Ma quale Fantaghirò Dark! The Witcher è La Spada del Destino!
Mi sembrava lecito iniziare con una bard’s song veramente degna di menzione (Mina Arabella di Vicovaro) e dedicarla di cuore e di tutto punto, alle decine di portali, portalini e portaloni che sul suolo italico si occupano di entertainment e serie TV, che non solo si sono lanciati ai più assurdi ed improvvidi paragoni che si potessero snocciolare per illustrare correttamente la nuova serie di Netflix agli spettatori, ma hanno anche inavvertitamente consigliato l’ordine di lettura sbagliato dei libri.
Un fallimento, a mio dire, davvero spettacolare.
Del resto, The Witcher rifugge da ogni facile classificazione e, per parlare delle serie TV, è consigliabile leggerli, i libri. Non sulla Wikipedia, se possibile.
Ora che ho la vostra attenzione, griffata con la mia nota simpatia, lesti andiamo.
La storia della serie TV, adattata per il piccolo schermo da Lauren Schmidt Hissrich, è ricca di sfaccettature interessanti, non è tutto oro quello che luccica e c’è tanto da sistemare. È realmente infelice approfondirla nel dettaglio, poiché oltre che entrare pericolosamente in zona spoiler, cosa che voglio accuratamente evitare, riduce sensibilmente la bellezza di queste otto puntate. La serie contempla tre diverse linee narrative, che formano, mano a mano che procede il racconto, un complesso mosaico sceneggiativo, che va a riunire i tre protagonisti delle vicende. Geralt di Rivia è un mutante ammazzamostri, un girovago, in perenne caccia di oro e creature mostruose; Yennefer di Vengerberg è una potente maga, in cerca di qualcosa di più; Cirilla Fiona Elen Riannon è una principessa che ha un dono, o lei stessa è un dono.
Il filo conduttore dell’intera serie TV è il destino assieme ai complessi meccanismi che regolano la ciclica ruota. Non vi ruberò ulteriore tempo parlandovi dei romanzi di Sapkowski, che ispirarono la famosa ed acclamata quadrilogia, non canonica, di videogiochi polacchi firmati CDPR (molti dimenticanoThe Witcher Tales: Thronebreaker)
Su Outcast noi non perdiamo tempo e non seminiamo!
Tutti conoscono i CDPR e la saga videoludica di The Witcher: a meno che siate stati confinati su Marte, sicuramente ne avrete sentito parlare. Nonostante sia vecchia come il cucco, la serie dei videogiochi polacchi è in pratica il Quarto potere degli action-RPG. Ad ogni modo, invece di rovesciarvi addosso informazioni che potete facilmente googlare, proverò a portarvi a leggere ed interpretare correttamente questa nuova serie dark (?) fantasy di Netflix, al meglio delle mie scarse possibilità. Vedetelo come un accorato suggerimento alla visione.
Quando si vuole costruire una critica sensata a una serie TV, specialmente attesa come questa, ci si trova sempre in una situazione alquanto spinosa, nell’esatto cuneo, per così dire, tra inevitabili, agguerriti detrattori ed entusiasti spettatori disposti a tutto, anche cucirsi gli occhi e foderarsi le orecchie pur di elevare lo show. In futuro, ne sono certo, questo articolo mi tornerà indietro peggio di un boomerang di Mad Max, ma ne sono consapevole.
Ma non perdiamoci oltre, o Lord Maderna potrebbe mettere la mia testa su un picca, pensando che io faccia e mi prodighi in orride recensioni; orride bestie schifose che vivono in caverne assai poco illuminate, conosciute da tutti i popolani per tradizione, mai per quello che mangiano.
Fuori dai denti, un lato di me è stato degnamente intrattenuto, pur con tutti i limiti del contesto, anzi i limiti del possibile. Un altro lato di me è invece quantomeno perplesso.
The Witcher è la prima stagione di una serie TV molto intrippante, che probabilmente seguirei anche se già non sapessi ~ vita morte et miraculo ~ del Lupo Bianco, e anche il suo degno epilogo, che avverrà tra tante stagioni, o almeno speriamo avvenga, si sa mai con Netflix.
