Outcazzari

Sono innamorato di REVOLVER360 RE:ACTOR

Ma che fine ha fatto la filosofia arcade? Vedo sempre un sacco di gente tutta apparentemente felice quando vengono riesumati vecchi classici da sala giochi o videogiochi di stampo arcade in generale. Ad esempio, non troppo tempo fa è uscito Ikaruga su Steam. Tutti raggianti di gioia, ma quanti l'hanno comprato e, più specificatamente, in quanti ne hanno fruito per come richiesto a gran voce dal gioco stesso e dalla sua struttura?

Partiamo dalle basi: che cosa intendo per "filosofia arcade"? Quando, ai tempi, si andava in sala giochi, i videogiochi erano sì spesso estremamente difficili, anche "mangiagettoni" se così vogliamo chiamarli, però non c'era mai nulla di davvero impossibile: erano calibrati per avere la possibilità di essere comunque completati con un solo credito, tutto calcolato al millesimo fino all'ultimo pattern, e con esso anche il sistema di punteggio che ti portava a trovare nuove strategie costringendoti ad osare sempre di più. Sta tutto lì, studiato secondo il volere dei game designer: bisogna completare il gioco con un solo credito, cercando di ottenere il più alto punteggio possibile. E così continua ad essere per una certa categoria di sviluppatori giapponesi, è questo il loro modo di intendere questo tipo di videogioco. Ma quanti hanno ancora voglia (sempre se l'hanno mai avuta) di impuntarsi per giocare con un solo credito cercando di ottenere il miglior punteggio? Certo, ciò richiede una massiccia dose di memorizzazione per... cosa? Una competizione di livello estremo? Sono sicuro che in molti la penseranno così, ma a me è sempre piaciuto vedere questo modo di giocare sotto un altro aspetto, paragonando il perfezionamento e la realizzazione di una singola partita all'esecuzione di una recita, un balletto o una composizione musicale, come un'opera che fosse già ideata da qualcuno per essere performata dal giocatore-interprete.

Ma sì, un po' come quando si suona uno strumento: ci vuole un certo allenamento per imparare a dovere l'esecuzione di uno spartito, per farlo proprio e per riuscire a suonarlo con la dovuta interpretazione; di conseguenza, ci vuole una certa familiriatà con quel che si sta suonando o ascoltando per poterne cogliere a pieno tutte le sfaccettature, le intenzioni e l'espressività dell'autore.

https://www.youtube.com/watch?v=7njFZtCt4ek

REVOLVER360 RE:ACTOR – dal titolo interamente in caps, tutto da urlare – nasce con questo profondo spirito arcade, più precisamente attingendo dal sottogenere dei danmaku (o bullet hell o manic shooter che dir si voglia), seppur mantenendo una sua spiccata personalità. Fulcro delle meccaniche è la rotazione a trecentosessanta gradi dell'asse di gioco, tramite i grilletti del pad, da adoperare principalmente per poter evitare o allineare i nemici ed i loro proiettili. Idea originale che, come è giusto che sia, richiede una certa finezza nei movimenti per essere padroneggiata a dovere. Niente paura, comunque: REVOLVER360 RE:ACTOR è molto più semplice di quanto si possa pensare, quantomeno per il suo genere. La presenza di un'ampia barra dell'energia e la mancanza di veri e propri power up di sorta permettono un margine di errore parecchio ampio, e anzi, sin da praticamente subito, si ha la sensazione di star facendo un sacco di belle cose pur non conoscendo affatto il livello o i pattern che si stanno affrontando.

Ed è immensamente gratificante potersi permettere di improvvisare così tanto sin dai primi tentativi, senza necessariamente buttare al vento un'intera partita al minimo errore, continuando ad imparare di volta in volta e assimilando via via le profonde meccaniche quasi da puzzle game (come ormai da tradizione per i danmaku) che caratterizzano il gioco. In breve: un tasto per lo sparo “normale” e altri due per tre tipi di attacco che permettono di cancellare i proiettili e convertirli in cristalli volti ad aumentare i due moltiplicatori, uno temporaneo ed uno permanente da accumulare durante l'intera partita; per ottenere il maggior punteggio bisogna alternare con cura i diversi tipi di sparo, cercando di raccogliere più cristalli possibili e sacrificare il moltiplicatore temporaneo su determinati elementi dell'ambiente, nemici o, meglio ancora, file di nemici e proiettili, allineandoli tramite la rotazione dell'asse.

