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La prima stagione di Castlevania ha fatto anche cose buone

La prima stagione di Castlevania ha fatto anche cose buone

Più passano gli anni e più, in questo triste mondo dell'entertainment tarato su misura dei fan scassamaroni, si fa largo l'idea che nell'adattare un'opera conti solo ed esclusivamente un presunto "rispetto dell'originale". È quel modo di pensare secondo cui avere un Uomo-Ragno fedele al personaggio dei fumetti sia più importante di avere un Uomo-Ragno protagonista di un bel film (non è una frecciata a Spider-Man: Homecoming, che non ho ancora visto ma pare essere delizioso). È, se lo chiedete a me, un modo di pensare cancerogeno, che fa solo danni, ed è, sempre se lo chiedete a me, l'unico modo in cui è possibile ritenere che il Castlevania di Netflix sia per il momento molto più che mediocre, nonostante un paio di elementi azzeccati e l'impressione che possa solo migliorare. E se non lo chiedete a me, beh, che ci fate qua?

La serie è stata curata da Adi Shankar, famoso più che altro per essere il matto che ha prodotto i vari cortometraggi apocrifi tutti ruvidi e sanguinari ispirati a roba tipo Venom, il Punitore e i Power Rangers. Stanno tutti sul suo canale YouTube e sono proprio l'apoteosi del "Guarda quanto sono bravo a riprodurre gli elementi del personaggio originale senza compressi!" E in effetti è bravo, non lo si può negare. Di certo, pur se presi con tutte le pinze legate al tipo di produzioni che sono e nell'ottica, diciamocelo, delle cretinate che sono, quei cortometraggi risultano certamente più intriganti rispetto alle incarnazioni cinematografiche ufficiali dei vari personaggi. Ed è bene o male con questo spirito che il caro Adi si è avvicinato alla realizzazione della serie animata di Castlevania, curata per conto di Netflix e Konami a partire da una prudente prima stagione di quattro puntate, sostanzialmente un lungometraggio spezzato in quattro per far da prologo alla già annunciata seconda, lunga il doppio. E com'è? Beh, l'ho scritto sopra. Ma prima di continuare, voglio inserire qui un documento importante, che possa fare da spartiacque: guardando questa intervista qua sotto, Shankar vi sembra un ganzo con le idee giuste o un idiota insopportabile? È importante.

Queste prime quattro puntate di Castlevania danno il via al racconto che segue le vicende di Trevor Belmont, Alucard, Dracula e Sypha. Si parte, insomma, da Castlevania III: Dracula's Curse (primo prequel dell'incasinatissima cronologia e anche primo gioco della serie a poter vantare una trama vagamente sostanziosa) e si presuppone che il racconto proseguirà andando a pescare, fra gli altri, anche da Rondo of Blood e Symphony of the Night, due fra i giochi più amati della serie. Se ne facciamo una questione di fedeltà alla fonte, il lavoro è davvero ottimo, con tanti spunti rielaborati in maniera rispettosa, personaggi, contesti e intere sequenze ripresi di peso dalla fonte. Anche in termini di rielaborazione non ci si può lamentare troppo: Warren Ellis ha scritto una sceneggiatura che prende quel materiale (obiettivamente esile), lo struttura in maniera classica, ma efficace, e gli imprime comunque sopra la sua personalità dissacrante e volgarotta.

