Notizia clamorosa: La serie tv di The Witcher ispirata ai romanzi è... ispirata ai romanzi!
Ore 23.15 circa.
Panel di Netflix.
Comicon di San Diego.
Eccitato come una scolaretta.
Dieci minuti dopo, dopo tre o quattro rewatch del trailer, posso dire che quello che ho visto mi è veramente piaciuto, almeno quanto collezionare i forconi in The Witcher 3: Wild Hunt. Ecco, stavolta i forconi li lascio a Blaviken e ai detrattori di questa serie, che partono insospettabilmente in anticipo. Di seguito, quindi, un primo giro d’impressioni, come si dice, a caldo.
Chiaramente, si tratta di un trailer ed è piuttosto difficile parlare correttamente di fotografia, di montaggio e anche di regia, onestamente. Si sono viste certamente panoramiche d'effetto, merito delle meravigliose location scelte per la serie, perdute tra la Polonia e le Canarie, orridi e meravigliosi mostri, curati da Platidge Image Studio (The Witcher 2: Assassins of Kings, Avengers: Endgame, e anche una certa cura nella fotografia e nell'utilizzo del colore.
Siamo anche nel 2019, dopotutto, e non credo che avrebbero presentato qualcosa alla Hercules, anche se personalmente adoro la serie di Sam Raimi. Eppure era il timore di tanti, a quanto ho letto in giro, e anche il metro di paragone. Io avevo capito da tempo che sarebbe stata curata. E non ero il solo a pensarlo.
In ogni caso, non perdiamoci oltre, che di cose da dire ce ne sono parecchie.
Ho notato in questo teaser moltissimi riferimenti accorti ai libri, ovviamente.
Non mi ha stupito molto, che una serie dichiaratamente tratta e adattata dalle prime due antologie di racconti abbia appunto riferimenti piuttosto espliciti, guardacaso, ai libri in questione. Mi avrebbe stupito il contrario, semmai.
Se avesse avuto cose diverse e ben più esagerate, ad esempio un fil rouge più marcato con i videogiochi, un Geralt che cerca di colpire al collo un Arcigrifone, mentre lo cavalca in volo, per esempio. Ecco. Quel genere di cose che fanno colare a picco un trailer. A molti sarebbe sicuramente piaciuto, forse, a me no, almeno non troppo, anche perché considero molto valido il materiale di partenza, non c’è bisogno di snaturarlo troppo.
Da Balviken alla Battaglia di Colle Sodden, il Massacro di Cintra, la Torre dei Gabbiani, Adda la Strige, Il deserto del Korath, le driadi di Brokilon, Il banchetto sull’isola di Thanedd, una splendida Tissaia De Vries che tenta di irretire una giovane Maga Yennefer, che anela il potere magico. Poi Ciri. Vabbè quella ragazzina è praticamente Ciri. Cavill riempie la scena, anche come presenza in camera: è veramente grosso. Scena finale da urlo, con i mutageni che gli scorrazzano liberamente in corpo e trasformano Geralt in una versione più dark del principe elfico Nuad di Hellboy: The Golden Army.
Effettivamente, farebbe paura affrontare un coso simile, anche da mostro.
Il mostro che emerge a fine trailer è una kikimora? Probabile, il racconto con Renfri è stato inserito nella sinossi della serie, dopotutto. Troppe domande senza risposta, per adesso.
Mi piace molto. Globalmente, e per quello che ho visto, sembra un fedele e attento adattamento; tutto il resto, da Dandelion/Ranuncolo ai richiestissimi nani, dovrà solo confermare quello che anticipatamente già penso ma che ancora non si è visto.
Durante la visone, ero stranamente rilassato, specialmente dopo aver seguito piuttosto bene tutti gli aggiornamenti ufficiali della produzione e aver partecipato a veramente tante attività social collaterali, per lo più su Twitter. In ogni caso, dopo aver visto le immagini promozionali ufficiali pubblicate nelle scorse settimane e averci fatto anche un video ad hoc per The Witcher Netflix Italia, e solo just for hype, non avevo molti dubbi residuali sulla qualità dell’ambizioso show che Netflix si apprestava a finanziare e portare sulla sua piattaforma a fine 2019. Come volevasi dimostrare, non ci siamo andati molto lontano. La qualità c’è e si vede e questo trailer suggerisce coraggiosamente che sembra possibile fare un adattamento senza per forza di cose prendere a modello i videogiochi della saga di The Witcher.
Gioia e condanna dell’intero universo. Accolto fin da subito con una crescente perplessità di fondo e da un’agguerrita fanbase ma anche molta curiosità, il trailer ha infine fatto capolino e, sorpresa delle sorprese, ha perlopiù convinto una buona fetta di spettatori, che si erano espressi con scetticismo fin da subito, conoscendo solo il materiale dei videogiochi e ritenendolo essenziale per la riuscita di uno show ambizioso come questo.
Certamente c’è e sussiste tutt’ora una domanda che aleggia nell’aria o nel fondo del barile, che dir si voglia. Quest’ultimo termine lo preferisco di gran lunga, più rustico e polacco. Riuscirà dunque l’ambizioso The Witcher di Netflix a prendere il posto nei cuori di cervi spinati e fiammeggianti degli spettatori di Games of Thrones?
Trono lasciato momentaneamente vacante, nella cultura di massa dei masticatori di serie televisive fantasy e non solo? Ci vorrà del tempo ed è difficile da dirsi, ora come ora.
Non è certamente Le Cronache di Shannara. Quello è sicuro.
