Tales of Arise e l'immensità...
Io ci credevo.
Dopo aver ritenuto Tales of Hearts una fra le più noiose monnezze mai giocate (detto con rispetto, eh?), Tales of Vesperia mi aveva preso bene e Tales of Berseria decisamente convinto.
Il primo, di cui interruppi l’avventura solo perché nel frattempo era uscita la riedizione ampliata (che poi mi è rimasta lì da giocare perché sono un po’ un farfallone, ma giuro che poi la riprendo), aveva messo sul piatto un protagonista tanto disincantato e pratico da buttare un antagonista che aveva “passato il segno” sotto una slavina di sabbia e poi guardarlo crepare (non esattamente una morte gradevole, dicono gli anatomo-patologi). Il secondo, pur non avendo il coraggio di andare fino in fondo, non solo aveva il coraggio di darci una protagonista principale donna (su, elencatemi i JRPG che lo fanno e vediamo se superano il 30%) ma ce l’aveva pure data criminale e terrorista (e, no, se mi dite “Ma anche Cloud, Barret e gli Avalanche lo erano” io vi dico: “No. Non stiamo parlando della stessa cosa.”).
Insomma, due episodi praticamente consecutivi in cui sembrava che la sceneggiatura avesse, se non il talento di innovare, almeno la professionalità di mettere in relazione “causa” ed “effetto” o, detta in altro modo, “azioni” e “conseguenze”.
Io, a questo punto, ci credevo.
#einvece
Io, no, davvero: qui sopra normalmente ci sarebbe dovuto essere il trailer del videogame oppure un FMV con le scene migliori del videogioco montate su un pezzo carico di FOMENTO.
Ma il videogioco non ha “scene migliori”.
Tales of Arise non ha scene che si stampino nella retina del videogiocatore, non ha eventi che si innestino nella memoria del videogiocatore, non ha personaggi che si facciano strada nel cuore del videogiocatore, non ha manco una colonna sonora che si faccia canticchiare. Non ha simpatia, non ha convenienza, non ha cortesia e, vi prego, non fatemi parlare di quanto è difficile parcheggiare!
Si potrebbe pensare che io sia troppo severo ma, davvero, voi quanto a lungo potreste reggere uno schiavo che ha come ricordi solo l’ultimo anno passato, letteralmente, all’inferno ma, nonostante tutto, si esprime come un incrocio tra San Francesco e Abramo Lincoln?
Quanto trovereste credibile che detto schiavo ed una tsundere appartenente ad una etnia con TRECENTO ANNI di propaganda suprematista alle spalle vadano immediatamente d’amore e d’accordo con solo qualche screzio originato dal fatto che lui è troppo San Francesco e lei troppo tsundere? Vogliamo parlare di altri personaggi, tra NPC del team e semplici comparse che, dopo TRECENTO ANNI di sottomissione armata ad un conquistatore che non ha mai allentato la presa perché alimenta il suo potere spremendo, letteralmente, la vita dai conquistati, avendo sotto le mani una appartenente alla razza dominatrice si limitano a rivolgergli qualche occhiataccia? Davvero?! Dahna (il pianeta dove si ambienta il gioco) deve essere la versione king size dell’isola di Mediterraneo, evidentemente.
Vogliamo parlare di un ragazzotto che prima è scappato dal padre idealista, un decennio dopo lo ha venduto alle guardie, il secondo dopo è andato in depressione, ha trovato gli amici di papà che invece di sputargli gli hanno porto la mano, insieme sono andati a liberare papà, ma papà EMMORTO!
Eh, vabbeh, pazienza: un urlo disperato e la vita continua, con nuovi amici, nuove avventure e l’obiettivo di rendere papà fiero… ah, già, ma EMMORTO!
Ah, vogliamo aggiungere che quando il gioco introduce personaggi destinati a rivelarsi antagonisti sotto copertura, la sottigliezza con cui lo fa è tale che basta guardare come sono disegnati per capire che ce la infileranno in quel posto?
“Non sono cattivo, è che mi disegnano così!”
Le prime tre ambientazioni sembrano prese dal manuale “Mondi RPG per DM pigri”, abbiamo la Terra del Fuoco, La Terra dell’Oscurità e La Terra della Natura e, ovviamente la terra del fuoco è una landa inospitale e selvaggia dove le persone muoiono come mosche sotto lo sguardo di schiavisti in armatura completa evidentemente dotata di aria condizionata; la terra dell’oscurità è una landa gelida ed innevata che assomiglia alla Russia comunista come descritta da film di spionaggio degli anni Sessanta e la terra della natura è invece un paradiso retto da un egemone illuminato in cui scorrono fiumi di latte e miele. Manco il brivido di mettere, che so, l’egemone illuminato nella landa ghiacciata facendolo scontrare con una natura stuprata dalla hubris della sua stirpe. Oppure far circolare gli squadroni della Stasi in mezzo a campagne rigogliose e panorami cittadini mediorientali acuendo il contrasto tra prodigalità dell’ambiente e miseria umana.
E, per carità, sono il primo a dire che persino la più banale ambientazione ed il più monodimensionale personaggio possono essere le pietre angolari con le giuste condizioni, ma qui le condizioni sono talmente sbagliate che i primi tre boss sono “generico buzzurro A”, “generico spilungone infido A” e “nemico che facciamo diventare amico a mazzate”. Indovinate un po’ di chi abbiamo due righe sprecate di backstory (in uno dei flashback più pigri che io abbia mai visto).
Io non voglio continuare… anche perché non ho continuato molto oltre questo punto: ottenuti gli ultimi due personaggi della posse ho realizzato che l’immensità del ca… che mi fregava di tutto il gruppetto aveva tracimato e che stavo platinando le missioni secondarie invece di andare avanti con la storia.
Volendo salvare qualcosa del gioco, posso dire che si tratta del primo Tales of in cui nonostante il sistema di combattimento mi continui a sembrare concepito da dei sadici confusi, per lo meno sono stati fatti molti sforzi per rendere al giocatore chiaro che cosa sta accadendo: nei limiti di quanto possa essere “chiaro” controllare un personaggio su quattro in un’arena circolare in cui non è infrequente trovarsi al polo opposto rispetto al resto della squadra.
Le “super”, solitarie o in collaborazione, sono poi adeguatamente coreografiche e spettacolari ma, onestamente, nulla che un rullakartoni di ultima generazione non abbia fatto vedere più e meglio.
L’unica altra cosa che potrebbe salvare il gioco è sarebbe l’ammissione di Bandai di essersi comprata degli early access a ChatGPT e NovelAI ed aver passato mesi ad istruire la prima con le trame di innumerevoli JRPG di seconda fascia ed imbottire la seconda di ritratti di personaggi fantasy presi in stock da Pixiv.
Non perdonerei comunque il fatto di non aver utilizzato Mutsumi Inomata per il character design, regalandoci i personaggi più banali e privi di carisma mai disegnati per un Tales of, ma almeno apprezzerei l’investimento in tecnologia.