I problemi nascono quando si considera un adattamento come un lavoro da cui debba nascere qualcosa di buono. E si torna al punto di partenza: personalmente amo gli adattamenti che stravolgono, perché mi piace essere sorpreso, ma lì, alla fin fine, è questione di inclinazioni personali e mi fa piacere per chi è soddisfatto da scelte più conservative. La qualità di quel che ne viene fuori, però, è tutt'altro discorso e questo Castlevania, per il momento, è davvero poca cosa. Siamo, per dirne una, dalle parti del Warren Ellis più pigro e banale, tutto monologhi pomposi e stupidini, con le mosce tirate anticlericali previste da contratto e una bella tonnellata di cliché. È l'Ellis che, complice magari anche il target a cui la serie si rivolge, sceglie di cavarsela infilando un mezzo chilo di fuck, qualche ettolitro di violenza esagerata, una manciata di gag autoironiche/dissacranti dai tempi comici letargici e la tristissima parentesi con la conversazione da Tarantino del discount alla locanda, che veramente è roba da far cadere le braccia. E aggiungerei una sensazione galoppante di dialoghi scritti da chi è abituato ai ritmi della carta stampata e si scopre un po' impacciato quando deve far girare una conversazione sullo schermo. Poi magari lui ci si è messo di impegno, chi lo sa, ma il sapore è davvero quello del compitino svogliato. Proprio poca cosa.

Poi, intendiamoci, stiamo parlando di Castlevania, non è che uno debba aspettarsi chissà quale livello di profondità. Tanto più che siamo abituati a berci roba dalla scrittura mediocre o tutt'al più funzionale messa attorno a ciò che davvero ci interessa. Insomma, se l'azione, la messa in scena, lo spettacolo visivo e, certo, le strizzatine d'occhio fanno il loro dovere, beh, ci si può accontentare. Poi, certo, avere una scrittura brillante, con qualche invenzione e delle gag azzeccate, farebbe piacere, ma insomma, ripeto, ci si può accontentare. Il problema è che qua si apre con una puntata da quasi mezz'ora fatta solo di monologhi mosci e melodramma un tanto al chilo. E l'unico momento potenzialmente action viene risolto in uno stacco di montaggio, col piglio di chi è convinto di stare realizzando chissà quale opera importante. Le cose si muovono davvero solo nelle ultime due puntate, quando un po' di divertimento salta fuori, qualche scambio di battute meno agghiacciante fa ciao ciao con la manina e, insomma, la visione si fa più gradevole, dando l'impressione che, una volta scaldati i motori, la seconda stagione possa fare più sul serio. Speriamoci, eh!

Nel mentre, però, abbiamo quattro puntate dai ritmi letargici e dalla scrittura che, s'è detto, è al limite tollerabile. Sul piano visivo ci sono cose buone e meno buone, con fondali spesso evocativi e ben realizzati, oltre a qualche bella invenzione nella sbroccata iniziale di Dracula ma personaggi caratterizzati con uno stile che sembra una rilettura in chiave Beavis and Butt-head del lavoro di Ayami Kojima (a scanso di equivoci: non è un complimento). C'è chi apprezza, io dico che è al massimo adeguato alla scrittura tutta a base di cliché e chiudiamola così. Per il resto, c'è da dire che l'azione, quando si degna di mostrarsi, non è malaccio. La battaglia della terza puntata è efficace, con qualche soluzione davvero azzeccata: cinque minuti di divertimento prima che riattacchino le chiacchiere insostenibili. E nella quarta puntata si vede un'ambizione nella messa in scena purtroppo non supportata a sufficienza dal budget ma che fa comunque piacere. Aggiungiamoci un cast sicuramente di livello, che fa il possibile per cavare il sangue dalle rape (un attimo di silenzio per il povero Richard Armitage, alle prese con battute sarcastiche agghiaccianti), e gli elementi per quella che dal secondo anno potrebbe diventare una serie divertente, tutto sommato, ci sono. Basta che diminuiscano i monologhi e aumentino le battaglie. Considerando che ci si ispira a un gioco d'azione, oh, non dovrebbe manco essere troppo difficile.

Insomma, al momento, Castlevania mi sembra la solita serie media Netflix di secondo piano: logorroica, pretenziosa, ti fa aspettare troppo per mostrarti quel che vuoi vedere, c'ha attori cani / disegnati da cani, ha comunque cose buone, magari anche molto buone, e se ti interessa l'argomento finisci per guardartela perché vuoi vederle. Magari poi migliora.

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