Anno 1800 è come la rivoluzione industriale senza rivoluzione
Premettiamo che i dilemmi storici del tipo “il più grande generale di tutti i tempi” o “le dieci scoperte che hanno cambiato il mondo” sono sempre piuttosto sterili: comunque, ci sono solide ragioni per sostenere che la rivoluzione industriale sia il singolo fenomeno che ha influito di più sulla storia dell’umanità, nel bene o nel male. C’è uno spartiacque piuttosto netto che attraversa il diciannovesimo secolo: le caratteristiche distintive della modernità, dai media, all’accelerazione tecnologica, all’inquinamento, fino alla dicotomia fra Occidente e resto del mondo, vengono più o meno tutte da lì. A ben guardare, però, non sono poi tanti i videogiochi ambientati nel periodo in questione. Dishonored propone un universo che ha molto di vittoriano e, al di là della dimensione fantasy, affronta alcuni temi storicamente significativi. Victoria II, di Paradox è invece il punto di riferimento per chi cerca una simulazione realistica, nonostante si tratti di un titolo del 2010.
E adesso c’è anche Anno 1800. O, almeno, c’è in un certo senso. Per spiegare come, bisogna innanzitutto sapere cos’è Anno. Si tratta di una serie di gestionali di origine tedesca, lanciata nel lontanissimo 1998, da sempre incentrata su produzione e commercio. I vari titoli si ambientano in epoche diverse, con gli ultimi due capitoli anche futuristiche, ma il gioco consiste sempre nel colonizzare isole, estrarre risorse, produrre merci e far prosperare una o più città. Una formula piuttosto classica, e in effetti Anno è un po’ il gestionale archetipico. A distinguerlo è la complessità delle catene produttive, che ne fa una sorta di simulatore di logistica: produrre un singolo bene può richiedere tranquillamente quattro o cinque edifici diversi, per intenderci. La storia reale, invece, è sempre rimasta sullo sfondo: c’è l’estetica, ci sono gli edifici, ci sono le tecnologie e i prodotti di un’epoca, c’è una certa atmosfera, ma è tutto edulcorato. Nel caso di Anno 1800, appunto, la versione della rivoluzione industriale che ci viene proposta è un po’ artificiosa, priva di una dimensione politica significativa e anche di una reale collocazione geografica: nel corso della breve campagna, che fa da tutorial, ci troviamo al servizio di un impero imprecisato e di una regina immaginaria che ricorda Vittoria da giovane. Ecco, vi dico subito che la campagna è trascurabile, narrativamente debole e, alle volte, anche noiosa. Funziona per imparare le meccaniche, ma la ragion d’essere dell’intero gioco sta nella modalità sandbox, da affrontare in singolo o in multiplayer. Una modalità che merita un plauso per la flessibilità della personalizzazione ed è ampiamente sufficiente a garantire qualche decina di ore di gioco, come minimo.
Scendendo nel dettaglio, Anno 1800 funziona così: ci sono isole sparse per l’oceano che offrono alcune risorse minerarie, ad esempio il ferro, e alcune colture, ad esempio il grano. Partendo da questi doni di madre natura, dovremo costruire una fiorente comunità, cosa che implica trasformare il grano in pane e il ferro in cannoni, per dire. Ora, una delle peculiarità di Anno è che la produzione è univoca e astratta: ad esempio, le fattorie di pecore producono solo lana, ma non carne, che viene invece prodotta da quelle di maiali, mentre le patate non sono usate come cibo, ma rappresentano la risorsa base per l’industria degli alcolici. In sostanza, è un grande puzzle logistico, che si risolve bilanciando al meglio input e output. Tutto questo esercizio di pazienza serve a far salire di livello i nostri cittadini: da contadini a lavoratori ad artigiani specializzati, così via per cinque livelli, fino ai capitalisti più smaccati. Ciascuna classe sociale reclama merci sempre più sofisticate, ma paga anche più tasse e sblocca edifici più avanzati. A differenza di quanto accadeva nei giochi precedenti, è sempre necessario mantenere una certa quota di poveri, perché solo loro possono zappare la terra e buttare il carbone nelle fornaci: un piccolo tocco di realismo, ma non aspettatevi lotta di classe o stratificazione sociale. La disoccupazione, per dire, non ha nessun effetto tangibile.