Per certi versi, The Witcher, pur avendo intrighi politici, spietati regnanti, epiche battaglie, mostri e voluttuose maghe arrampicatrici sociali, il che spesso equivale ad avere entrambi, è piuttosto distante dal materiale di zio George, meno corale, più intimo. Si focalizza sul protagonista e sull’ampio spettro morale delle sue avventure, mettendolo in stretta giustapposizione con esse. Ci sono meno co-protagonisti, in sostanza, e meno giochi di troni sullo sfondo. È più racconto tradizionale, con tanto di protagonista e comprimari, anche se ognuno è speciale a modo suo. Se riuscite a scorgere da soli un grande errore di fondo in chi cerca gli incastri di GOT in The Witcher, vi offro un giro di birra di Citra, perché è quello che esattamente penso. I libri dell’autore polacco sono infatti piuttosto distanti dai libri di zio Martin.
Certamente, vi sono intrighi politici, e dopotutto siamo pur sempre nel medioevo in chiave dark-fantasy o grimdark: anche qui vedrete compiere tutti i soprusi possibili ed immaginabili per conquistare il potere, ma again, è diverso quello che ci attende in autunno. Tematica simile, regole d’ingaggio diverse.
The Witcher è una storia intima, che si concentra su alcuni personaggi chiave della vicenda, che impari a conoscere ed amare fin da subito, oppure detestare con indomita forza. Non ha momenti alla Eddard Stark, che potrebbe essere definito il vero e proprio manifesto politico di GOT.
È una storia sull'amore e sulla famiglia, moralmente ambigua, con qualche inaspettata svolta di sensibilità tipicamente europea: a volte non possiamo scegliere tra decisioni giuste o sbagliate, possiamo solo scegliere il male minore. Alcuni la definiscono una fiaba dalle tinte oscure, il che per certi versi è vero. Riconoscerete sicuramente alcune tra le più famose e apprezzate favole di tutti i tempi, nella serie TV, seppur rivisitate in chiave oscura. Geralt, dopotutto, era un ciabattino che voleva sposare una principessa, prima di diventare un ammazzamostri hardcore. La sua figura non sta cercando di salvare il mondo, non è l’erede di una potente e ricca famiglia, non ha fratelli o sorelle, tranne quelli a Kaer Morhen, l’impenetrabile fortezza roccaforte che addestra witcher che, come lui, hanno scelto quell’ingrata professione. Più che aver scelto, sono stati costretti. Non sono eroi della patria, non si sacrificano per il bene comune, non uccidono mostri per salvare gli innocenti, non difendono i deboli, anche se ognuno di loro ha un personale codice morale. Molti di loro lo fanno per l’oro. Per sopravvivere. È interessante quando nel teaser una Triss sottotono chiede a Geralt:
«Mostri e denaro… »
«Così deve essere»
C’è anche una certa vena di pragmatismo polacco post caduta muro di Berlino, nei romanzi di Andrezj Sapkowski (AndreGI Sapkow-ski se volete imparare a pronunciare correttamente il nome). Il witcher, alla fin fine, è un uomo che cerca di dare un senso alla sua vita, con un lavoro. Inquadrarsi socialmente con una professione. Smettere di essere un diverso, un mutante, un indesiderato. L’accettazione degli altri passa anche e sopratutto tramite un lavoro e lo rende uomo degno di far parte di una comunità. Con le carte in regola per far parte del mondo discriminatorio e spietato della razza umana, che non tarda a sputargli addosso in molte occasioni ma che ha sempre e comunque bisogno dei suoi servigi ed è lesto a riempirgli la saccoccia con tanti oren o corone temeriane. Certamente non sarebbe una storia degna di essere raccontata, se si rivelasse solo un indiscriminato ammazzamento di mostri per otto puntate, c’è molto da grattare sulla superficie di un racconto apparentemente molto banale, quello dell’ammazza-mostri è fòla nota, specialmente se siete videogiocatori navigati, eppure, sotto la crosta, c’è un’opera d’arte di sentimenti che vale la pena di conoscere.
Potremmo proseguire nella comparazione con le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco con un’altra osservazione generalista. Nel mare magnum della creazione di George Martin, il destino del mondo è in bilico tra profezia e predestinazione, un mondo oscuro e tremebondo in cui le decisioni sono prese dai governanti degli uomini (e non solo). I personaggi stanno intenzionalmente cambiando il paesaggio dinnanzi a loro, con guerre, alleanze, intrighi, efferati omicidi. Il mondo muta dinanzi a loro, a nessuno frega del popolo, se stai sugli spalti di un castello, con il colliere di pellicciotta nera che sfrigola al vento del Nord. A parole ti interessa del popolo. Geralt, invece, è un viandante maledetto in mezzo a noi, un viaggiatore perlopiù squattrinato, sporco di fango e pioggia pesante, disprezzato e odiato dagli uomini normali, che lo temono ma cionondimeno sfruttano i suoi servigi e talenti di uccisore. Studiato dalla maghe e dai maghi, come se fosse un animale in cattività o da tenere segregato in una gabbia dorata, un essere ambiguo da ammirare e temere all’unisono. Per gli aldermanni o i balivi dei villaggi, che punteggiano il mondo oscuro di Sapkowski, è solo qualcuno che può trarli d’impaccio, rischiando la sua vita in prima persona per risolvere il problema della figlia del mugnaio, scomparsa da una settimana. E il tutto senza mai allontanarsi da quanto orribile la natura umana possa essere, quando si scopre che c’è di mezzo un gruppo di uomini, e non di schifosi mostri. È anche su questa scelta che l’autore e scrittore polacco ha dipinto con maestria uno dei personaggi più interessanti, versatili ed umani, pur essendo un mutante, dell’intera narrativa fantasy contemporanea. Ed è su questa idea che questa serie farà probabilmente centro.
Non rimpiazzare GOT, quindi, semmai, raccontare qualcosa di completamente diverso.