Una poltrona per due... e frechete!
Nell’affrontare il problema della vigilia di Natale, la nostra società assume da sempre una prospettiva morale o estetica. Panettone o Pandoro? Arrosticini o torrone? Anna Karenina o Una Poltrona per Due?
A differenza del grande capolavoro del realismo tolstojano, la pellicola di John Landis è stata spesso accusata d’essere alleata del capitalismo (sebbene il finale non lo abbia capito quasi nessuno), nonché di rappresentare uno di quei perfidi mezzi di persuasione sofistica, retorica e imperfettamente natalizia.
In altre parole, coinvolto nel generale discredito che accompagna la cultura di massa, Una Poltrona per Due avrebbe anche rotto il cazzo. E allora perché, pur consapevoli di tutto ciò, da oltre quaranta secoli, ogni 24 dicembre, continuiamo a guardarlo incessantemente e instancabilmente?
Esistono due possibili risposte, e l’una non esclude l’altra.
Una Poltrona per Due è un sistema semiologico universale, potente e artificioso, pesante come un dovere, efficace come una magia morale. Suggerendo e mimando un’economia universale che abbia fissato una volta per tutte i futures sul succo concentrato d’arancia, ci racconta sempre la stessa storia, a lieto fine e senza canditi. Una Poltrona per Due è una favola euforica, eucaristica e rocambolesca, tutto in essa è facile e innocente.
La forza del film è interamente fondata sulla credenza che la vita sia una questione di metafora. L’uomo nasce, vive e muore dappertutto, allo stesso modo. La natura degli uomini è identica, la loro diversità è solo formale e non smentisce l’esistenza di una matrice comune.
Guardare Una Poltrona per Due il 24 dicembre, in sostanza, significa dare al declino del mondo la cauzione di un ottimismo fittizio, levigato e senza remissioni, che eterni la magia degli anni Ottanta e conceda anche solo per un paio d'ore l'illusione della speranza.
La risposta breve è questa:
Buon Natale e... frechete!