Matt Smith sullo sviluppo di Vane
Uscito lo scorso gennaio in esclusiva PlayStation 4, non si può dire che Vane abbia riscosso un grande successo di critica, in parte per la sua vocazione intrinsecamente divisiva, ma soprattutto per tutta una serie di bug, problemi e controversie a livello tecnico che hanno finito per renderne la fruizione particolarmente problematica. Pure qui nel nostro piccolo, su Outcast, c’è stata una frattura di opinioni. Diversamente dal mio giudizio, tutto sommato conciliante, Vitoiuvara ha definito Vane “Un pasticcio senza direzione, travestito ad arte da velato messaggio raffinato”.
Sicuramente, l’esito del gioco ne tradisce il complicato ciclo di sviluppo. Ciò nonostante, come ho ribadito pure in questa chiacchierata con Luigi Marrone, Vane continua a sembrarmi un progetto affascinante, meno derivativo di quanto possa sembrare ma, più di tutto, un’opera con qualcosa da dire. In concomitanza con la pubblicazione su PC, prevista per oggi, abbiamo avuto la possibilità di lanciare qualche domanda a Matt Smith, co-fondatore di Friend & Foe e producer di Vane. Mi pare sia saltata fuori un’intervista interessante che, vai a sapere, potrebbe pure farvi venir voglia di dare (o ridare) un chance al gioco.
Buona lettura.
Ho letto Vane come un racconto di morte e rinascita, di cicli che si ripetono o che vengono spezzati. Il tempo, in generale, mi è parso un tema centrale nel gioco. Quando avete elaborato il concept, cosa è venuto prima: la meccanica/rito, oppure la narrazione/mito?
Nella nostra idea, Vane è sempre stato un gioco su un mondo e sulla sua storia, piuttosto che la tipica narrazione costruita attorno ai personaggi. Quindi, è giusto dire che ambiente e racconto sono venuti prima di tutto quanto il resto.
Abbiamo scelto di immergere il giocatore in un contesto anomalo, di metterlo poco per volta davanti ai significati di questo contesto, alle dinamiche e ai cambiamenti. E abbiamo voluto farlo in maniera molto diretta e non verbale, permettendogli di evincere dall’ambiente gli eventi drammatici che avvolgono i pochi personaggi che vi abitano.
In sede di sviluppo, sapevamo di essere davanti a un obiettivo ambizioso, che avrebbe rischiato di rendere il gioco troppo ostico per alcune persone. Ma siamo anche convinti che ci sia qualcosa di magico nel lasciare spazio all’immaginazione di chi gioca, ed era lì che ci premeva arrivare. Abbiamo cercato di integrare la narrazione con le meccaniche, adoperando il cataclisma centrale come una specie di MacGuffin e gestendolo come radice dei cambiamenti sia per il mondo, che per il giocatore.
Il folclore che avvolge il mondo di Vane mi ha ricordato quello degli indiani del Nord America; la maschera, in particolare, assomiglia moltissimo a quella degli Heyoka. A quali riferimenti avete attinto?
Durante lo sviluppo, in termini di referenze, abbiamo studiato di tutto: dai vecchi fumetti classici pubblicati dalla rivista Heavy Metal, come ad esempio quelli firmati da Moebius e Segrelles, alle illustrazioni e ai dipinti di Beksinski e Trignac, fino ai film di cineasti come Tim Burton e Terry Gilliam. Per il quadro generale, volevamo raggiungere quella particolare vibrazione tipica di certi romanzi per ragazzi dai toni oscuri. Panorami composti da sagome e sfumature, mescolati ad elementi riconoscibili e iconici, come un bambino e un uccello.
Per quanto la struttura di Vane segua un percorso classico di tesi, antitesi e sintesi, a livello di equilibrio c’è un grosso stacco soprattutto tra la parte iniziale in volo, accessibile e contemplativa, e quella “antropomorfa”, che mi ha letteralmente spiazzato anche in via della particolare logica richiesta dai puzzle. Questa particolare impostazione è affascinante, ma anche rischiosa: come ci siete arrivati?
