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Umberto Eco e Superman: analisi e post-analisi fra ieri e oggi

Umberto Eco e Superman: analisi e post-analisi fra ieri e oggi

Il mio approccio a Umberto Eco è avvenuto relativamente tardi. Un annetto prima della sua morte, direi senza troppa cognizione spazio-temporale; che è un po’ la metafora della mia vita: trovare le risposte ai miei dilemmi quasi per caso, quando il tempo si sta per esaurire. Sia chiaro, conosco Umberto Eco da ben prima del 2016. Chiunque, anche al di fuori dell’Italia, conosce Umberto Eco. A tenermi lontano da lui, semmai, è sempre stato quell’approccio che, secondo una visione caratterizzata da tanta superficiale immaturità, reputavo troppo accademico, fin troppo incline alla pedanteria; ovviamente, mi sbagliavo di grosso. Me ne accorsi leggendo questa rubrica che teneva sulle ultime pagine dell’Espresso, La bustina di Minerva, un pezzo d'editoria italiana che non credo abbia bisogno di grosse presentazioni; in ogni caso: tutto fuorché accademica, tutto fuorché pedante. E, soprattutto, scritta divinamente. Decisi così di approfondirlo e, considerati i miei interessi, l’attenzione non poté che indirizzarsi verso Apocalittici e Integrati (Bompiani, 1964), una raccolta di saggi interenti al mondo dei mass media e della cultura di massa.

Nonostante si tratti di un lavoro, come avremo modo di vedere, parecchio invecchiato in diversi suoi frangenti, Apocalittici e Integrati è altresì un testo di lucidissima analisi su tutto ciò che ruota attorno alla cultura, sia essa alta o bassa. Di più: l’aspetto maggiormente rivoluzionario dell’opera, e che all’epoca dell’uscita attirò non poche critiche da parte degli intellettuali di allora, era l’instaurazione di un rapporto, all’interno della disamina analitica, fra cultura alta e bassa; parlare di Elvis, Superman e Rita Pavone attraverso le parole di Kant, Hegel e Sartre. Un’eresia, nel 1964; consuetudine, o quasi, nel 2017. Pensiamo, ad esempio, a Matteo Bittanti, mitologica figura che di tanto in tanto appare di sfuggita pure sulle pagine di Outcast

Il suo intento era quello di utilizzare la cultura intellettuale per elevare la stessa cultura di massa, in un passaggio del basso verso l’alto che dunque non voleva affatto mettere sullo stesso piano lavori e opere di domini ben diversi. Facendo ciò, si disvelava il duplice tentativo di Eco: da un lato cercare di evidenziare come spesso la cultura bassa venga creata e calata appositamente dall’alto (e l’analisi di Superman è a tal proposito emblematica); dall’altro lato invece, e da qui il titolo del libro – voluto, fra le altre cose, non da Eco ma dall’editore dell’epoca, Valentino Bompiani –, il semiologo tenta di tracciare due figure di intellettuali la cui funzione è spesso deleteria: gli ‘integrati’, ovvero quelli che si conformano ai modelli ufficiali, e gli ‘apocalittici’, il cui scopo principale è quello di confezionare teorie sulla decadenza culturale. Vi torna in mente qualcosa? Scommetto di sì, e sono passati più di cinquant’anni.

Senza dilungarci ulteriormente sull’analisi generale del libro, il saggio di Apocalittici e Integrati che attirò di più l’attenzione fu probabilmente quello riguardante Superman, esemplificazione lampante di quanto precedentemente accennato sulla cultura di massa: prodotto appositamente dall'alto, creato per far sì che la cultura bassa rimanga tale ai fini di conservazione del potere. Affermazioni, queste, che potrebbero sembrare fin troppo apocalittiche, appunto, facendo scadere così Eco nella contraddizione; non è così, va da sé. L’anno di riferimento del libro, ribadiamolo, è il 1964, e il Superman dei tempi era ben distante da quello incarnato ai giorni nostri da Henry Cavill. Lo era soprattutto nella fruizione, che avveniva, per la maggior parte delle persone, attraverso le comic strip di rapida consumazione presenti nei quotidiani, americani soprattutto.

Gli sceneggiatori di Superman dell’epoca, insomma, dovevano creare delle storie non troppo articolate e che si esaurissero in una manciata di minuti, in grado di reiterarsi centinaia e centinaia di volte in modo analogo. Per usare le parole di Eco, in questo caso più che mai, “lo schema narrativo sorregge e fonda la convenzionalità del personaggio”. Come può un essere dalle doti talmente straordinarie anche per un supereroe, qual è Superman, essere tuttavia definito convenzionale? La risposta risiede nelle sue imprese, che in queste comic strip si riducono sempre a ordinaria amministrazione; roba di poco conto, specie se rapportata alle capacità di un Superman a conti fatti onnipotente.