1) Una gif animata che mostra come funziona la rotazione dell'asse di gioco.

Inutile dire che il sistema di punteggio presenta un gran quantitativo di tattiche e sottigliezze, ma REVOLVER360 RE:ACTOR, con un po' di buona volontà, prende per mano il giocatore e lo conduce verso una progressione sfrenata delle proprie abilità. Oltre ad essere disponibili, dal menù, delle spiegazioni ben dettagliate sulle strategie da adoperare, è presente la modalità “challenge” consistente in 50 diverse sfide brevi con tanto di suggerimenti sul come risolverle, incentrate su ogni singola meccanica di gioco, dalle più banali alle più raffinate e caotiche, e sulle diverse situazioni che potrebbero crearsi. Ad un primo tentativo, moltissime potrebbero sembrare pura follia, ma alternando ad esse le altre modalità di gioco, i miglioramenti si fanno sentire eccome. Sta tutto nel comprendere sempre più la struttura, entrarci in simbiosi, sapere ciò che accadrà alla pressione di determinati tasti avendo la consapevolezza, fin dove umanamente possibile, di riuscire a controllare ciò che il gioco ci scatenerà contro e saper rispondere dovutamente al fuoco.

Ma la giocabilità straordinaria, che sa dire qualcosa di nuovo in un genere ormai parecchio stantio, così sofisticata eppure così accessibile, non è l'unico aspetto impeccabile di REVOLVER360 RE:ACTOR. Eagle966, unica mente dietro al progetto – eccetto che per le musiche ad opera di ZARIGANI – è infatti un'artista a trecentosessanta gradi e riesce a raggiungere vette di eccellenza e grande stile per ogni singolo aspetto del videogioco. L'ossessività quasi monocromatica per il blu non stanca mai, ma cattura il giocatore donando brutale immersione in un mondo che sa tutt'altro che di già visto, verso un'immaginario fatto di giganteschi ingranaggi sempre in movimento, organismi non identificati che si fondono con pianeti tanto vicini quanto lontani, tunnel integralmente impreziositi di circuiti costantemente pulsanti, creature meccaniche di ogni specie...

2) In alcuni punti i livelli si diramano in due o tre “Junction” differenti: a volte sono selezionabili tramite delle frecce che appaiono a schermo, altre volte sono “segrete” e per sbloccarle bisogna compiere alcune azioni. Bisogna solo scoprire quali e dove.

Uno scenario futuristico appassionante e coinvolgente, senza nemmeno bisogno di una singola linea di testo a spiegarne trama o ambientazione. Tutto così immenso, con una smisurata sensazione di infinito attorno al giocatore. Come nel secondo meraviglioso livello, in cui si fa irruzione nella città tra insegne giapponesi al neon e agglomerati di pseudo-palazzi collegati da una rete ferroviaria aerea, tutto sprofondante in un abisso blu che sembra rendere interminabile ogni elemento circondante, mentre la telecamera segue con fervente cura l'azione, ampliandone a dismisura la frenesia grazie a inquadrature di classe, mostrando la maestosità degli ambienti e proponendo toccanti scorci dell'ambientazione circostante.

Il gioco abitua così tanto a tutta questa euforia blu contrapposta al rosso dei nemici che, quando ci si ritrova tra le cremisi gallerie sotterranee del terzo livello, si viene assaliti da una ragguardevole sensazione di turbamento, e non dona di certo sollievo la loro struttura labirintica e claustrofobica, tra imponenti simil-granchi metallici e ventole d'areazione che bloccano il percorso accompagnate da inquietanti “CAUTION” lampeggianti.

La modalità a livelli singoli cambia un po' le regole del gioco: il moltiplicatore temporaneo, con l'attivazione dell'overdrive, può raggiungere i 99,99x (a differenza del limite a 16x della modalità “classica”) e quasi tutti i nemici rilasciano proiettili se vengono distrutti con lo sparo normale. Visto che per utilizzare il moltiplicatore su di essi c'è bisogno di abbatterli col laser, giocare in questo modo porta a pensare differenti strategie per scegliere, ad esempio, se in quel momento converrebbe prendere meno punti su di essi ma caricare il moltiplicatore cancellando i proiettili che rilasceranno (e con esso l'overdrive).

