La seconda stagione di Love è deliziosa come la prima
Tradizionalmente, le commedie televisive incentrate su una storia d'amore tendono a giocare per settimane, mesi, anni, sul "Si metteranno assieme o no?", con un tira e molla infinito che fa da meccanismo di base per lo sviluppo (esile) del racconto e per molti dei tormentoni umoristici. E in fondo è quello che, in una certa misura, fa anche Lovesick, una serie abbastanza fuori dagli schemi sotto alcuni aspetti ma di certo non in questo. Ultimamente, però, si sono viste diverse serie TV che hanno scelto una strada diversa, facendo accoppiare fin da subito, o quasi, i loro protagonisti e dedicandosi poi a raccontare l'evoluzione del rapporto. È quel che fanno due gioielli come You're the Worst e Catastrophe ed è veramente il cuore di quel che Love voleva essere fin dall'inizio.
L'idea della serie Netflix, di cui è spuntata da poco la seconda stagione e che, come quasi tutte le cose su cui Judd Apatow mette le mani senza curarle direttamente, è deliziosa, sta infatti nell'utilizzare i ritmi da binge watching a cui si presta Netflix per raccontare con calma l'evoluzione di un rapporto, senza mettere fretta, prendendosi i tempi che servono, ma anche evitando il tira e molla insostenibile. Le dieci puntate della prima stagione ci hanno presentato i due protagonisti, le loro contraddizioni e i mille motivi per cui vorresti prenderli a schiaffi, che poi sono anche un po' le ragioni per cui risultano bei personaggi, credibili e umani. Il secondo anno sembra quasi giocare per un po' con quell'idea del tira e molla, ma si dedica in realtà proprio a quanto promesso: analizzare il rapporto fra Mickey e Gus, farlo crescere, mostrarne punti forti e debolezze, raccontarlo con calma, fra l'altro tenendoti sulle spine perché non sta scritto da nessuna parte che debba esserci un finale consolatorio.
Pur portando avanti un racconto coerente e unitario, ciascuna delle (questa volta dodici) puntate affronta un tema specifico, passando dalla divagazione buffa a base di funghi allucinogeni all'affrontare il difficile rapporto fra Mickey e il padre (un ottimo Daniel Stern), affrontando la difficoltà di un rapporto improvvisamente diventato a distanza e mostrando il conflitto che nasce dal desiderio di crescere autonomamente, anche al di fuori della coppia. E tutto continua ovviamente a ruotare attorno alla fenomenale interpretazione di Gillian Jacobs, costantemente in lotta contro se stessa e le sue debolezze, al comunque ottimo Paul Rust, debole e adorabilmente insopportabile non poi così bravo ragazzo. Aggiungiamoci un cast di contorno sempre azzeccato e una Claudia O’Doherty che, come già nel primo anno, ruba spesso la scena con la sua Bertie, e abbiamo una serie che continua ad essere appassionante, deliziosa, agghiacciante per il modo in cui ti sbatte in faccia una realtà tragicomica. Insomma, altre dodici puntate che vanno via in un amen, altro che.
Me la sono sparata nel giro di un weekend o poco più, "aiutato" dal fatto che ero malaticcio e le puntate da mezz'ora si infilano facilmente tra le pieghe della sofferenza. Entrambe le stagioni sono disponibili su Netflix. Sentitevi liberi di guardarlo doppiato ma sappiate che non c'è un personaggio che parli in maniera normale e perdersi questa cosa è un po' un peccato.