Intendiamoci, cari masticatori di serie TV, The Witcher NON è una serie high budget come Carnival Row. Al di fuori dei gusti, sempre siano benedetti e canonizzati come è giusto che sia, l’ambizioso show di Amazon Prime Video è sommariamente superiore al piccolo, grande, dark fantasy di Netflix su decine di aspetti tecnici, scenografici, e anche di meri VFX. Non si tratta nemmeno di Watchmen o The Boys, come scrittura. Due serie TV sceneggiate magnificamente, la prima veramente impressionante. Perché, quindi, fare paragoni? Oh beh.
Proprio perché The Witcher è piuttosto difficile da inquadrare. Non assomiglia veramente a nulla che sia passato di recente o meno sulle piattaforme streaming e proprio per questo è specie rara. Il piccolo grande cuore della serie di Netflix batte forte, forse leggermente asincrono, ma batte. La si potrebbe definire una serie televisiva high-dark fantasy, ma sarebbe sbagliato. Si potrebbero enunciarne i mirabili picchi grim-dark fantasy e sarebbe ugualmente sbagliato. Heroic Fantasy, forse? Sbagliato ancora.
È difficile catalogare esattamente la serie di The Sean Daniel Company, perché gli stessi racconti e gli stessi romanzi di Sapkowski escono da facili classificazioni di sorta.
Alcune puntate sono autentiche fiabe, alcuni dialoghi richiamano uno stile narrativo molto moderno, i combattimenti sono da paura, curati da Vladimir Furdik, aka il Night King che non ha mai potuto combattere Jon Snow, solo alzare le mani e ressare minions grazie a David & David. È veramente complesso identificare correttamente questa serie TV. Forse andrebbe aperta.
Prendete con le molle questo azzardato paragone ma ho trovato alcuni aspetti vicini alla serie TV di AMC Into The Badlands, con Daniel Wu. Questa coordinata serve unicamente per suggerirvi che uno show con un budget da settanta milioni di dollari come The Witcher resta uno show (molto più che semplicemente dignitoso) da settanta milioni di dollari, non puoi aspettarti puntate da 50ml.
Non può offrire visivamente qualcosa che ne costa il doppio o il triplo. Fin qui penso sia piuttosto limpido, il paragone. La sceneggiatura, invece, ed i dialoghi conseguenti - “poiché le parole non costano” (cit King), è tutto un altro discorso. È dall'altro lato, infatti, che sorgono problemi, dal versante lettori e, secondariamente, spettatori. Da assiduo lettore, sono piuttosto deluso del lavoro fatto in sede di sceneggiatura da Lauren Schmidt Hissrich e la sua writing room, su alcuni personaggi e alcuni dialoghi molto importanti. Vi sono alcune criticità in sede di script, non prive di un certo spessore che non lasciano altro che criticità diffuse. Complessivamente, però, lo spettacolo regge comunque il peso di portare in scena qualcosa di molto coraggioso e originale a suo modo.
Potrei azzardare che tutte le paure, e ripeto, TUTTE le paure dei lettori abbiano preso corpo in questo adattamento di Netflix, dalla messa in scena a volte cheap, alla povertà della scrittura che, nonostante tutto, assesta anche qualche momento veramente ispirato e vincente (spesso per merito dei libri) ma nel complesso lo show perde spesso la bussola, tagliando, accorciando, svilendo, riducendo l’innovazione introdotta dal burbero Signor Sapkowski negli anni Novanta.
Quando non deve, questoThe Witcher scappa via, fuggendo da momenti potenzialmente allettanti per inseguirne altri privi di effettivo charme, mentre risulta piuttosto prolisso in alcuni punti e annaspa in altri.
Tutto sarebbe stato incredibile se avessimo avuto almeno dodici puntate? Probabile, chi può dirlo. La sensazione fortissima è che aggiunte dello show fanno decisamente spiccare la serie, ma la velocità di confezionamento può stordire e non tutto è equilibrato.
Vediamo una certa fedeltà al materiale originale dei libri, una recitazione di alto livello, una OST meravigliosa (le canzoni del bardo Ranuncolo sono un tormentone che mai mi sarei aspettato di dover affrontare in rete…). La colonna sonora è veramente a filo di quella dei videogiochi, Cavill è in una forma strepitosa, le regie sono solide e ben costruite, per mano di quattro registi tra cui Alik Sakharov (Rome - Il trono di spade - I Soprano… ), che dirige tre puntate su otto con un tocco magistrale, e Alex Garcia Lopez (The Punisher - Daredevil…).