La sua capacità operativa si estende su scala cosmica. Ora, un essere dotato di tali capacità, e votato al bene dell’umanità avrebbe davanti a sé un immenso campo di azione. Da un uomo che può produrre lavoro e ricchezza in dimensioni astronomiche nel giro di pochi secondi, ci si potrebbe attendere i più sbalorditivi rivolgimenti dell’ordine politico, economico, tecnologico del mondo.

E invece opera quasi esclusivamente a livello locale, a Smallville prima e a Metropolis poi. Fin qui, per sommi capi, sia pur in contesti mediatici diversi per epoca e codici, il personaggio di Superman combacia fra ieri e oggi. A cambiare, tuttavia, è la portata delle sue imprese; che partono sì sempre dai medesimi luoghi, ma si estendono su scala globale. Prima Superman, a Metropolis, sgominava in una manciata di azioni risolutive una manciata di delinquenti, adesso, sempre nella stessa città, salva l’umanità dai piani del generale Zod. In tal senso troviamo una differenza marcata fra i due periodi in riferimento:

Nell’ambito della sua little town il male, l’unico male da combattere, gli si configura sotto specie di aderenti all’underworld, al mondo sotterraneo della malavita, di preferenza occupato non a contrabbandare stupefacenti né a corrompere amministratori o uomini politici, ma a svaligiare banche e furgoni postali. In altri termini, l’unica forma visibile che assume il male è l’attentato alla proprietà privata. […] Abbiamo in Superman un perfetto esempio di coscienza civile completamente scissa dalla coscienza politica. Il civismo di Superman è perfetto, ma si esercita e si configura nell’ambito di una piccola comunità chiusa.

Come può facilmente intendere chiunque abbia visto gli ultimi film di Zack Snyder, la piccola comunità chiusa è solo un pretesto per allargarsi, come già detto, a qualcosa di più grande. A cozzare più di tutti, però, è il civismo. Proprio Batman v Superman trova il pretesto narrativo dalla distruzione di Metropolis, a cui quest’ultimo contribuisce, nel tentativo di salvare il mondo dalle grinfie di Zod, e che poi darà il là ai dissidi fra i due supereroi. Una differenza così marcata è dettata non solo dai diversi domini mediali d’appartenenza (banalmente, le differenze fra i colossal DC e le comic strip sono a dir poco siderali), ma anche dai contesti culturali nei quali essi operano. Sempre Stati Uniti, ma in epoche ben diverse.

Se infatti negli anni Sessanta il male assumeva nell’immaginario collettivo – a parte qualche macchiettistico tratteggio figlio degli strascichi maccartisti – il solo aspetto dell’offesa alla proprietà privata, configurando così il bene dispensato da Superman unicamente come carità, a partire da L'uomo d'acciaio si viene catapultati nel periodo post 11 settembre, in cui le iconiche skyline americane, fatti di grattacieli a perdi vista, sono ridotte in polvere da attentati di minacce esterne, ben più sconosciute e misteriose dei bolscevichi di un tempo. In tutto ciò, Superman vede evolversi il suo personaggio, facendosi deus ex machina pronto a compromessi: togliere a Metropolis per dare alla Terra. Ma da cosa è caratterizzato, per Umberto Eco, il personaggio di Superman? Alcune sue considerazioni valgono sia ieri che oggi, altre no. C’è ad esempio il concetto di mito, affrontato per altro proprio in questa Cover story da Andrea Peduzzi, intramontabile dai tempi di Omero, e che nel Novecento, con la società di massa, ha rinnovato la sua accezione:

In una società particolarmente livellata, in cui le turbe psicologiche, le frustrazioni, i complessi di inferiorità sono all’ordine del giorno. […] In una società di tale tipo l’eroe positivo deve incarnare oltre ogni limite possibile le esigenze di potenza che il cittadino comune nutre e non può soddisfare. Superman è il mito tipico di un tale genere di lettori: è bello, buono e servizievole.