Ci siamo dati l’obiettivo di rendere ciascuna parte del gioco diversa dalle altre, mantenendole comunque tutte legate al mistero elusivo della trama. Le variazioni sono state lo strumento per sorprendere il giocatore. Da un lato, penso che questo nostro sforzo sia stato ripagato, ma è anche vero che, con più tempo in fase produzione, avremmo probabilmente gestito meglio l’armonia generale.
Tutta la seconda parte tra le rovine è anche quella che ho trovato stilisticamente più originale e riuscita, con i suoi ambienti dinamici e tutti quegli gli effetti da “manipolazione del tempo”: come avete lavorato per raggiungere una dimensione così straniante?
Una buona parte del merito va alle musiche e all’impianto sonoro creati da Thomas Lilja e Christian Wellbo. Dal momento che tra i nostri obiettivi c’era quello di creare un’atmosfera ambigua, dettagli come deboli tracce di voci infantili mescolate allo stridìo degli uccelli, o certe note dissonanti sparse lungo l’ambiente, hanno fatto davvero gioco alla stranezza generale del contesto.
In effetti, le musiche di Vane sono affascinanti, ma a distanza di mesi dalla mia ultima run, ricordo soprattutto il sound design.
Abbiamo iniziato il lavoro sul sound design con un obiettivo molto ambizioso, ossia quello di realizzare tutti gli effetti utilizzando esclusivamente sintetizzatori analogici vintage. Dopo un anno, tuttavia, ci siamo resi conto che si trattava di una pessima idea, in relazione ai di tempi di produzione e alla flessibilità generale del lavoro. Ciò nonostante, tutti i suoni che si sentono in Vane provengono in qualche modo da quel primo progetto; credo che sarebbe stato impossibile raggiungere la loro particolare trama ultraterrena utilizzando solo effetti campionati.
Vane chiede al giocatore di riempire parecchi spazi, sia a livello di racconto che di logiche di gioco: con quale forma mentis avete costruito certe situazioni e qual è, secondo voi, l’approccio ideale per leggerle e scioglierle?
Al netto del risultato finale, che può sembrare semplice, in fase di sviluppo il nostro obiettivo è sempre stato quello di permettere al giocatore di esplorare liberamente il mondo di Vane, di scoprire i punti di interazione in maniera naturale e metterci sopra le mani per verificarne gli effetti.
Desideriamo che chi sperimenta li gioco si senta libero di trarre le proprie conclusioni su ciascun pezzo del puzzle; di capire come questi si possano inserire nella narrazione generale. Non ci interessa prendere l’utente per mano sottoponendogli dinamiche troppo familiari.
Lo sviluppo di Vane è stato contestualmente lungo: quale parte del percorso ti è sembrata più complicata e quale hai trovato più eccitante?
Tra le tante sfide, quella che ho trovato più complicata è stata unire tutte le ambizioni che avevamo riguardo al mondo e alla narrazione di Vane con le meccaniche.
E stato emozionante lavorare su strumenti ed escamotage visivi che non avevamo mai adoperato - né visto - prima, così come sviluppare quel particolare sound design e tutta l’atmosfera.
Quanto è diverso, sia nel bene che nel male, il gioco che avete consegnato al pubblico rispetto a quello che avevate in mente all’inizio?
Senz’altro, in corso di sviluppo abbiamo dovuto accettare dei compromessi e, in generale, col senno di poi, credo che abbiamo puntato decisamente troppo in alto per un team delle nostre dimensioni. Ma siamo felici del risultato, così bizzarro e diverso da tutto quello che c’è la fuori, e spero che alla fine Vane abbia la possibilità di sorprendere e appagare tutti quei giocatori un po’ intrepidi, che cercano esperienze fuori dai soliti binari.
Per quanto riguarda, nello specifico, l’atmosfera, le tematiche, lo stile e il sound design, direi che il gioco ha raggiunto le nostre aspettative.
Vane ha raccolto critiche contrastanti, anche in via di diversi problemi presenti al lancio: come avete affrontato lo sbarco su PC?
Quel po’ di tempo extra in vista della versione PC ci ha permesso di migliorare alcuni elementi di Vane, come ad esempio il sistema di checkpoint. Anche i problemi tecnici sono un ricordo del passato, e ora, con un livello di dettaglio e una risoluzione più alta, il nostro gioco è pronto a brillare.