Il Cuore delle Carte di Konami
“Mamma ma quelle sono le carte del videogioco che mi ha comprato nonno! Me le compri?” Gridò Pacione, in una freschina serata di Maggio 2002, a Monaco. Mia madre, non capendo il fomento per quella carte con gli ideogrammi su una bancarella tedesca, rifiutò.
Questo è stato il mio primo contatto fisico con un trading card game a oggi famosissimo (sicuramente uno dei tre più giocati al mondo) e di come quella sera non diventai ricco.
Ma com’è possibile che conoscessi Yu-Gi-Oh! prima che l’anime approdasse in italia? Come facevo ad avere Yu-Gi-Oh! Forbidden Memories prima che arrivasse ufficialmente nel suolo del Bel Paese? Ma soprattutto, perché le carte erano marchiate Bandai e del tutto simili a quelle del gioco per PS1 così mistico e affascinante da portarmi via ore e ore del mio tempo libero? Sebbene la mia risposta potrebbe limitarsi a: “Il nonno aveva comprato un gioco dal venditore ambulante e me lo aveva regalato, perché ero in fissa con l’antico Egitto, dunque me lo comprò sperandomi di fare regalo gradito”, opterò per darvi quella che è una mia visione maturata col tempo, frutti di studi e riflessioni che mi hanno ossessionato per anni; perché io, alla fine della fiera, sono cresciuto sempre tra Pokémon e Yu-Gi-Oh!, che erano un po’ la mamma e il papà del mio intrattenimento quotidiano. All’epoca ero un bambino semplice, vedevo Yugi Muto, Ash Ketchum o Goku e ero contento.
La cosa che mi ha sempre affascinato di Yu-Gi-Oh! Forbidden Memories era il suo regolamento strampalato e impossibile da replicare su carta. Il meccanismo con cui potevi fondere i mostri sulla mano richiedeva letteralmente che due carte si unissero insieme per farne una più forte, completamente diversa sia nell’aspetto che nei parametri delle due sacrificate per la nuova creazione.
Nonostante non ci capissi nulla sul come fondere le carte, io mi divertivo un sacco con quel gioco che, alla fine della fiera, era un pisello righello a chi aveva la creatura più forte (ovviamente si dovevano portare a zero i life point dell’avversario, ma senza carte trappola e magia da attivare durante il turno degli avversari o durante fasi ben specifiche del proprio turno, il gioco era letteralmente “chi ha l’attacco più alto/difesa più alta vince”), io mi divertivo da matti, completamente rapito dal contesto dell’antico Egitto e con una fascinazione pazza per quei set di carte strani e completamente fuori contesto che il gioco ti proponeva.
Ricordo che con gli amici condividevam addirittura un quadernino dedicato alle fusioni migliori, che all’epoca ricordo rappresentava un’impresa leggendaria: servivano ore e ore di farm per ottenere le carte giuste da fondere e sconfiggere gli ostacoli che il gioco ci proponeva.
Col passare degli anni, a dirla tutta, nel 2022 ho scoperto delle meccaniche malsane del caro vecchio gioco Konami. Forbidden Memories infatti, barava palesemente: a seconda delle carte che tu giocavi, la CPU cambiava le carte sulla sua mano da un pool di più di quaranta per cercare di riequilibrare la partita e per farti perdere miserevolmente nonostante avessi evocato il Twin Headed Thunger Dragon di primo turno.
Tornando ai tempi in cui non avevo alcun pelo in corpo: rientrato dalla mia prima vacanza in Germania, lessi una pubblicità su una rivista (Probabilmente NRU, o boh, forse PSM, vatti a ricordare!) di un negozio che vendeva ‘ste benedette carte in italiano, così presi il mio primo structure deck col Mago Nero. Con mio enorme stupore notai che erano completamente diverse da quelle che avevo visto nel mio viaggio in terra teutonica e, nonostante portassero orgogliose il logo Konami sulla confezione e sui trademark, erano pure diverse sia da quelle dell’anime, che ormai era in onda, sia da quelle del videogioco.
Nel corso del tempo continuai a comprare carte di Yu-Gi-Oh! e a giocare all’infinito (perdendo, perché a una certa diventava veramente tosto e senza il know how di oggi sul gioco non avrei mai potuto finirlo) a Forbidden Memories perché ero mesemerizzato da tutto: dalla lingua, dal gioco di carte mistico e fumoso, dagli avversari con carte fortissime e coi mostri incazzati.
La cosa che mi incuriosì per anni era il regolamento totalmente diverso da quello del gioco per PS1.
Ma perchè? Perché pubblicare un gioco e delle carte con regole così diverse? Alla fine, il trading card di Pokémon aveva le stesse regole del gioco di carte collezionabili presente su Game Boy. Questa cosa mi ha fatto impazzire per anni, fino a quando - un bel giorno - non avendo nulla da fare tra un ritardo e l’altro di Trenitalia, mi misi a fare qualche ricerca su Yugi Muto e i suoi fantastici amici. Sebbene sapessi che il manga avesse un contenuto del tutto diverso rispetto a quello dell’anime arrivato da noi, ignoravo la storia travagliata del gioco di carte.
Dopo il grande successo del capitolo dedicato al fumetto, Bandai decise di pubblicare delle “cardass” (delle carte distribuite tramite un distributore automatico, simile ai gatchapon) ispirate proprio a quelle pagine del manga. Tuttavia il regolamento era confusionario e addirittura scritto su più carte: questo modo di giocare con le creature del mondo di Takahashi non piacque molto, ma si diffuse grazie alla popolarità del manga.
All’agguato, zitta zitta però, c’era Konami, che sebbene non avesse i diritti per stampare delle carte tratte dal manga, si accaparrò quelli per creare i videogiochi.
In seguito a un primo Breed and Battle, un JRPG strategico dedicato ai capitoli sul Capsule Monster, Konami ne pubblicò uno su Game Boy in grado di rivoluzionare il franchise: Yu-Gi-Oh! Duel Monsters.
L’azienda che oggi conosciamo per il suo amore verso le palestre e i pachinko, e che qualche volta si ricorda che ha delle IP videoludiche da sfruttare, zitta zitta quatta quatta, stava rubando terreno nel mondo delle carte collezionabili a Bandai. All’interno della confezione di Yu-Gi-Oh! Duel Monsters erano presenti tre carte promozionali estratte da un pool di dieci tratte dal gioco.
Questo titolo incorporò per la prima volta le basi delle regole che Konami avrebbe sfruttato in futuro: c’è da dire però che il ruleset era molto simile a quello del manga e mancano alcuni elementi, come per esempio carte magie e carte trappola inserite nel capitolo successivo del gioco, fino alla maturazione delle regole della prima versione dell’OCG che vennero introdotte in Yu-Gi-Oh Duel Stories II.
Nel 1999 venne poi pubblicato il playbook del Konami Official Card Game, che andava a delineare la struttura di quello che, a oggi, è uno dei gioco di genere più famosi, nonostante siano passati ventiquattro anni dalla sua pubblicazione. Si, probabilmente qualcuno più vecchio di me dirà che Magic esisteva già e nemmeno i Pokémon erano riusciti a eroderne il mercato, almeno in Occidente; eppure: quando Yu-Gi-Oh! sbarcò dalle nostre parti, pensavate veramente che a distanza di tanto tempo sarebbe diventato una valida alternativa al TCG di Richard Garfield?.
Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata a Konami, che trovate riassunta a questo indirizzo.