibrido, nel quale si passa tantissimo tempo ad andare dal punto A al punto B a fare cose senza un vero motivo. Non c’è mai, infatti, la sensazione di urgenza e la sopravvivenza è quasi sempre garantita. A volte si fanno scelte sbagliate, a volte si muore perché si è troppo avventati, ma l’abbondanza di save point, utili anche per craftare le “ricette” rare o gli oggetti più complessi, è una scorciatoia abbastanza cheap alla mancanza di un dispositivo di gameplay in grado di gestire davvero la frustrazione e la sfida. Poi, per carità, analizzati a pezzi, tutti gli elementi di Smoke & Sacrifice funzionano: il crafting è interessante, non particolarmente originale, ma dà modo di divertirsi parecchio a costruire armi e oggetti improbabili, e la necessità di studiare l’ambiente per prepararsi al meglio permette comunque uno sviluppo quantomeno ragionato dell’avventura. Anche il combattimento, per quanto ben lungi dalla complessità di quello di un ARPG che si rispetti, a tratti è un piacevole divertissement, perché seppur demandato soltanto a due tasti (attacco e schivata), è strettamente interconnesso alla necessità di aggiornare di continuo il proprio inventario, data la caducità estrema di ogni oggetto equipaggiato. Certo, a volte lo stile estremamente piatto delle illustrazioni e la visuale isometrica creano dei falsi giochi di prospettiva, che rendono difficile calcolare le distanze e la mira per uccidere i mostri volanti. Però, il fatto che complessivamente sia tutto sempre un bel vedere fa chiudere un occhio sui frangenti in cui lo stile grafico è poco funzionale. A corollario, il contraltare dello stile grafico pregevole è, però, una colonna sonora totalmente anonima, che magari a voi frega pure poco, però, considerando i tantissimi momenti di camminata ed esplorazione coatta, avere dei motivetti simpatici avrebbe dato più personalità alla produzione. E invece.
Complessivamente, dunque, il vero problema di Smoke & Sacrifice è che nel mischione di elementi più o meno validi fatti da Solar Sail non c’è niente che spicchi davvero. Anzi, l’unione di due generi stride abbastanza, a causa di una struttura un po’ banale, che trasforma tutto ben presto in una meccanica alternanza di esplora, raccogli, salva, gestisci, costruisci, uccidi. Venti ore così, una volta capito che per sopravvivere basta salvare, ripulire una zona e andare avanti, sono troppe, e neanche l’interessante design fantasy post-industriale può salvare un giocatore smaliziato dall’abbiocco. Poi, ecco, se cercate un light survival come introduzione al genere, o siete terribilmente affascinati dallo stile grafico, magari Sochi può anche essere una buona compagna di viaggio. Per me non è andata esattamente così, però vai a sapere.
Ho dedicato alla versione PC, grazie a un codice Steam ricevuto dallo sviluppatore, una ventina abbondante di ore della mia vita, portando a termine l’avventura e rovesciando il complotto dei preti bigotti, che è sempre bello. Tuttavia non so se lo rifarei. Mi dicono che la versione Switch è convertita con cura, quindi magari dateci un occhio. Smoke and Sacrifice è disponibile anche su PlayStation 4 e Xbox One.