La violenza (gratuita?) di State of Emergency | Racconti dall'ospizio
Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.
Quando si parla di videogiochi violenti, i più citati sono sempre gli stessi, con Grand Theft Auto a dominare la scena, ma forse in pochi ricordano un vecchio titolo pubblicato da Rockstar: State of Emergency.
Probabilmente, pochi se lo ricordano perché non si tratta di un capolavoro o di un campione di incassi ma, quando uscì, State of Emergency riuscì a far parlare di sé per la grande violenza messa in scena. Il gioco di VIS Entertainment è ambientato in un futuro prossimo, il 2035, nel quale l’American Trade Organization ha preso a mano armata il potere degli Stati Uniti e noi ci troviamo a vestire i panni di un membro della resistenza, chiamata “Freedom”, per mettere i bastoni tra le ruote a questa organizzazione. Le basi possono sembrare quelle di un comune film di fantapolitica/fantascienza/fantacattivoninelfuturo, ma sfortunatamente la trama non progredisce in alcun modo, neanche di un centimetro, e noi ci troviamo a fare soltanto una cosa, all’infinito: creare il caos. Il nostro obiettivo è infatti semplicemente quello di fare più danni ed eliminare più nemici possibile, seguendo delle semplici missioni che possiamo trovare all’interno della mappa di gioco. Non immaginate missioni di una grande complessità: sono formate da semplici obiettivi come uccidi questo, salva quello, fai casino qui e fai ancora più casino lì, tutto basato sul fatto che più uccisioni/danni si fanno, più aumentano il nostro punteggio e i relativi bonus.
Fino a qui tutto normale, le meccaniche sono viste e riviste nel mondo dei videogiochi, ma perché un “normale” gioco come State of Emergency ha fatto notizia? Perché alla fine è un gioco divertente in cui si controllano dei rivoluzionari che, a suon di bastonate e lanciarazzi, uccidono ogni poliziotto - o simile - intenzionato a interrompere la rivolta in atto, mentre centinaia di innocenti fuggono impauriti dal disastro che stiamo creando. In tutto ciò, la progressione della trama è praticamente inesistente, quindi alla fin fine ci si ritrova a massacrare persone per puro e semplice divertimento, senza un fine specifico, e questo, agli occhi di molte persone può non essere giustificabile. Di giochi in cui è presente della violenza un po’ fine a sé stessa ne abbiamo visti, anche molti, ma di incentrati sul “più forze dell’ordine si uccidono, più punti si fanno” onestamente, ne ricordo pochi e, sfortunatamente, una produzione del genere è il perfetto pane per i denti dei detrattori dei videogiochi-violenti-che-causano-le-stragi.
Non è un caso se in Italia, dopo una manifestazione a Roma che ha causato ingenti danni alla città, State of Emergency sia stato preso di mira in quanto gioco aizzatore di rivolte, nonostante fosse uscito nove anni prima di questo avvenimento. Ma alla fine, per essere additato come pericoloso e sobillatore, questo gioco è veramente così tanto violento? A prima vista sì, perché si tratta di violenza apparentemente fine a sé stessa, anche se inserita - poco - in un contesto di rivolta contro un grande potere oppressore, ma alla fine non così tanto, perché in realtà siamo pieni di giochi molto violenti che però, a prima vista, non lo sembrano. Un esempio? Quel gioco in cui un uomo belloccio, per recuperare l’antico vaso dell’amaro Montenegro, uccide centinaia, se non migliaia, di persone. In questo caso, però, la violenza non sembra fine a sé stessa, anzi, è inserita perfettamente all’interno di una trama avvincente, che la rende quasi giustificata, e così nessuno si rende conto che in ogni capitolo di Uncharted viene sterminato l’equivalente di quasi tutta Bergamo.
Il paragone con il gioco di Naughty Dog non è fra i più corretti, ma è per rendere l’idea che State of Emergency non è così violento come sembra. È soltanto un gioco divertente, con un buon gameplay e comunque un qualcosa di diverso dal solito, manchevole però in molti aspetti, tra cui la trama, cosa che fa apparire la violenza come l’unico messaggio trasmesso ai giovani. Fortunatamente, come è ben comprensibile per la maggior parte della popolazione, non è così, e una partita a State of Emergency, senza rischiare di scendere domani in piazza con un AK-47, me la rifaccio volentieri.
Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata a The Irishman e al crimine, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.