Ed è blu anche la musica, e diventa pure rossa, o almeno è quel che ti viene da credere per quanto riesce ad essere in sintonia con l'ambientazione, con gli stormi di nemici che ti si schiantano addosso, con il susseguirsi di ogni singola e mai ripetitiva fase di gioco. Sembra come se l'aspetto visivo e quello uditivo si siano ispirati a vicenda, a tal punto che ogni frammento musicale diventa come un leitmotiv per determinati nemici e situazioni, e con loro anche gli eccezionali effetti sonori generati per i laser, l'assimilazione dei cristalli, le esplosioni... è merito anche di un perfetto crescendo con cui sono strutturati i livelli, in ogni aspetto dell'intero gioco, nella loro continua amplificazione di adrenalina, sempre partendo da momenti quasi di calma e mutando in una frenesia che aumenta di secondo in secondo, fino all'arrivo dei mastodontici boss di fine livello, sui quali la musica diventa quasi rumorosa, fastidiosa, per poi essere sopraffatta dal liberatorio suono della loro deflagrazione, che va sfumando in qualche attimo di pacifico silenzio, prima dell'inizio di un nuovo livello. Un'energetica scarica di adrenalina che riesce, al termine di questa progressione di livello in livello, a trasformarsi persino in commozione, una volta terminata la battaglia finale.

REVOLVER360 RE:ACTOR si riallaccia allo spirito arcade più puro e lo fa con estrema consapevolezza ed autorialità, stabilendosi come un eccellente punto di partenza per chiunque abbia voglia di addentrarsi fra i bullet hell giapponesi (non senza un po' di buona volontà), ma anche per chi ama splendide e frenetiche esperienze audiovisive. Il gioco di Cross Eaglet, nonostante sia stato incredibilmente sviluppato da due sole persone, prova a imporsi come un gran bel pezzo di storia dello shoot'em up giapponese, ma son tempi duri per il genere, tanto più su PC e per giunta in digital delivery. Non è affatto un gioco per tutti, certo, ma sono convinto che tutti possano provarci. Anzi, dovete provarci. Ma, in generale, provateci con gli shoot'em up: prendete quello che vi piace di più, magari per il lato estetico, per le musiche, per la giocabilità o quel che volete, e iniziate a capirne le meccaniche, a studiarvele, ad analizzare i livelli, a guardare video di chi li ha già approfonditi a dovere... è per questo che giochi del genere vengono realizzati e, fidatevi, può essere arduo all'inizio, ma è un modo di giocare che riesce a ridare indietro tantissimo, più di quanto ci si possa immaginare.

I replay vengono salvati automaticamente e si può scegliere se caricarli nella classifica online o meno, sempre aggiornata e disponibile sia sul gioco che sul sito (http://crosseaglet.xii.jp/R360Reactor/internet_ranking_reactor.php). Per fortuna sono in pochissimi a decidere di non mostrarli. Ma tanto, per quanto potrò guardare e riguardare come giocano i giapponesi, non raggiungerò mai e poi mai le finezze e l'eleganza di certe azioni dei migliori, ma è comunque bello provarci.

Ho acquistato REVOLVER360 RE:ACTOR appena l'ho visto su Steam (specifico che l'acquisto del gioco comprende anche quello della colonna sonora), avendo già giocato la demo parecchi mesi prima ed avendo cercato di fare il possibile per acquistarne una copia direttamente dal Giappone, purtroppo senza riuscirci. Ho giocato sul mio PC con processore i5-3570 da 3,40GHz, 8GB di RAM e scheda video Radeon HD 7870, impostando tutto al massimo e giocando con totale fluidità. Ho utilizzato un pad per Xbox 360 e reputo un pad coi grilletti di questo tipo sia l'ideale per il gioco (nonostante gli shoot'em up siano convenzionalmente più pratici con arcade stick). Ho raggiunto le quaranta ore di gioco effettive classificandomi quarto nella modalità RE:ACTOR (quella “normale” in cui giocare tutti i livelli di fila), quarto nel primo livello, secondo nel secondo, e primo nel terzo. Ho finito tutte le challenge con un buon punteggio e collezionato 48 achievement su 50. Nonostante sia conscio di non poter raggiungere il primo in classifica nel secondo livello o non abbia più nulla da dimostrare nel terzo, continuo a giocarli con estremo piacere così come per il resto del gioco.

Voto: 10
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