Viceversa, però, ho così tanti esempi da fare che dovrei riempire un vademecum apposito. In ogni caso, nella galleria di immagini di questo articolo, ho accuratamente selezionato alcuni punti, potrete farvi un’idea cristallina.
Arrivati a questo punto, ripetendo che mi è piaciuta a tratti, bisogna chiarire che sebbene abbia riserve da fare, lo show ha avuto momenti altamente spettacolari, una certa fedeltà al materiale originale, quasi commovente su alcuni punti, mantenendosi come un telefilm (che termine adorabile) molto buono, con combattimenti incredibili e diverse frecce al suo arco. Qui arriva il secondo punto. La critica si è subito affrettata a scrivere “Restiamo orfani de Il trono di spade” oppure “Questa prima stagione non eredita il trono di ferro” - “Nemmeno si avvicina alla complessità dell’opera di Martin”.
Però, paradossalmente, il pubblico pensa l’esatto opposto.
The Witcher, forse, non avrà preso il posto de Il trono di spade, ma la serie è piaciuta al grande pubblico. Questo è ciò che contava, alla fin fine della fiera. Certo, se sei un lettore dei libri e non un avido lettore della wiki-witcher, confrontandoti con altri lettori, conserverai sempre alcune perplessità, ritenendo la serie un mezzo disastro.
Il sommo concilio dei lettori (più o meno) è di questo avviso, ma agli spettatori più generalisti di mezzo mondo è piaciuta e quell’angolino dentro di me che adora prodotti rozzi, è rimasto colpito da alcune scelte tamarre.
È stato un rilancio coraggioso del classic-fantasy, che ha convinto la maggioranza degli spettatori che, il 20 Dicembre, tra torroni e pistacchi, si è piazzato davanti allo show di Netflix bello comodo, magari con tanto di caminetto scoppiettante a lato, e si è sparato le prime quattro puntate, commentando sui social la sorpresa, per poi concludere e salutare l’alba di un nuovo giorno di binge-watching con la domanda più postata di sempre
«Quando arriva la seconda stagione?!?»
Ad onor del vero, è molto furbo, questo adattamento, che fin da subito decide di non seguire il percorso, il sentiero fantasma tracciato da Il Trono di Spade, come invece si temeva, almeno inizialmente. Tutt’altro. The Witcher si distingue, fin da subito. Lauren Schmidt Hissrich e Tomek Baginski sembrano voler dire allo spettatore profano, pronto al binge-watching compulsivo: «Ehi, hai visto? Questo è il vero fantasy! Mostri ed incanti a pioggia! Altro che otto stagioni prima di vedere quello che tutti volevano vedere alla prima!» (i draghi)
Avete notato questa cosa, witcher?
Niente sigla d'apertura, un fetido mostro al minuto 01:00, un’autentica vomitata sullo spettatore di robe "generiche" high/low/dark fantasy, fable, ad un pericoloso minutaggio d’inizio puntata. Principesse, maledizioni, mostri, maghe, incantesimi, illusioni, witcher! E naturalmente un’introduzione più che egregia al dark fantasy del Sap (Sapkowski, Sap per gli amici).
Seguono poi una puntata che strizza l'occhio prepotentemente a Il trono di spade, tanto che la firma persino lo stesso regista, una in stile Harry Potter-Femen, una à la Shannara (Elves Everywhere!), una in stile fratelli Grimm… Viene da chiedersi cosa non ci sia dentro, a onor del vero! Facendo dovute esagerazioni, e sto esagerando, The Witcher resta comunque un prodotto furbissimo o fin troppo scaltro a scalare i gusti del pubblico. Sembra voglia davvero viziare tutti gli orfani delle serie TV o dei film fantasy “classici” perché prendano casa presso di lui. Chi si è lanciato alla visione, solo ed unicamente perché nei vari trailer super-smart hanno fatto vedere tutto quello che un "esule" de Il trono di spade cerca, solleticando il suo gusto, è rimasto molto contento del risultato finale. Gli altri hanno avuto mostri e maghi.