Un’idea di ubermensch che Eco esplorerà meglio, con derive nicciane, ne Il superuomo di massa, qualche anno più tardi. E anche ad anni di distanza, questa è una caratteristica che è quasi rimasta immutata nel supereroe della DC. Ad evolversi, e anche nettamente, è stata invece l’idea di doppio, tipica degli eroi in calzamaglia. Ancora Eco, e vediamo quanto la situazione sia cambiata rispetto al passato:

L’immagine di Superman non è al di fuori di ogni possibilità di identificazione per il lettore. Infatti Superman vive tra gli uomini sotto mentite spoglie del giornalista Clark Kent; e come tale è un tipo apparentemente pauroso, timido, di mediocre intelligenza, un po’ goffo, miope succube della matriarcale e vogliosissima collega Lois Lane che tuttavia lo disprezza, essendo pazzamente innamorata di Superman. […] Attraverso un ovvio processo di identificazione, qualsiasi accountant di qualsiasi città americana nutre segretamente la speranza che un giorno, dalle spoglie della sua attuale personalità, possa fiorire un superuomo capace di riscattare anni di mediocrità.

Erano tempi diversi, negli anni Sessanta. E in fin dei conti, le differenze fra Italia e Stati Uniti non erano poi così marcate. Dalle nostre parti era il periodo del miracolo economico che portava con sé una serie di possibilità oggi precluse ai più. Gli Stati Uniti, invece, vivevano l’apice della loro nuova economia consumistica, che stava iniziando a mettersi alle spalle il New deal di Roosvelt. Insomma, in gran parte dell’Occidente gli ingranaggi dell’ascensore sociale erano ben oliati, e il già citato processo di immedesimazione ne è l'esemplificazione.

L'uomo d'acciaio di Zack Snyder arriva invece una manciata di anni dopo la crisi del 2008; quella stessa crisi che ancora oggi, a quasi dieci anni di distanza, facciamo fatica a scrollarci di dosso. Adesso Clark Kent non è più lo sfigato contraltare del superuomo; è piuttosto l’élite, apparentemente popolana, prestabilita da potentati che sfuggono al nostro controllo; oggi più che mai, in un’epoca in cui, attraverso i social media, i confini fra sfera pubblica e sfera privata si fanno per altro sempre più sottili, fino a cessare di esistere. E infatti, in Batman v Superman, la doppia identità di quest’ultimo si annulla, e la distinzione fra noi e lui si fa sempre più marcata, assumendo poi, in più di un’occasione, una connotazione quasi teologica, con Superman che discende dal cielo, strizzando l’occhio alla Creazione di Adamo di Michelangelo.

Com’è a questo punto chiaro, a cambiare rispetto al passato è il consumo di massa di Superman. Alla lettura dei fumetti si sono sostituiti prodotti audiovisivi al passo coi tempi, più immaginifici, che riescono meglio a restituire l’onnipotenza del supereroe, migliorandosi a vista d’occhio anno dopo anno, con budget sempre più maestosi. In questo mutamento, del Superman di allora è rimasta l’esteriorità, da intendersi sia con le sue connotazioni iconiche (Smallville, il lavoro da giornalista, il rapporto con Lois), sia con le capacità divine; che però, oggi, in una società in cui la religione ha un ruolo sempre più marginale, viene riconfigurata nella sua apparenza. Se vogliamo, il Superman di Henry Cavill è ancora più perfetto, più etereo di quello di ieri. Ma sbaglia, commette errori. Dunque, per riprendere il leitmotiv della prima parte di Batman v Superman: Dawn of Justice, credere o non credere in (questo) dio? A prescindere da tutto, resta il fatto che, più di tutti, Superman è il supereroe che rappresenta al meglio ogni epoca nella quale ha vissuto, e non c’è pomodorometro che tenga.

Tutte le frasi di Umberto Eco precedentemente citate sono tratte da Apocalittici e Integrati. Se volete approfondire il pensiero di Eco sull'argomento, Il Superuomo di massa: Retorica e ideologia nel romanzo popolare è una lettura imprescindibile. Diverse delle argomentazioni, fatte su Umberto Eco e la sua opera, derivano dagli appunti raccolti durante le lezioni di Semiotica Intepretativa del professor Claudio Paolucci, presso l'Università di Bologna. Paolucci ha pubblicato, proprio nei mesi scorsi, quella che è probabilmente la summa definitiva dell'eredità, accademica e umana, di Umberto Eco. Il libro, edito da Feltrinelli, si titola Umberto Eco: Tra ordine e avventura, ed è fondamentale per chiunque sia anche solo lontamente interessato ai lavori di uno fra i più importanti intellettuali del secolo scorso. I link ad Amazon sono impostati in modo da far arrivare una piccola percentuale di quello che spendete a noi, senza sovrapprezzo per voi. Questo articolo fa parte della Cover Story "Justice League & Friends", che trovate riepilogata a questo indirizzo.

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