Ad aggiungere complessità interviene a un certo punto il Nuovo Mondo. Sì, perché dal terzo livello in poi, i cittadini cominciano a reclamare beni di importazione, ad esempio cappotti di pelliccia, che dobbiamo andare a recuperare colonizzando isole dall’altra parte dell’oceano. Le rotte commerciali che ne conseguono vanno, poi, difese dagli attacchi dei pirati e dei rivali in affari, attraverso la costruzione di una flotta. C’è, quindi, anche una componente RTS, subordinata a quella gestionale e interamente incentrata sul controllo dei mari, e una diplomatica, che riguarda i rapporti commerciali e i conflitti con gli altri colonizzatori. Insomma, una volta che ci saremo garantiti l’afflusso dei beni, potremo occuparci del city building vero e proprio, che è in effetti divertente, per quanto meno complesso rispetto alla media del genere. Oltre alle industrie e alle abitazioni, ci sono infatti scuole, ospedali, caffé, stazioni di polizia e decorazioni di vario genere. Molta della piacevolezza di questa fase nasce dal fatto che Anno 1800 è veramente bello da guardare. La città si sviluppa come un diorama vittoriano, zeppo di dettagli deliziosi, gentiluomini in cilindro e bastone che passeggiano, chiese che celebrano matrimoni, pugili che si affrontano nelle arene… ora, c’è da dire che, a differenza di quanto avviene in Tropico 6, i cittadini non hanno un’identità, non hanno una vita politica e la loro felicità deriva soltanto da beni, servizi e da quanto vogliamo farli sgobbare in fabbrica: il loro ruolo decorativo, però, lo ricoprono meravigliosamente.
In sostanza, il gioco è questo. Arte per l’arte, se vogliamo, perché, almeno nella modalità sandbox, le condizioni di vittoria le scegliamo noi e, in fondo, la motivazione finale è quella di costruire una città quanto più possibile grande e bella. Ci sono piccole innovazioni, ad esempio i magazzini universali, che semplificano la distribuzione dei beni, o le spedizioni, che consistono nell’inviare una nave fuori dalla mappa a recuperare, si spera, qualche tesoro: ma, alla fin della fiera. Anno 1800 è un omaggio alla storia della serie, molto più che una rivoluzione. Se Anno 2205 ha suscitato un certo malcontento nei fan di vecchia data - a me, detto onestamente, piaceva - Blue Byte adesso propone un approccio decisamente più conservativo. Il risultato è onesto: un gioco che funziona e diverte, a patto di accettarne le premesse e di apprezzarne le peculiarità. Se state cercando una simulazione storicamente accurata della rivoluzione industriale, non la troverete certo qui. Se state cercando un city builder che ponga l’enfasi sull’urbanistica e i servizi, Cities: Skylines si addice sicuramente di più ai vostri gusti. Se invece vi stuzzica l’idea di costruire e bilanciare un complesso sistema economico e pensate che il videogioco debba essere anche un piacere estetico, con Anno 1800 andate sul sicuro.
Due segnalazioni per concludere: la prima riguarda la presenza della traduzione italiana per i testi, che fa il suo sporco lavoro ma rimane, a tratti, confusa - ancora mi chiedo perché la mia città sia classificata come “insediamento bizzarro”. L’altra, solo per ricordarvi che Anno 1800 è, al momento, un’esclusiva Epic Store, e non si sa per quanto lo resterà. Le esclusive non piacciono a nessuno e non c’è nemmeno bisogno di discuterne ma, insomma, questo è quanto.
Ho giocato ad Anno 1800 grazie a un codice gentilmente inviato da Ubisoft Italia, su un PC dotato di AMD 2700x, Nvidia GTX 1070 e 16GB di RAM, per una ventina di ore. Il frame rate si è mantenuto a livelli adeguati e non ho da segnalare bachi o problemi tecnici. Anno 1800 è disponibile su Epic Store e su Uplay. Se lo comprate su Epic Store usando questo link, una piccola percentuale di quello che spendete andrà a noi, senza sovrapprezzi per voi.