Intendiamoci, The Witcher non diventa MAI La spada della verità, Xena o Fantaghirò, come hanno scritto praticamente ovunque molti giornalisti di intrattenimento. Convinti che snocciolare serie TV note a caso possa essere un valido incentivo per spingere alla visione lo spettatore neofita.
The Witcher ha uno stile deciso, originale, oserei definirlo una suggestiva alchimia modern-dark-fantasy, a partire dai bellissimi costumi di Tim Aslam, proseguendo con alcune ambientazioni suggestive raccolte nell’Est Europa, Russia e Polonia, fino ad arrivare a diversi aspetti decisamente convincenti della serie, come coreografie di combattimenti impressionanti, tette, che nei libri non c'erano (non in quei punti, almeno) e un cast veramente buono (in inglese, ‘sta serie è una manna per i fanatici delle recitazioni). Insomma, la sfida è stata parzialmente vinta e le anguille possono convincere tranquillamente i lettori dei libri che questa è una serie sufficientemente curata e rispettosa del source material, trovando alcune aggiunte dello show molto interessanti, mentre altre, leggermente buttate alla rinfusa. Ma non si può avere tutto, no? È il male minore, no?
È il male minore.
Dal punto di vista delle menate tipiche delle frasi ad effetto carambola, come ad esempio la gettonata e sempreverde «È l'erede di GOT!!!» - mi sbilancio - ma penso che abbia fatto proprio centro ed ereditato parte di quel pubblico generalista che cercava nel piccolo schermo qualcosa di simile, non per tematiche o storia, ma perché c’era fame di spade e maghi. Quando inizia seriamente ad annoiarti la mole di commenti positivi su pagine/gruppi dedicati allo show, è chiaro che pensi che ci sia in atto una autentica congiura, ma riflettendoci meglio, ecco che arriva la soluzione all’enigma.
I libri, questo pubblico, non li ha letti. Evidentemente. E non è veramente importante. Come del resto gli spettatori de Il trono di spade, all’epoca, non lessero i romanzi di George R.R. Martin. Come chi vedrà l’adattamento televisivo di La ruota del tempo non avrà letto i romanzi di Jordan, quasi sicuramente.
Assonanze. Divergenze.
The Witcher è un adattamento realizzato da una showrunner bianca, americana, eterosessuale e probabilmente democratica. E contano tutti queste sensibilità che si sommano, per cercare di spiegare un universo così distante da quello che una sceneggiatrice americana può dire di saper sfoggiare.
La Hissrich ha dimostrato la solita, tristemente nota, scrittura un po' dozzinale, facendo percepire solo sporadicamente l'innovazione introdotta dal burbero Sapkowski negli anni novanta. Pensate solo alla figura della donna maga emancipata al servizio dei re, amante e consigliera, oppure la mercificazione del corpo femminile, con le maghe che cambiano i loro connotati fisici perché “re capricciosi” vogliono donne bellissime al loro fianco, per regnare e amoreggiare. Pensate alla magia o agli elfi che se la vedono strappare dagli uomini, rendendo sbilanciato il mondo. Pensateci. C’era spazio per attualizzare questi aspetti in maniera moderna, ma otto puntate scappano via e non ci riescono se non a tratti.
Mentre scrivo, la mia padrona è al secondo rewatch compulsivo e mi canticchia da tre giorni, ininterrottamente “Toss a Coin to the Witcher, Oh Valley of Plenty” quindi non so esattamente chi abbia vinto e chi abbia perso questa sempiterna guerra dei gusti, che si presenta ogni volta che esce qualcosa di potenzialmente interessante.
Direi che mentre la battaglia tra Nord e Sud continua imperterrita, io mi pongo come genuino entusiasta dello show, per motivazioni lunghe che non sto a spiegare nel dettaglio, ma potremmo grossomodo definirle “Sono un drago di bocca buona”.
Se siete spettatori che cercano una serie originale, guizzante, adrenalinica, che non lesina in mostri, incantesimi, battaglie campali, morali e naturalmente tette, siete nel posto giusto, se siete lettori dei libri e pretendete un adattamento fedelissimo, occhio, il mostro è nel fienile e vi guarda.
The Witcher è una serie che consiglio caldamente.
Sono dunque promosse le prime (seconde!) avventure televisive dello Strigo, quindi, seppur con alcune grosse riserve. Per il futuro vorremmo però “Something More”.