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Tutta l'ignoranza tattica di Pit People

Tutta l'ignoranza tattica di Pit People

Ah, i bei tempi di Castle Crashers. Ve li ricordate? Era il 2008, Microsoft ancora pubblicava console con giochi e gli indie erano sulla cresta dell’onda. Tra questi irruppe appunto Castle Crashers, irriverente picchiaduro a scorrimento votato soprattutto al multiplayer, con uno stile tutto pazzo disegnato a mano, pieno di mazzate e nonsense. Un successo, quello del picchiapicchia di The Behemoth, che gli è valso diversi port e persino un’edizione remastered, proprio come i giochi grossi che piacciono a grandi e piccini.

Combattimenti su veicoli nello spazio? Sì, ci sono.

Dieci anni dopo, e in seguito a una lunghetta gestazione via Accesso Anticipato, arriva la nuova fatica dei californiani, Pit People, che sta al genere dei tattici a turni come Castle Crashers stava a quello dei picchiaduro 2D a scorrimento. Quindi tanto sangue, flatulenze, pazzia e un gameplay pick up and play di quelli stragodibili. Sì, nonostante la cervelloticità dei “tactics”.

Horatio, amorevole padre e tank di tutto rispetto, con due baffoni da manuale dell’hipster, si trova a combattere per la salvezza del figlio, rapito da una divinità-orsetto incredibilmente cattiva e devota al sadismo. Se avete solo pensato di trovare in un gioco dei The Behemoth una trama sensata, beh, forse è un po’ colpa vostra. Fatto sta che la flebile storia funge da pretesto per gettare Horatio e i suoi comprimari di battaglia in una folle girandola di esplorazione e combattimenti, in un tattico a turni con elementi GdR dove, nonostante l’estrema semplicità delle regole, non mancano combattimenti esaltanti e persino impegnativi.

La famigghia.

Grazie anche ai numerosi combattimenti nella mappa di gioco, infatti, Pit People non è mai particolarmente ostico, perseguendo con successo la sua missione: quella di essere un leggero, scanzonato ma godibilissimo tattico a turni, oserei dire quasi propedeutico per chi vuole avvicinarsi al genere.

Le basi, infatti, ci sono tutte. Due squadre variamente composte si fronteggiano a turni, muovendosi una per volta, in arene esagonali. Ogni lottatore possiede statistiche uniche, da livellare in piena tradizione del genere; a sua volta, ogni partecipante può essere agghindato sia con oggetti estetici che con vero e proprio equipaggiamento, tra diverse tipologie di armi da mischia e distanza, ognuna con proprie caratteristiche.

Viva i Pokémon. Tosti e prorompenti, tutti differenti! Gotta catch 'em all!

Uno scudo particolarmente grande, per esempio,  è in grado di assorbire più colpi e frecce, limitando però la capacità di movimento dei personaggi, a sua volta sottomessa all’abilità di questi di trasportare più o meno peso. Importante anche la scelta delle armi, con spade in grado di infliggere ingenti danni ma totalmente inutili contro gli avversari corazzati: una bella mazza chiodata è decisamente più efficace.

Il sistema di combattimento è invece snellissimo: una volta selezionati tutti gli spostamenti, i lottatori di un team si muovono e attaccano secondo istruzioni, attendendo poi le mosse avversarie. Tra scudi, archi e magie, la varietà non manca, anche grazie all’enorme quantità di armamentario disponibile e alla possibilità di ampliare il proprio parterre di guerrieri catturando elementi delle squadre avversarie. Con determinati personaggi e oggetti, infatti, è possibile “raccattare” l’ultimo personaggio in vita di una formazione nemica e farlo proprio, per ampliare le possibilità di successo - o, banalmente, la diversità tattica - degli scontri. Al grido, insomma, di “Gotta Catch’em all”.

Gladiatori dell'arena / per tirare una catena.

Se gli scontri semicasuali - quelli meno importanti, insomma - non riservano particolari sorprese, a parte avversari sempre più coriacei, quelli coi boss o gli incontri relativi alle missioni della “Quest principale” sono spesso dotati di simpatici twist, che li rendono sempre interessanti e piacevoli. Il che è un bene, perché smorza parzialmente l’elemento di ripetitività che una struttura del genere e la “leggerezza” del tutto portan inevitabilmente con loro.

Non aspettatevi infatti in Pit People la profondità - e la cazzimma - di un Fire Emblem o un XCOM. Pit People, a meno di non selezionare la difficoltà “Folle” dall’apposita opzione, è più un piacevole modo di impegnare il cervello ma non troppo, un tattico a turni tanto appassionante quanto, a mio parere, defatigante. Il primo tattico a turni in cui poter staccare il cervello, per poi magari affrontare quel boss con più concentrazione il giorno dopo.

L'esplorazione è semplice ma comunque goduriosa.

Strapieno di roba da sbloccare o fare, tra cui modalità cooperative e competitive, Pit People può però stancare chi è allergico alle fetch quest o alle missioni secondarie piuttosto simili tra loro. O chi, ripeto, cercasse una sfida a-mo’ di Fire Emblem. Ecco, Pit People non è così. Ma nemmeno vuole esserlo, ed è soprattutto chiaro sin da subito a riguardo.

Insomma, se preso senza pretese non proprie al gioco, Pit People si rivela essere un gioco godibilissimo, in grado di ravvivare questo 2018. Non stuzzicherà forse il palato dei tattici più esigenti come il meraviglioso Into The Breach, ma saprà comunque allietare numerose serate. O, per lo meno, le mie.

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Ho giocato a Pit People sia nella sua versione in Accesso Anticipato che in quella completa, potendo saggiare l'ottimo lavoro di arricchimento continuo degli sviluppatori. Ogni tanto, continuo a trastullarmi la sera in battaglie all'insegna del superelaxo e delle scurregge, perché la vita, l'universo e tutto quanto. Giocateci con il pad, anche se lo prendete su Steam e non su Xbox One.

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